Gai-Jin (43 page)

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Authors: James Clavell

Tags: #Fiction, #Action & Adventure

BOOK: Gai-Jin
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“Anjo deve morire prima di noi” esclamò con fervore quando Hiraga ritornò sano e salvo due giorni dopo l'attacco. “Abbiamo temuto che tu fossi stato preso e bruciato insieme agli altri. Sono stati gli ordini di Anjo, Hiraga-san, i suoi ordini... Stava proprio tornando dalla locanda quando l'avete attaccato vicino alle porte del castello; ha ordinato personalmente le esecuzioni ed è rimasto a guardare.”

“Chi ci ha tradito, Hiraga?” aveva domandato Ori.

“I samurai mori.”

“Ma Akimoto ha detto di averli visti mentre venivano sopraffatti e uccisi.”

“Dev'essere stato uno di loro. Nessun altro è riuscito a fuggire?”

“Akimoto... si è nascosto in un'altra locanda per un giorno e una notte.”

“Ora dov'è?” Noriko disse: “E' occupato, devo mandarlo a chiamare?”.

“No. Lo vedrò domani.”

“Anjo deve pagare col sangue per la locanda... E' contro le nostre leggi!”

“Pagherà. E pagherà anche il Roju. E così pure lo shògun Nobusada.

E Yoshi.”

Al castello, Yoshi stava componendo una poesia nelle sue stanze. Indossava un kimono di seta azzurra e sedeva davanti a un tavolino basso illuminato da una lampada a olio e coperto di fogli di carta di riso, di pennelli di diverse grandezze, di una ciotola d'acqua per diluire la china solida che aveva una minuscola e invitante pozzanghera nel centro.

Il crepuscolo stava diventando notte.

Dall'esterno giungeva il ronzio delle onnipresenti anime di Edo, un milione di abitanti.

Qualche casa in fiamme, come al solito. Sotto il castello, il rumore smorzato e rassicurante dei soldati e degli zoccoli dei cavalli sui ciottoli. Attraverso le feritoie degli arcieri nelle enormi mura, non ancora chiuse contro il freddo della notte, una risata rauca e occasionale saliva verso l'alto insieme al fumo e agli aromi dei fuochi delle cucine.

Questo era il suo spartano santuario segreto: qualche tatami, un takoyama, la porta illuminata per poter vedere dall'interno la sagoma di qualsiasi figura senza essere visto.

Davanti alla stanza c'era una grande anticamera con i corridoi che conducevano alle camere da letto, in quel momento occupate dai suoi domestici e dalla cameriera di Koiko, la concubina.

La sua famiglia, la moglie, i due figli maschi e la figlia nonché la consorte con il figlio erano al sicuro strettamente sorvegliati nel castello fortezza di famiglia, il Dente del Drago, sulle montagne a circa venti ri a settentrione. Oltre l'anticamera vi erano le guardie ed altre stanze con altre guardie personali.

Intinse il pennello nell'inchiostro. Posò la punta sulla delicata carta di riso e poi con mano ferma scrisse:

Spada dei miei padri Brandita dalle mie mani Con disagio

Tre linee verticali di caratteri, brevi e aggraziate, decise ma insieme lievi, dove necessario per evocare un'immagine. La scrittura dei caratteri giapponesi non concede la possibilità di correggere o modificare neppure l'errore più insignificante, poiché la carta di riso assorbe l'inchiostro immediatamente facendolo diventare parte indelebile di sé, dal grigio al nero più profondo rispetto all'uso del pennello e alla quantità di acqua contenuta nell'inchiostro.

Yoshi esaminò freddamente quello che aveva scritto, l'effetto creato dalle ombre dei tratti neri sul fondo bianco, la forma e la fluida e oscura chiarezza dei caratteri.

Perfetto, pensò senza vanità. Non potrei fare di meglio, sono pressoché al limite delle mie capacità. E che dire del significato della poesia, come dev'essere interpretato?

