Gai-Jin (112 page)

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Authors: James Clavell

Tags: #Fiction, #Action & Adventure

BOOK: Gai-Jin
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Alla loro destra, il personale della cucina osservava immobile la scena senza capire. Molti dei samurai di guardia alla siepe si erano portati sul posto, lasciando così un varco incustodito come previsto dal piano di Katsumata e Saigo.

Saigo fischiò. Da destra, i due più validi combattenti balzarono dai cespugli e corsero verso il lontano angolo sudorientale. Vennero quasi subito individuati dai due samurai di guardia nei pressi, che si avventarono su di loro imprecando e chiamando rinforzi. Si scatenò un violento corpo a corpo.

Immensamente favoriti dall'oscurità i due assalitori colpirono uno dei samurai, che gridò e cadde stringendosi un braccio semi staccato dalla spalla. Le guardie alla siepe davanti a Saigo si allontanarono per gettarsi nella mischia. In quel momento i due shishi si sottrassero alla lotta e finsero di fuggire. Come prevedeva il piano, per dar modo a Saigo e agli altri tre di sferrare l'attacco finale, si precipitarono verso il recinto accanto alle cucine.

Mentre correvano, liberarono le corde munite di uncini che si erano avvolti intorno alla vita e, giunti sotto il recinto, le lanciarono con destrezza conficcandole nelle punte dei bambù e cominciarono ad arrampicarsi.

Gli inseguitori raddoppiarono i loro sforzi.

Ora tutta l'attenzione era concentrata sui due shishi sullo steccato.

Alcune guardie di stanza all'ingresso e sul lato estremo del quartiere dello shògun, che sapevano solo che due ronin erano penetrati all'interno della locanda e ora stavano tentando di scappare scavalcando il recinto, accorsero per fermarli.

Altre uscirono e si portarono all'esterno del recinto per aspettarli se lo avessero scavalcato.

Uno degli shishi raggiunse la cima della palizzata ma prima di riuscire a scavalcarla fu trafitto da un pugnale e rovinò all'indietro nei cespugli.

L'altro abbandonò la corda, balzò accanto al compagno in tempo per vederlo conficcarsi il pugnale in gola per sfuggire alla cattura. Subito colpito da una tempesta di colpi, si dimenò, si voltò e lottò con grande coraggio ma fu disarmato e immobilizzato sul terreno da quattro samurai.

“Chi sei?” chiese un samurai, senza fiato.

“Come ti chiami e cosa vuoi?”

“Sonno-joi... ubbidisci al tuo imperatore” ansimò il giovane lottando invano per sottrarsi alla loro presa. Completamente circondato dai samurai, Ishii sapeva di aver fatto la sua parte nell'azione e di disporre di forze sufficienti per continuare a distrarli ancora un pò. Appena lo avessero fatto prigioniero avrebbe spezzato con i denti la fiala di veleno cucita nel collo del kimono.

“Sono Hiroshi Ishii di Tosa, voglio vedere lo shògun.” Dal loro nascondiglio Saigo e i suoi cinque uomini sentivano le parole del compagno, tuttavia la loro attenzione era interamente concentrata sulla siepe e sull'ingresso. Anche le ultime guardie rimaste si allontanarono per raggiungere il prigioniero. Adesso finalmente la via era sgombra. “All'attacco!” I sei shishi balzarono in piedi e Saigo e Tora guidarono la carica.

Quando un samurai lanciò l'allarme facendo accorrere le guardie rimaste intorno ai corpi dei due primi shishi caduti, avevano già percorso quasi metà del tragitto. Per distrarre i samurai che lo stavano immobilizzando Ishii raccolse tutta l'energia che gli rimaneva in corpo, lanciò un grido forsennato e tentò di scappare, ma un pugno gli fece perdere i sensi.

“Voi due fermatevi qui” ansimò il samurai che lo aveva colpito leccandosi le nocche insanguinate. “Ma non uccidetelo, questo figlio di un cane ci serve vivo.”

