Gai-Jin (21 page)

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Authors: James Clavell

Tags: #Fiction, #Action & Adventure

BOOK: Gai-Jin
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Si, prima Yazu resterà incinta e meglio sarà.

Finì di bere il tè. “Ci vedremo alla riunione di domani.”

Si salutarono con un profondo inchino.

Yoshi uscì dalla stanza e si affacciò al parapetto perchè aveva bisogno di aria e di tempo per riflettere.

Vedeva più sotto le grandi fortificazioni di pietra con i tre fossati concentrici, i forti imprendibili e i ponti levatoi, le mura enormi. All'interno di quelle mura c'erano alloggi per cinquantamila samurai, scuderie per diecimila cavalli, atri spaziosi e palazzi per le famiglie più leali, ma soltanto le famiglie Toranaga vivevano entro il fossato più interno, e giardini ovunque.

Nel corpo centrale del castello, accanto all'alloggio del Guardiano c'erano gli appartamenti più sicuri e le stanze private dello shògun in carica, della sua famiglia, dei cortigiani e dei sudditi.

E le stanze del tesoro.

Nel suo ruolo di Guardiano Yoshi viveva qui, malaccetto e sempre sul chi vive e tuttavia sicuro.

Oltre il fossato più esterno c'era il primo cerchio protettivo costituito dai palazzi dei daimyo, spesso imponenti, e da ricche residenze; quindi venivano i cerchi con le residenze minori, poi quelle ancora meno importanti, una per ogni daimyo del paese.

Quell'organizzazione dello spazio intorno al corpo centrale del castello era stata voluta dallo shògun Toranaga nel pieno rispetto del sankin-kotai, la legge della residenza alternativa.

“Il sankin-kotai” aveva decretato Toranaga “impone a tutti i daimyo del paese di costruire immediatamente e mantenere negli anni a venire una residenza adeguata al loro rango sotto le mura del mio castello nell'esatta posizione che io ho stabilito per ognuno.

Il daimyo, la sua famiglia e alcuni sudditi, anziani dovranno vivere in permanenza nel palazzo che sarà lussuoso ma privo di qualsiasi sistema difensivo.

Ogni tre anni il daimyo potrà e dovrà far ritorno al suo feudo e restarvi con i sudditi ma senza la moglie, le concubine, madre, padre o figli o nipoti o qualsiasi consanguineo; l'ordine in cui i daimyo partiranno o resteranno è regolato accuratamente secondo l'elenco che segue.

La parola “ostaggio” non veniva mai menzionata anche se quella degli ostaggi era una pratica comune alla quale si ricorreva quando non c'erano altri mezzi per assicurarsi un'alleanza.

Persino Toranaga era stato tenuto in ostaggio dal dittatore Goroda; la sua famiglia invece dal successore di Goroda, Nakamura, suo alleato e signore a cui doveva fedeltà.

Aveva deciso di trasformare una pratica tradizionale in legge, il sankinkotai appunto, che metteva tutti i daimyo del paese in uno stato di schiavitù.

“Al tempo stesso” aveva scritto Toranaga nel suo legato, un documento privato destinato soltanto ad alcuni dei suoi discendenti, “gli shògun che seguiranno dovranno incoraggiare i daimyo a costruire edifici stravaganti, a vivere con eleganza, a vestire riccamente e intrattenere con prodigalità poiché questo è il mezzo più veloce per spogliarli della rendita feudale annuale che, secondo la corretta e immutabile tradizione, appartiene esclusivamente al daimyo.

In questo modo i daimyo saranno ben presto oberati di debiti, sempre più dipendenti da noi e quindi non in grado di nuocerci, mentre noi continueremo a essere frugali e ci asterremo da ogni stravaganza.“

Malgrado ciò tuttavia alcuni feudi come quelli di Satsuma, Mori, Tosa e Kii, per esempio, dispongono di tali ricchezze che avranno sempre dei fondi pericolosi.