Questa è la domanda importante, questo è il motivo della sua bellezza. Ma mi farà ottenere ciò che voglio?

Tali interrogativi lo spinsero a ripensare alla stupefacente situazione che si era creata a Edo e a Kyòto.

Alcuni giorni prima era giunta notizia che con un improvviso e sanguinoso colpo di mano le truppe choshu avevano scacciato le forze satsuma e tosa, che negli ultimi sei mesi avevano mantenuto il governo del palazzo imperiale in una tregua difficile. Ora il principe Ogama di Choshu era al comando delle Porte del palazzo.

Alla riunione convocata in fretta e furia dal Consiglio c'era stato uno scontro violento tra i membri e Anjo aveva quasi perso la calma. “Choshu, Satsuma e Tosa! Sempre quei tre. Sono cani che devono essere finiti!

Senza di loro tutto sarebbe sotto controllo.”

“E' vero” rispose Yoshi, “ripeto che dobbiamo ordinare alle nostre truppe a Kyòto di soffocare immediatamente la ribellione, a qualsiasi prezzo!”

“No, dobbiamo aspettare. Le nostre forze non sono sufficienti.” Toyama, il più anziano del Roju, si accarezzò la barba brizzolata e disse: “Sono d'accordo con Yoshi-dono, la guerra è la nostra unica via, dobbiamo dichiarare Ogama di Choshu fuorilegge”.

“Impossibile!” esclamò Adachi lamentoso, parlando anche a nome dell'altro membro del Consiglio. “Noi siamo d'accordo con Anjo che non si possa rischiare di offendere tutti i daimyo incoraggiandoli a coalizzarsi contro di noi.”

“Dobbiamo agire senza indugi!” ripeté Yoshi. “Dobbiamo ordinare alle nostre truppe di riprendere le Porte, di soffocare la ribellione.”

“Le nostre forze non sono sufficienti. Aspetteremo fino a quando non sarà giunto il momento.”

“Perché non ascoltate il mio consiglio?”

Yoshi era così furente che quasi non riusciva più a nasconderlo. Si trattenne con grande fatica consapevole del fatto che agitarsi e perdere la calma avrebbero fatalmente scatenato l'ostilità degli altri.

Non era forse lui il più giovane del gruppo, quello con meno esperienza e tuttavia il più qualificato, colui che esercitava la maggiore influenza tra i daimyo, colui che, solo fra tutti i membri del Consiglio, se lo desiderava avrebbe potuto alzare il suo stendardo e chiamare l'intero paese alla guerra civile, com'era accaduto per secoli prima dello shògun Toranaga? Non erano stati forse tutti gonfi di astio e di veleno quand'era stato nominato Guardiano nonché membro del Consiglio su richiesta imperiale senza che essi fossero consultati, poco importa chi manipolasse il Figlio del Cielo?

“So di avere ragione. Non avevo forse ragione a proposito dei gai-jin? Ho ragione anche oggi.”

Il piano che aveva concepito per allontanare i gai-jin e la loro flotta da Edo, guadagnando così tempo per affrontare i problemi interni, si era rivelato un successo.

Era molto semplice: “Ripaghiamo i gai-jin con una miseria ma con gran pompa e presunta umiltà, poi proponiamo loro un futuro incontro con il Consiglio che verrà continuamente rimandato e infine cancellato, o che si potrà addirittura svolgere con qualche prestanome, se sarà davvero necessario, lasciando intendere, quando la loro pazienza sarà sul punto di esaurirsi, che, al ritorno dello shògun verrà organizzato anche un incontro con lui, incontro che sarà a sua volta rimandato, rinegoziato, rimandato e che insomma non avrà mai luogo o che, qualora avvenisse, non produrrà nient'altro che ciò che noi desideriamo.