Si alzò dolorante per una brutta ferita di spada alla coscia e, zoppicando, raggiunse gli altri.

Alcune guardie stavano guadagnando terreno sugli shishi, che ancora correvano verso il punto dove la siepe si incurvava. “Adesso!” ordinò Saigo. Subito i due shishi alla sua destra si girarono, impugnarono gli shuriken e si misero in posizione di difesa. I samurai rallentarono cautamente la corsa, guizzarono a destra e a sinistra, simularono un attacco, poi si avventarono sugli avversari.

Gli shuriken dei due shishi colpirono nel segno, ma senza recare ferite mortali. Cominciò un nuovo corpo a corpo, sei samurai contro due.

Arrivavano di corsa rinforzi sia dal cancello principale della locanda che dal luogo dove era avvenuta la prima diversione, e ora tutti, i samurai e gli shishi, convergevano verso la meta: l'ingresso al quartiere dello shògun.

Quando gli uomini del cancello principale si resero conto con orrore che le siepi del recinto interno e l'accesso al quartiere residenziale erano rimasti completamente incustoditi, e Saigo e tre dei suoi non erano lontani dal raggiungerli, si precipitarono per cercare di anticiparli e mettersi a difesa dell'ingresso, lasciando ad altri il compito di fermarli.

I due shishi impegnati nel corpo a corpo continuavano a lottare per coprire Saigo e Tora.

Erano entrambi feriti, ma avevano atterrato due samurai, che si contorcevano a terra per il dolore. Erano rimasti in quattro contro due, ma presto sarebbero arrivate altre guardie.

“Adesso!” ordinò Saigo. La coppia di shishi alla sua sinistra si staccò lanciandosi verso l'ingresso. Vi sarebbero sicuramente arrivati per primi, quindi le guardie che si dirigevano su Saigo mutarono direzione precipitandosi anche loro verso l'ingresso. Immediatamente Saigo e Tora si voltarono e si avventarono con ferocia contro i quattro samurai che stavano lottando con i due shishi che avevano creato la seconda diversione.

Ne uccisero due e misero gli altri fuori combattimento uscendo illesi dallo scontro. Avevano liberato i compagni feriti.

Saigo ordinò: “Andate,”.

Al grido di “sonno-joi” i due shishi corsero a unirsi ai compagni lanciati verso l'ingresso, attirando su di sé i samurai per consentire a Saigo e Tora di riprendere il loro assalto alla siepe.

I primi due shishi raggiunsero il piccolo sentiero d'ingresso e si precipitarono verso la porta. Mentre già uno di loro spingeva per aprirla, una freccia si conficcò profondamente nel legno e subito dopo furono entrambi colpiti da una pioggia di frecce tirate dagli arcieri sopraggiunti con i rinforzi. Gridarono, tentarono disperatamente di aprire la porta e morirono.

La seconda coppia di shishi raggiunse il sentiero. Uno dei due si avventò contro i samurai che li inseguivano, l'altro tentò di raggiungere l'ingresso, inciampò nei cadaveri dei compagni e morì trafitto da quattro frecce.

Il primo si scontrò con i samurai e fu subito ucciso.

Dall'inizio dell'azione erano trascorsi pochi minuti.

Adesso le vie d'accesso al sentiero erano sgombre. Presto i samurai più veloci avrebbero raggiunto l'ingresso e per Saigo e Tora, obbligati a dirigersi verso il cancello, sarebbe stato impossibile raggiungere la meta.

Sicuri della vittoria, i difensori rallentarono il passo e gli arcieri incoccarono le frecce con più calma.

Con loro grande stupore, invece di costeggiare la siepe, Saigo e Tora continuarono a correre in linea retta fianco a fianco.

La velocità accumulata e la precisione del salto consentì loro di sfondare la siepe. Durante la visita con la cortigiana, Saigo aveva notato che, benché i rami fossero fittamente intrecciati, i tronchi degli alberi distavano l'uno dall'altro mezzo metro: se avessero preso bene le misure e si fossero lanciati nella corsa, sarebbero riusciti ad attraversare la siepe.