Perciò di tanto in tanto lo shògun regnante inviterà i daimyo di questi feudi a fargli dono di qualche buona lega di strada, o di un palazzo, o di un giardino, o di una casa di piacere o di un tempio, e le cifre da spendere per l'edificazione, i tempi e gli intervalli che dovranno trascorrere tra la realizzazione di un'opera e l'altra saranno dettagliati nel documento allegato.

Tanto intelligente, tanto lungimirante, mormorò Yoshi tra sé. Tutti i daimyo catturati in una ragnatela di seta, ridotti all'impotenza. Ma la stupidità di Anjo ha rovinato tutto.

La prima delle “richieste” dell'imperatore portate da Sanjiro davanti al Consiglio prima che Yoshi ne diventasse membro riguardava proprio l'abrogazione del sankin-kotai. Anjo e gli altri avevano perso tempo in cavilli, discusso fino all'estenuazione e infine avevano ceduto. Nottetempo i Palazzi si erano svuotati di mogli, concubine, figli, congiunti e guerrieri, e nel giro di pochi giorni l'area intorno al castello era diventata una terra desolata popolata soltanto da pochi sudditi lasciati soltanto come gesto simbolico.

Il nostro più importante strumento di dominio e controllo volatilizzato per sempre, pensò Yoshi con amarezza. Come ha potuto Anjo essere così inetto?

Lasciò che il suo sguardo scivolasse dietro i palazzi fino alla capitale.

La città di Edo era abitata da un milione di persone che servivano il castello e ne traevano al tempo stesso la loro fonte di sostentamento.

Era attraversata da corsi d'acqua e ponti quasi sempre di legno. Vide molti piccoli incendi, conseguenza della scossa tellurica, tracciare un sentiero infuocato che arrivava fino al mare.

Bruciava anche un grande palazzo.

E il palazzo del daimyo di Sai pensò Yoshi. Bene. Sai è dalla parte di Anjo. La sua famiglia se ne è andata ma il Consiglio può sempre ordinargli di ricostruire il palazzo.

Il costo della ricostruzione lo metterebbe in ginocchio per sempre.

Ma lui non conti niente, qual'è il nostro scudo difensivo contro i gai-jin?

Deve pur essercene uno!

Tutti dicono che potrebbero bruciare Edo, ma che non possono entrare nel castello né sostenere un lungo assedio.

Io non sono d'accordo.

Ieri Anjo ha raccontato ancora una volta agli Anziani la ben nota storia dell'assedio di Malta avvenuto trecento anni fa, quando tutto l'esercito turco non riuscì a piegare seicento valorosi cavalieri asserragliati nel castello.

Anjo disse: “Disponiamo di decine di migliaia di samurai ostili ai gai-jin, vinceremo, e saranno costretti ad andarsene”.

“Ma né turchi né cristiani possedevano cannoni” ribatté lui.

“Non dimenticate che se lo shògun Toranaga ha aperto una breccia nel castello di Osaka con un cannone gai-jin, quei parassiti potranno fare lo stesso con noi.”

“Anche se vi riuscissero noi potremmo metterci al sicuro sulle colline.

Nel frattempo ogni samurai, ogni donna e ogni bambino del paese, anche i ricchi mercanti si affretteranno sotto la nostra bandiera scagliandosi sugli stranieri come locuste. Non abbiamo niente da temere” concluse Anjo pieno di sdegno.

“Il castello di Osaka era diverso, un'altra questione, li si trattava di uno scontro tra daimyo, non di un'invasione.

Il nemico non può sostenere una guerra sulla terraferma. Vinceremmo noi.”

“Ma farebbero terra bruciata, Anjo-sama, Non ci resterebbe più niente su cui governare. La nostra unica via è accerchiare il nemico e catturarlo in una ragnatela. Dobbiamo diventare ragno, dobbiamo trovare una ragnatela.”

Ma il Consiglio non lo aveva ascoltato. Qual è la ragnatela?

“Prima individua il problema” aveva scritto Toranaga nel suo legato, poi con pazienza troverai la soluzione.”

