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Authors: William Heffernan

Tags: #Fiction, #Thrillers, #Suspense

Ritual (29 page)

BOOK: Ritual
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Ora Waters aspettava pazientemente appoggiato a una parete e guardava l'agente avanzare lungo il corridoio. Era un nero alto, di corporatura robusta, con i capelli grigi tagliati cortissimi e un ventre prominente che non aveva prima di andare in pensione. Devlin notò inoltre che Waters era vestito molto meglio di quando faceva il poliziotto e si chiese se il congedo avrebbe sorpreso anche lui con indosso un tre pezzi confezionato su misura.

«Trovato nulla, Paul?»

Devlin scosse la testa.

«È come cercare un poliziotto onesto nella Buoncostume.»

Waters, che nella Buoncostume aveva lavorato dieci anni, si lasciò sfuggire una risata tonante. «Già, be', te l'avevo detto, Paul. Se mai volessi nascondere qualcosa, questo sarebbe certamente il posto adatto. Quegli imbecilli vi hanno accumulato tante di quelle stronzate che nessuno sa più che cosa sono, dove sono o da quanto tempo si trovano qui.»

Devlin grugnì un assenso. Quello era uno dei motivi per cui aveva deciso di perquisire soltanto il laboratorio e i magazzini dei reparti di antropologia ed etnologia, insieme con la stanza degli insetti e la sala autopsie. Una squadra piccola come la loro non avrebbe mai potuto perquisire l'intero museo in un arco di tempo ragionevole, e una perquisizione con tutti i crismi non sarebbe certamente passata inosservata. Per di più, sapeva che un'invasione di poliziotti sarebbe stata vietata dagli alti papaveri in quanto politicamente controproducente.

Devlin però non aveva consultato gli alti papaveri, né nessun altro, neppure Rolk. La sua era stata un'iniziativa di quelle altamente caldeggiate all'accademia di polizia anche se di solito rovinano il poliziotto che le intraprende. Eppure era deciso a farlo ugualmente, e a questo punto solo un successo avrebbe potuto salvarlo. La scusa che Rolk gli aveva affidato il controllo della situazione e che una perquisizione era ormai inevitabile non avrebbe sicuramente funzionato in caso di lamentele. Rolk avrebbe potuto farla franca, ma non certo lui.

«E adesso?» volle sapere Waters.

Devlin indicò l'atrio dove Bernie Peters e Charlie Moriarty se ne stavano a chiacchierare. «Ho intenzione di mostrare a quei due superlavoratori il meraviglioso mondo degli insetti.»

Il nero emise un grugnito. «Già questo è un posto spettrale, ma quella stanza è troppo perfino per me. Ragazzo, quando ho sentito per la prima volta il rumore che fanno quelle bestiacce schifose quando cominciano a rosicchiare qualcosa!» Scosse la testa, come desideroso di allontanare il ricordo. «Se non ti dispiace, io aspetto fuori e lascio a voi ragazzi tutto il divertimento.»

Anche Peters e Moriarty parvero altrettanto disgustati quando Devlin spiegò loro che cosa voleva. In piedi davanti a una delle due grandi casse, gli agenti fissarono attoniti i macabri resti animali, poi occhieggiarono Devlin, quasi sperando che si trattasse soltanto di un brutto scherzo.

Ignorandoli, lui puntò il dito contro la cassa. «Come vedete, su tutti questi involti c'è un numero scritto a matita. Non mischiateli, non fate confusione. Voglio che li svolgiate uno per uno, che guardiate dentro e rifacciate l'involto così come l'avete trovato; e attenti a rimetterli a posto nell'ordine in cui li avete trovati.»

«Ma che differenza vuoi che faccia?» volle sapere Peters. «Se troviamo quello che stiamo cercando, scoppierà comunque l'inferno.»

«Niente affatto. Che scopriamo o no qualcosa, nessuno deve sapere che siamo stati qui.»

«Intendi dire che solo in caso di qualche ritrovamento interessante metteremo sotto controllo il museo,» suggerì Moriarty.

Devlin gli dedicò un sorriso acido. «Ora capisco perché ti hanno promosso agente investigativo,» osservò.

«Merda,» proruppe Peters. «Spero che non troveremo niente, allora. Sicuro come l'oro, non ho alcuna voglia di starmene seduto qui notte dopo notte ad aspettare che arrivi qualche psicopatico in cerca di trofei.» Esitò, lanciando un'altra occhiata alla cassa. «Ci darai una mano anche tu?»

Devlin sorrise di nuovo, poi scosse la testa. «Sto sostituendo il capo, no?»

«Brutto stronzo,» borbottò Moriarty. «Te la farò pagare.»

I
due agenti lavoravano con lentezza, cupi in faccia. Attrezzati con guanti e grembiuli di gomma, a turno estraevano un involto, lo aprivano, poi tornavano a chiuderlo e lo piazzavano sul lungo tavolo di acciaio inossidabile. L'illuminazione fluorescente sopra le loro teste rendeva l'operazione ancora più spiacevole, inondando la stanza di una cruda luce artificiale che rendeva perfino più disgustosi i reperti. Dal lungo contenitore metallico saliva uno sgradevole rumore di mascelle, a indicare come gli insetti si stavano godendo la loro orgia alimentare.