Quell'ipotesi si dimostrò corretta, anche se i rami li graffiarono malamente al viso e alle braccia. I due uomini si ritrovarono esattamente dove Saigo aveva previsto, sul sinuoso sentiero che costeggiando la veranda conduceva al padiglione del bagno.

Intorno non si vedeva nessuno, poi alla porta si affacciarono alcuni inservienti terrorizzati, che li fissarono a bocca aperta e scapparono via. Saigo guidò silenziosamente il compagno nella corsa lungo il sentiero, sui gradini e dietro l'angolo della veranda.

Dal nulla sbucarono due uomini, disarmati e ignari. Uno dei due era il ciambellano. Saigo li colpì entrambi, uccidendo il ciambellano e ferendo l'altro, e proseguì. Tora finì il ferito, scavalcò i due cadaveri e raggiunse il compagno.

Attraversarono la veranda, svoltarono, sfondarono il leggero schermo dello shoji e irruppero nel padiglione del bagno. Le cameriere seminude fissarono immobili i due uomini, le loro spade insanguinate, i volti graffiati e sanguinanti, i kimono stracciati e sporchi. L'aria nel bagno era tiepida, umida e profumata.

Saigo levò un grido di rabbia. Il bagno fumante, alimentato da una sorgente naturale di acqua calda, era vuoto com'erano vuote le quattro botti di legno per i bagni di vapore e le tavole dei massaggi.

Tutte tranne una.

Il suo sguardo colse ogni particolare dell'esile ragazza che vi stava sdraiata: gli occhi pieni di paura, la bocca semiaperta, i denti anneriti, i capelli scuri raccolti in un abbagliante asciugamano bianco, il corpo allungato su altri asciugamani, il seno piccolo, le braccia, i piedi, i capezzoli scuri e la pelle morbida, invitante e dorata, ora arrossata dal calore del bagno, fragrante di olii profumati.

Poi notò la massaggiatrice cieca, seminuda e immobile accanto a lei, con il capo reclinato nell'ascolto.

Non gli sarebbe stato difficile uccidere la ragazza e tutte le donne presenti, ma aveva l'ordine tassativo di non fare del male alla principessa.

La rabbia di essere stato giocato lo stava facendo esplodere. Erano giunti nel padiglione del bagno esattamente secondo le previsioni, le informazioni erano state precise e lo shògun non cambiava mai le sue abitudini.

La rabbia si trasformò in una brama travolgente, ora voleva la ragazza con tutto se stesso, subito, l'avrebbe presa con violenza, e poi avrebbe ucciso entrambi, prima la moglie e poi il marito.

Si lanciò verso di lei con una smorfia sinistra. Le cameriere corsero a nascondersi tra le vasche d'acqua, una di loro svenne, la principessa sussultò e restò sdraiata, impietrita.

Ma Saigo la ignorò, perchè in lui l'odio per lo shògun aveva nuovamente preso il sopravvento, e si scagliò contro la porta di shoji squarciandola.

Seguito a breve distanza da Tora, corse senza esitazione lungo le verande, affiancate a destra dal giardino e a sinistra da una sequenza di stanze, verso gli appartamenti residenziali, dove finalmente avrebbe trovato la sua preda.

Non era più un uomo raziocinante, ma un animale inferocito, con il solo intento di uccidere. Le porte delle stanze erano aperte. Al suo passaggio le cameriere, le dame di compagnia e gli inservienti richiamati dal trambusto, vestiti o semi vestiti in attesa di passare la serata, di andare a letto o di fare il bagno, li fissavano raggelati dal terrore.

Quelle stanze non erano difese dalle guardie. Non ancora.

Nessuno li contrastò. Non ancora.