Il punto cruciale del problema con gli stranieri è questo: come facciamo a ottenere il loro sapere, gli armamenti, le flotte, la ricchezza e il commercio alle nostre condizioni e al tempo stesso riuscire a scacciarli dal paese cancellando gli iniqui trattati e facendo in modo che mai nessuno di loro possa più rimettere piede, se non a durissime condizioni, sulla nostra terra?

Il legato proseguiva così: “La risposta a tutti i problemi della NOSTRA terra può essere trovata in questo documento, oppure nell'Arte della Guerra di Sun-Tzu e... nella pazienza”.

Lo shògun Toranaga era stato il governante più paziente della terra, pensò Yoshi come sempre mosso da una grande ammirazione.

Benché sulla terraferma fosse imbattibile

Toranaga aveva aspettato per dodici anni fuori del castello di Osaka, l'invincibile roccaforte costruita dal suo predecessore, il dittatore Nakamura, prima di far scattare la trappola che aveva preparato e dare inizio all'assedio.

Il castello era in mano a Ochiba, vedova del dittatore, al loro diciassettenne erede, Yaemon, a cui Toranaga aveva solennemente giurato alleanza, e a ottantamila samurai fanaticamente fedeli.

Erano stati necessari due anni di assedio, trecentomila soldati, un cannone preso dalla nave corsara olandese Erasmus di Anjin-san, l'inglese che l'aveva portata in Giappone insieme a un reggimento di fucilieri da lui stesso addestrato, centomila morti, tutta la scaltrezza di Toranaga nonché l'indispensabile traditore all'interno del castello prima che Ochiba e Yaemon preferissero il seppuku alla cattura.

Poi Toranaga aveva fortificato il castello di Osaka, reso inutilizzabile il cannone, distrutto i moschetti, disperso il reggimento, aveva proibito la produzione e l'importazione di armi da fuoco, aveva annientato il potere dei gesuiti portoghesi e dei daimyo cristiani ridistribuendo i feudi, aveva allontanato tutti i nemici, promulgato le leggi del legato, proibito l'uso di ruote, la costruzione di navi per la navigazione oceanica e, purtroppo, aveva preteso per sé e per la sua famiglia un terzo delle imposte.

“Ci ha fatto diventare forti” mormorò Yoshi. Il suo legato ci ha dato il potere di mantenere pura la nostra terra e di conservare la pace che lui aveva stabilito.

Non devo venire meno all'impegno preso con il mio antenato.

Che uomo! Com'è stato saggio da parte di suo figlio, Sudara, il secondo shògun, cambiare il nome della dinastia in Toranaga sostituendolo al vero nome di famiglia, Yoshi, perchè non ci dimenticassimo mai la nostra origine.

Che cosa mi consiglierebbe di fare in questo momento?

Innanzitutto mi esorterebbe alla pazienza, poi citerebbe Sun-Tzu: Se conosci il tuo nemico come te stesso non dovrai temere cento battaglie; se conosci te stesso ma non il tuo nemico per ogni vittoria conquistata subirai una sconfitta; se non conosci né te stesso né il tuo nemico avrai sempre la peggio.

Conosco alcune cose sul conto del nemico, ma non abbastanza.

Benedico ancora mio padre per avermi fatto comprendere il valore dell'istruzione e per avermi messo a disposizione molti insegnanti sia stranieri che giapponesi. Peccato che non avessi predisposizione per le lingue e dovessi imparare attraverso intermediari: mercanti olandesi per la storia; un marinaio inglese per controllare l'autenticità dell'insegnamento degli olandesi e aprirmi gli occhi, come Toranaga usava l'Anjinsan ai suoi tempi, e tutti gli altri.