“Abbiamo guadagnato un pò del tempo di cui avevamo tanta necessità e scoperto un metodo per trattare in futuro: usare la loro stessa impazienza contro di loro, fare promesse, offrire solo fumo e non concedere niente, o magari soltanto inezie di cui non abbiamo bisogno o che non vogliamo. Erano soddisfatti, la flotta è ripartita nella tempesta e forse è affondata. Nessuna nave ha ancora fatto ritorno.”

Fu ancora una volta il vecchio Toyama a parlare.

“Gli dei ci hanno aiutato con quella tempesta, ancora una volta il Vento Divino, il vento kamikaze, lo stesso che soffiò contro le orde dell'invasore Kublai Khan secoli fa. Quando li scacceremo, soffierà ancora, gli dei non ci abbandoneranno.

Adachi era molto fiero di sé. “E' vero che ho realizzato il nostro piano alla perfezione. I gai-jin erano docili come una cortigiana di quinta categoria.”

“I gai-jin sono una piaga che non guarirà mai fino a quando noi saremo i più deboli in termini di forza militare o di ricchezza” ribatté Anjo irritato, torcendosi le mani.

“Sono una piaga che non guarirà se non la cauterizzeremo col fuoco, e ancora non siamo in grado di fare niente, niente, senza i mezzi necessari per costruire navi e cannoni. Non possiamo mandare una parte delle nostre truppe a prendere le Porte. Non ancora. I choshu non sono ancora i nostri nemici più pericolosi, i nemici sono sonno-joi, e i cani shishi.” Yoshi aveva notato che sin dal tentato assassinio Anjo era molto cambiato: era molto più irascibile e ostinato e benché la sua influenza sugli altri Anziani non si fosse indebolita sembrava aver le idee meno chiare.

“Non sono d'accordo, tuttavia se ritieni che le nostre forze siano insufficienti ordiniamo una mobilitazione generale e facciamola finita con quei principi e tutti quelli che li aiutano!”

“La guerra è l'unica via, Anjo-sama” ripeté Toyama, “dimentica gli shishi, dimentica i gai-jin per il momento.

Le Porte sono più importanti... innanzitutto dobbiamo riprendere possesso di ciò che è nostro per diritto ereditario. “

“Lo faremo al momento giusto” ribatté Anjo. “Secondo punto: la visita dello shògun procederà come stabilito.”

Malgrado le proteste di Yoshi, Anjo aveva vinto ancora una volta la votazione per tre contro due e quand'erano rimasti soli, con malanimo aveva aggiunto: “Te l'avevo detto Yoshi-dono, voteranno sempre per me. Gli shishi non ce la faranno mai contro di me come non ce la farai tu né nessun altro.”

“Nemmeno lo shògun Nobusada?”

“Lui... lui non è un nemico e inoltre accetta i miei consigli.”

“E la principessa Yazu?”

“Obbedirà... obbedirà a suo marito.

“Obbedirà a suo fratello l'imperatore finché avrà vita”.

Sbalordito aveva ascoltato Anjo chiedere con un sorriso stiracchiato: “Proponi un incidente? Eh?”.

“Non propongo niente del genere.” Yoshi rabbrividì temendo che Anjo stesse diventando troppo pericoloso per vivere; era già troppo potente per essere neutralizzato, troppo lungimirante, sostenuto da folte schiere pronte e capaci di inghiottirlo...

Una sagoma si stava avvicinando silenziosamente alla porta. Mise per istinto mano alla spada pur avendo riconosciuto la figura, che si era inginocchiata. Un colpo delicato venne battuto sulla porta.

“Sì?” Lei fece scivolare la porta, si inchinò con un sorriso e attese.

“Ti prego di entrare, Koiko” disse, felice di quella visita inaspettata che scacciava d'un sol colpo tutti i suoi demoni.

Lei obbedì, richiuse la porta e corse verso di lui facendo frusciare il lungo kimono variopinto, si inginocchiò appoggiando una guancia alla mano di lui e notò subito la poesia. “Buonasera, signore.” Lui rise e la strinse in un tenero abbraccio. “A cosa devo questo piacere?”