Di colpo, tenendo le spalle incassate come per reprimere un brivido, Bernie Peters si spostò sull'altro lato del contenitore, in modo di trovarsi di fronte a Charlie.

«Che cosa ti prende?» chiese quest'ultimo. «Sembri sul punto di vomitare.»

«È che non sopporto l'idea di dare le spalle a quei piccoli bastardi. Quel rumore... mi sembra di essere finito in un film dell'orrore. Mi aspetto da un momento all'altro che il coperchio si spalanchi e quelle schifose bestiacce mi sciamino addosso.»

Moriarty lo guardò con una smorfia disgustata. «Grazie tante, Bernie. Sono qua a lavorare in questa specie di macelleria preistorica con un paio di milioni di fottutissimi insetti cannibali dietro di me, ed ecco che tu ti metti a parlare di come usciranno fuori e verranno a rodermi il culo. Sei proprio un fenomeno, sai?»

Un sorriso obliquo rischiarò la faccia stretta, rude di Peters. «Ecco perché voglio che tu stia tra me e loro. Quando quei piccoli mostri usciranno, la prima cosa che vedranno sarà il tuo grosso culo. E prima che abbiano il tempo di rosicchiarlo tutto, io sarò già fuori da quella porta, nascosto in casa mia sotto il letto.»

Moriarty lo fissò e involontariamente rabbrividì. «Cristo, questo è il lavoro peggiore che mi sia mai capitato. Persino peggiore di quando abbiamo dovuto setacciare tutta l'immondizia di quella discarica di Staten Island. Com'è che i poliziotti delle serie televisive non fanno mai niente del genere? Se ne vanno sempre in giro su macchine sportive e motoscafi, vestiti come figurini. Mentre tu e io siamo qui a dare il culo a teste di tigre e palle di elefante.»

Si chinò a prendere un altro involto e ne rimosse con cura la tela, in modo che la soluzione conservante non filtrasse all'esterno.

«Gesù Cristo, che diavolo è questa roba?» esclamò poi, guardando con aria disgustata la parte inferiore della zampa di un grosso animale coperta di peluria umida e arruffata; dalla giuntura recisa pendevano brandelli di tendini e carne.

Anche Peters guardò. «Un cavallo o un'antilope, probabilmente. Magari è solo una mucca.»

«Cristo,» gemette Moriarty. «Prima che questo maledettissimo lavoro finisca, sarò diventato vegetariano.»

 

L'ufficio di Malcolm Sousi era in perfetto ordine, con gli incartamenti accuratamente impilati sulla scrivania, i libri allineati con precisione sugli scaffali.
I
reperti che stava esaminando erano disposti in fila su un tavolo separato.

Un tipo pignolo, pensò Devlin, mentre armeggiava con un grimaldello intorno a un cassetto della scrivania.
I
suoi pensieri tornarono alle vittime, ai cadaveri composti, agli abiti ordinatamente ripiegati accanto a loro. Ma probabilmente non significava nulla, si disse poi. Semplicemente, non ti fidi dei tipi metodici perché non sei mai riuscito a diventarlo a tua volta.

Il cassetto si aprì e Waters, che gli stava alle spalle, grugnì con approvazione. «Dove hai imparato a cavartela così bene?» chiese.

«Rolk. Quell'uomo riesce ad aprire qualunque cosa. Sa persino evitare i sistemi d'allarme. Dice di avere imparato durante gli anni con la Antifurti.»

«Già, ricordo. Dopo è passato all'Anticrimine e infine alla Omicidi. Peccato che non abbia provato la Buoncostume e la Narcotici. Avrebbe dato un po' di vivacità alla sua vita. E anche alla tua.»

Devlin capiva che cosa intendeva dire Waters. Lui stesso aveva sempre lavorato nel campo delle indagini vere e proprie, massima attenzione per i piccoli dettagli, e sapeva poco del mondo fatto di sparatorie e imboscate in cui si muovevano gli uomini della Narcotici e della Buoncostume. «Sono sempre stato troppo pigro e lento per inseguire la gente sui tetti,» borbottò. «E poi volevo diventare capo del dipartimento.»

La risata tonante di Waters riempì di nuovo il piccolo ufficio. «Oh, sicuro. Ecco perché sei rimasto con Rolk per tutti questi anni, mentre lui insultava quei boriosi figli di puttana del quartier generale ogni volta che interferivano con il suo lavoro. Ragazzo, a quest'ora
lui
avrebbe potuto essere vicecapo, se solo avesse acconsentito a giocare secondo le loro regole. Invece non arriverà da nessuna parte, e tu sei fregato come lui. Guarda il suo capo, Dunne. Quella faccia di budino non è mai stato neppure un poliziotto. Quando lavorava per le strade non sarebbe stato capace di individuare una puttana di Harlem in un raduno di boyscout. Ma si tiene talmente alle calcagna dei suoi superiori, tutti politici senza coglioni, che se quelli si fermassero di colpo se lo ritroverebbero attaccato al culo prima ancora di accorgersene. Ed è così che devi fare nel suo dipartimento, se vuoi arrivare in cima.»