Il cinese che mi insegnò l'arte del governo, la letteratura e L'Arte della Guerra di Sun-Tzu; il vecchio prete francese rinnegato che veniva da Pechino e trascorse sei mesi insegnandomi Machiavelli, traducendolo laboriosamente in cinese per me in cambio del permesso di vivere nel dominio di mio padre e di frequentare il Mondo dei Salici che adorava; il pirata americano abbandonato dai suoi a Izu che mi raccontò dei cannoni e degli oceani d'erba che chiamano praterie, del castello detto la Casa Bianca e delle guerre con cui sterminarono gli indigeni di quella terra; il russo scappato dalla prigionia in un posto chiamato Siberia che diceva d'essere un principe con diecimila schiavi e raccontava favole su luoghi chiamati Mosca e San Pietroburgo, e poi tutti gli altri insegnanti, qualcuno per pochi giorni, qualcuno per qualche mese, mai per un anno intero, e nessuno seppe mai chi ero perchè mi era stato proibito di dirlo; mio padre era cauto e discreto ma diventava terribile quando disubbidivo.

“Quando questi uomini se ne vanno, padre” aveva chiesto un giorno, “che ne è di loro? Sono tutti così spaventati, perchè? Avete promesso di ricompensarli, non è vero?”

“Hai undici anni, figlio mio. Perdonerò per una volta il modo sgarbato con cui m'interroghi. Per ricordarti la mia magnanimità resterai senza cibo per tre giorni, ti arrampicherai da solo sul monte Fuji e dormirai senza coperte.”

Yoshi rabbrividì.

A quell'epoca non sapeva che cosa significasse la parola magnanimità. Era stato sul punto di morire ma era riuscito a eseguire l'ordine paterno. Come premio per la sua autodisciplina il padre, daimyo di Mito, gli aveva comunicato che era stato adottato dalla famiglia Hisamatsu e nominato crede del loro ramo Toranaga: “Sei il mio settimo figlio. In questo modo avrai un'eredità e un lignaggio superiori a quelli dei tuoi fratelli”.

“Si, padre” aveva risposto trattenendo le lacrime.

All'epoca non sapeva di essere stato allevato per diventare shògun, nessuno lo aveva messo a parte dei progetti che riguardavano la sua vita. Poi, quando quattro anni prima lo shògun Iyeyoshi era morto di tifo, all'età di ventidue anni Yoshi era pronto e suo padre l'aveva proposto. Invece il tairò si era opposto, e avendo il dominio sulle porte del palazzo aveva avuto la meglio.

Così era stato il cugino di Yoshi, Nobusada, a essere nominato shògun.

Yoshi, la famiglia, suo padre e tutti i loro sostenitori più influenti erano stati messi agli arresti domiciliari.

Soltanto dopo l'assassinio di Li Yoshi era stato liberato insieme ai sopravvissuti e aveva riavuto le sue terre e i diritti del suo rango. Il padre era morto durante l'esilio domestico.

Avrei dovuto essere io lo shògun, pensò per l'ennesima volta.

Ero pronto, ben preparato, e avrei ripulito il marciume dello shògunato, avrei creato una nuova alleanza tra shògunato e daimyo e insieme avremmo trovato il modo di trattare con i gai-jin. Avrei avuto io in moglie quella principessa, non avrei mai firmato quegli accordi né lasciato che i negoziati si rivelassero tanto dannosi.

Avrei trattato con Townsend Harris e dato inizio a una nuova era di caute riforme perchè il mondo esterno si adeguasse al nostro passo, non viceversa!

Invece non sono shògun, Nobusada è stato eletto, i trattati esistono, la principessa Yazu esiste, Sanjiro, Anjo e i gai-jin sono alle porte e ci minacciano.

Rabbrividì. Devo stare più attento. Il veleno è uno strumento antico, una freccia può colpire di giorno o di notte, gli assassini ninja sono centinaia e ovunque, al soldo di ogni padrone. E poi ci sono gli shishi.

Deve esserci una risposta! Ma quale?

Gli uccelli marini che volavano in cerchio gracchiando sulla città e sul castello interruppero i suoi pensieri.

Scrutò il cielo. Nessun segno di cambiamento né di tempesta anche se quello era il mese dei grandi venti che portavano l'inverno. Quest'anno sarà un inverno crudele. Non di carestia come tre anni fa, ma il raccolto è scarso, ancora più scarso dell'anno scorso...

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