Dopo altre stanze, altri volti, altre porte, erano quasi giunti all'angolo, all'ultima veranda che dava su un bel passaggio coperto, fiancheggiato dal giardino su entrambi i lati. Li non avrebbero più corso il rischio di incontrare guardie nascoste nelle stanze. Saigo fremeva di eccitazione, aveva davanti a sé solo gli appartamenti dello shògun, dove segretamente aveva fatto l'amore con la cortigiana.

Con tutti i sensi all'erta udiva ancora Tora, qualche passo indietro, che correva veloce quanto lui e, più lontano, le voci e il rumore dei passi di uomini in affannata perlustrazione alla ricerca del nemico.

Superarono un'altra stanza.

Un'altra porta, l'ultimo pericolo.

Dall'interno un medico e un giovane con la tosse li guardarono passare, immobili dalla paura. Saigo e Tora svoltarono l'angolo e insieme si lanciarono nell'attacco finale.

Ma all'improvviso si bloccarono e i loro cuori smisero di battere.

Dalla stanza dello shògun uscirono un ufficiale e tre samurai, che si pararono ad aspettarli con le spade sguainate. Dopo un attimo di esitazione, Saigo e Tora si scagliarono contro i nemici, determinati a uccidere o a essere uccisi. Solo quattro uomini, tra loro e il bersaglio, lo shògun.

“Sonno-joi!” Il capitano resistette alla prima carica, schivò il colpo, congiunse le spade, si voltò e si avventò contro Saigo, mentre due samurai attaccarono Tora e il terzo rimase in disparte come gli era stato ordinato. Saigo parò, sferrò un colpo di spada potente quanto quello dell'avversario ma lo mancò.

Ingaggiarono un feroce combattimento.

Saigo lottava con enorme, sovrumana sicurezza, convinto che il successo dell'impresa fosse molto vicino e che la sua spada, quasi mossa da volontà propria, avrebbe trapassato la carne del nemico e subito dopo ucciso l'infante shògun...

All'improvviso fu folgorato da un pensiero martellante, le immagini del dottore e di quel ragazzo gli apparvero come fantasmi, e ricordò di aver sentito che l'infante shògun soffriva di una tosse secca e insistente.

Naturalmente non esistevano ritratti dello shògun, naturalmente nessuno shishi lo aveva mai incontrato.

“Se non lo trovi nel padiglione del bagno” aveva detto Katsumata, lo riconoscerai dai denti anneriti, dalla tosse, dal fatto che sta sempre vicino alle sottane della principessa e dai vestiti raffinati. Ricorda, sia lui che la principessa detestano avere guardie intorno.” Con un impeto di forza immensa, ululando come una fiera, Saigo si avventò sul capitano, che scivolò sul pavimento lucido perdendo per un attimo il controllo. Invece di sferrargli il colpo mortale si girò per correre dal ragazzo. Il terzo samurai, cogliendo il momento che gli avevano ordinato di aspettare, lo colpì al fianco.

Ma Saigo non sentì il dolore della profonda ferita: si avventò contro il fantasma dello shògun davanti ai suoi occhi trafiggendolo più volte con tutta la forza che aveva in corpo prima di scivolare sul pavimento, già morto mentre ancora combatteva.

Il capitano, alzatosi da terra, si avventò contro Tora, lo infilzò, come un esperto macellaio, estrasse la lama dal corpo inerte e con un unico colpo lo decapitò.

“Fate lo stesso a quello” ansimò indicando Saigo, con il petto gonfio per lo sforzo di riprendere fiato, poi si precipitò subito verso la veranda.

Sull'angolo, incrociò il suo secondo e il drappello di samurai che accorrevano dal cancello principale.

Li insultò, li spinse da parte e proseguì gridando: “Tutti gli uomini di questo turno si radunino nel piazzale all'esterno della locanda, senza armi e in ginocchio. Anche tu!”.

Il suo cuore batteva ancora all'impazzata e il panico lo attanagliava; era fuori di sé per l'accaduto. Poco prima del tramonto Nobusada lo aveva chiamato: “Ritirate tutte le guardie presenti all'interno della siepe.

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