Devlin fissava il cassetto aperto con un sorriso. «L'ispettore Dunne è un uomo d'onore, è un grande leader,» disse.

«Già,» annuì Waters. «E i ragazzi giù al municipio ne sanno qualcosa.»

Devlin estrasse un fascio di carte dal cassetto e cominciò a sfogliarlo. Erano tutte descrizioni dettagliate di manufatti di arte precolombiana. Lo rimise a posto e aprì il cassetto in fondo.

Altro materiale di studio... documenti e riviste presi dalla biblioteca del museo, insieme con l'inizio di un manoscritto a cui evidentemente Sousi stava lavorando. Chino sul cassetto, Devlin vi frugò dentro a lungo e alla fine pescò tre riviste pornografiche che posò sulla scrivania.

Subito Ezra Waters si fece avanti e ne prese una. «Diavolo,» borbottò poi. «A quanto pare, il nostro piccolo Doc Seuss...» lanciò un'occhiata a Devlin, «è così che lo chiamano i ragazzi qui, perché se ne va in giro sogghignando come uno di quei personaggi Wiggly-Piggly dei libri per ragazzi... be', dicevo, sembra proprio che dissotterrare vecchi tegami non sia l'unica cosa che gli interessi.» Scosse la testa. «Gente, mi piacerebbe sapere dove la trovano tutti questi belloni con cazzi grandi come pali del telefono... Belloni bianchi, voglio dire.»

Devlin cominciò a sfogliare l'altra. Le fotografie, estremamente esplicite, riproducevano soprattutto amplessi sessuali e, come quasi tutte le pubblicazioni di quel genere, le donne erano ritratte in atteggiamenti di abbietta sottomissione, dominate da uomini grossi e straordinariamente dotati.

Mentre rimetteva a posto le riviste porno, ricordò il rapporto di Moriarty sul litigio di Sousi con una donna in un bar del West Side, e ricordò anche come lui stesso avesse notato nello studioso un certo velato risentimento nei confronti delle donne con cui lavorava. Le riviste pornografiche rientravano nel quadro. Ma avevano anche un ulteriore significato?

Chiuse il cassetto e sollevò gli occhi su Waters. «Come dice la Corte Suprema, noi tutti abbiamo il diritto di comprare e leggere il lavoro delle menti creative.»

«Che cosa sta succedendo qui?»

Al suono di quella voce stridula, Devlin e Waters si voltarono di scatto. Sulla porta c'era Grace Mallory, pallidissima, con un'espressione di rabbia e sorpresa negli occhi sbarrati.

Devlin la guardò, poi controllò l'ora. «Un po' tardi per lei, non le pare, dottoressa?»

Le sue parole, o forse la calma con cui le pronunciò, sembrarono sbalordirla; sbatté più volte le palpebre prima di voltarsi verso il responsabile della sicurezza. «Voglio sapere che cosa significa questa storia,» disse seccamente.

Ma con un gesto Devlin impedì a Waters di rispondere e fatto il giro della scrivania si avvicinò alla Mallory. «Stiamo effettuando una perquisizione: normale procedura, nelle indagini per omicidio,» spiegò. «Oggi pomeriggio mi sono incontrato con il direttore del museo e ho ottenuto l'autorizzazione. L'idea era di turbare il meno possibile il personale e, ancora più importante, di evitare qualunque pubblicità che avrebbe potuto danneggiare il museo o la vostra mostra.»

Grace Mallory sbarrò gli occhi. «È stato il direttore a concedervi l'autorizzazione?» ripeté, e quando Devlin annuì, si voltò a guardare Waters per averne conferma.

«È così,» disse la guardia. «C'ero anch'io. Il direttore mi ha chiesto di venire qui stanotte, in modo che nulla venisse portato via senza regolare ricevuta.»

Grace Mallory tornò a rivolgersi a Devlin. «Ha un mandato di perquisizione?» scattò. «Deve averlo per fare una cosa del genere, lo sa?»

«No, grazie al permesso del direttore.» E, arginando le proteste di lei, continuò: «Se ci facessimo rilasciare un mandato di perquisizione - e in futuro potrebbe rivelarsi necessario - non ci sarebbe modo di impedire alla stampa di scoprirlo. Sarebbe sufficiente che uno degli impiegati che maneggia gli incartamenti pronunciasse una parolina e in un batter d'occhio la strada si riempirebbe di troupe televisive e giornalisti ansiosi di scoprire il più possibile. E questo non sarebbe utile a nessuno. Non a noi, e certamente non al museo, né a lei o ai suoi collaboratori. Perché dopo una cosa del genere vi trovereste con i rappresentanti dei media accampati davanti alla porta giorno e notte.»

Grace sbatté di nuovo le palpebre, ma la sua bocca si muoveva appena quando parlò. «Ma la gente conserva cose personali nei propri uffici. E certo avrete bisogno di un permesso del tribunale per poterle esaminare.»

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