“Mi siete mancato” rispose lei con semplicità.

“Posso leggere la vostri poesia?”

“Naturalmente.”

Mentre lei osservava la sua opera Yoshi osservava lei, un piacere di cui non era ancora sazio da quando, trentaquattro giorni prima, era venuta a vivere tra le mura del castello. Abiti di squisita eleganza, morbida seta, pelle di porcellana finissima, capelli corvini e scintillanti che, sciolti sulle spalle, raggiungevano la vita, naso delicato, i denti bianchi anziché anneriti secondo la moda di corte.

“Stupidi!” gli aveva detto suo padre quando era giunto all'età della ragione.

“Perché dovremmo annerirci i denti per seguire una tradizione di corte cominciata secoli fa da un imperatore che aveva i denti marci e che quindi decretò che avere i denti dipinti di nero fosse più bello che averli candidi come quelli delle fiere? E perchè usare tinture per le labbra e le guance come qualcuno ancora usa fare solo perchè un altro imperatore avrebbe voluto essere una donna e amava travestirsi imitato dai cortigiani che volevano ottenerne i favori?”

A ventidue anni Koiko era una tayu, il grado più alto di geisha che si potesse raggiungere nel Mondo Fluttuante.

Avendo sentito favoleggiare della sua bellezza alcuni mesi prima, Yoshi l'aveva mandata a chiamare e avendone molto apprezzato la compagnia aveva subito ordinato alla mama-san di Koiko di presentare un'offerta per i suoi servizi.

Secondo le regole l'offerta era stata esaminata dalla moglie di Yoshi, che dal Dente del Drago gli aveva scritto:

 

Amato marito, oggi ho concluso in modo soddisfacente gli accordi con la mama-san della tayu Koiko della Casa del Glicine. Sire, data la vostra posizione, abbiamo ritenuto che fosse preferibile, nonché più sicuro, ottenerne l'esclusiva, circondato come siete da nemici, e non limitarci a una prima opzione. Il contratto è rinnovabile ogni mese a vostro piacimento e un pagamento mensile assicurerà che i suoi servizi si mantengano all'alto livello che voi avete il diritto di pretendere.

La vostra consorte e io siamo liete che voi abbiate deciso di avere un giocattolo, eravamo e siamo tuttora molto preoccupate per la vostra salute e la vostra sicurezza. Mi congratulo per la vostra scelta poiché mi si dice che Koiko sia davvero di rara bellezza.

I vostri figli crescono felici e in buona salute così come vostra figlia. Anch'io godo di buona salute. Vi trasmettiamo la nostra fedele devozione e la nostalgia della vostra presenza. Vi prego di tenermi informata sulle vostre decisioni poiché devo ordinare al nostro ufficiale pagatore di disporre dei fondi...

 

Secondo le regole la moglie non aveva parlato di cifre, e le cifre infatti non lo interessavano.

Gestire la ricchezza di famiglia e provvedere al pagamento dei conti era uno dei compiti principali di una moglie.

 

Koiko alzò gli occhi. “La vostra poesia è impeccabile Yoshi-chan” disse battendo le mani. Chan era un diminutivo che rivelava la loro intimità.

“Tu sei impeccabile” rispose lui, nascondendo la soddisfazione. Oltre che per la sua grande bellezza Koiko era celebre a Edo per le sue qualità di calligrafa, per la raffinatezza delle sue composizioni poetiche e per la sua abilità nelle arti e nella politica.

“Adoro il modo in cui scrivete e la poesia è sublime. Adoro la complessità della vostra mente soprattutto perchè scegliete il verbo “brandire” quando un uomo meno raffinato userebbe “impugnare” o il più volgare “stringere” che darebbe un doppio senso erotico. E la scelta della parola finale, quel “disagio” finale... ah, Yoshi-chan, quanta intelligenza nell'usare quella parola per concludere, una parola segreta, perfetta. La vostra creazione è superba e può essere letta in dieci modi diversi.”

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