Gai-Jin (66 page)

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Authors: James Clavell

Tags: #Fiction, #Action & Adventure

BOOK: Gai-Jin
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“Buono, vero?” gli chiese Tyrer con un sorriso finendo la prima tazza.

“Ne vuoi ancora?”

“No, grazie. Questa abitudine inglese, sì?”

“Sì, inglese e americana, ma non francese.

“ Tyrer alzò le spalle. “I francesi non hanno gusto.”

“Ah, so ka?” A Hiraga non era sfuggito il tono di scherno. “Francesi non come inglesi?” chiese con finta innocenza accantonando per il momento la rabbia.

“Per l'amor di Dio no, non sono affatto come noi. I francesi vivono sul continente, noi invece viviamo su un'isola, come voi. Siamo diversi in tutto, abitudini, cibo, sistema di governo, e naturalmente la Francia ha meno potere della Gran Bretagna.”

Tyrer aggiunse un altro cucchiaino di zucchero al tè soddisfatto di essere riuscito a placare la rabbia di Hiraga. “Siamo molto diversi.”

“Oh, davvero? Inglesi e francesi fatto guerra?” Tyrer rise. “Dozzine di volte nel corso dei secoli, e a volte sono stati alleati. Nell'ultimo conflitto eravamo alleati.”

Gli raccontò brevemente della guerra in Crimea, poi di Napoleone Bonaparte, della rivoluzione francese e dell'imperatore Luigi Napoleone. “E' il nipote di Napoleone Bonaparte, un vero buffone. Bonaparte non era un buffone, ma era l'uomo più cattivo mai esistito ed è stato responsabile di centinaia di migliaia di morti. Se Wellington, Nelson e il nostro esercito non l'avessero fermato avrebbe conquistato il mondo intero. Hai capito quello che ho detto?”

Hiraga annuì: “Non tutte parole, ma capito”. Aveva colto il senso del discorso e ne era rimasto turbato perchè non riusciva a spiegarsi come un grande generale potesse venir considerato cattivo. “Prego, continua, Taira-san.” Tyrer proseguì la lezione di storia, poi si interruppe: “Torniamo al tuo caso. Quando hai lasciato lo Yoshiwara le guardie ti hanno creato problemi?”.

“No, fatto finta portare ortaggi.”

“Bene. Ah, a proposito, hai visto Raiko-san?”

“Sì. Fujiko non disponibile domani.”

“Oh. Non importa.” Tyrer alzò le spalle ma si sentì morire.

Hiraga percepì il suo disappunto e se ne rallegrò. Sonno-joi, pensò con astio. Era stato costretto a pagare di tasca sua i servizi di Fujiko ma non se ne preoccupava. Raiko gli aveva detto: “Visto che paghi bene, anche se non quanto i gai-jin, accetto. Ma Taira dovrà avere Fujiko dopodomani; non voglio che se ne trovi un'altra...”.

Tyrer stava dicendo: “Nakama-san, l'unica sicurezza per te qui è non uscire mai dall'Insediamento. Non ti manderò più allo Yoshiwara.

Devi stare qui”.

“Meglio io trova casa sicura nel villaggio, Taira-san. Dentro recinto più sicuro. Ogni giorno vengo qui all'alba, o quando vuoi, per insegnare e imparare. Tu sensei molto buono. Questo risolvere problema, sì?” Tyrer esitò. Non voleva togliergli il guinzaglio e lasciarlo del tutto libero ma neppure voleva più averlo troppo vicino. “Si, se prima mi mostrerai la casa dove andrai a vivere e non ti muoverai senza dirmelo.” Hiraga annuì e disse: “Accetto. Per favore, di' soldati giusto io sta qui e nel villaggio?”.

“Sì, lo farò. Sono sicuro che sir William sarà d'accordo.”

“Grazie, Taira-san. Di' anche soldati se attacca di nuovo io prende katana.”

“No! Ti proibisco di farlo! Sir William ti ha proibito di farlo! Niente armi, niente spade!”

“Per favore, di' soldati non attacca per favore.”

“Sì, lo prometto. Ma se ti troveranno con la spada ti uccideranno, ti spareranno!” Hiraga alzò le spalle. “Per favore, niente attacco. Wakatta?” Tyrer non rispose. Wakatta era la forma imperativa di wakarimasu ka, capisci?

“Domo.” Reprimendo una violenza che Tyrer poteva quasi odorare, Nakama lo ringraziò nuovamente e promise di tornare al tramonto per condurlo al proprio rifugio e per rispondere a tutte le domande che gli volesse porre.

Si inchinò.

Tyrer rispose e lo guardò uscire. Soltanto allora vide le escoriazioni che gli coprivano la schiena e le gambe.

Quella sera si alzò il vento e il mare si increspò.

Le navi all'ancora nella baia avevano sistemato la velatura e si preparavano alla notte. I marinai del turno delle otto erano già ai loro posti di servizio. Nelle prigioni di bordo erano rinchiusi più di cinquanta uomini.

Sei di loro stavano diligentemente preparando il gatto a nove code con cui all'alba sarebbero stati puniti con cinquanta frustate per aver turbato l'ordine e la disciplina militare: uno per aver minacciato di spezzare il collo a un nostromo omosessuale, tre per rissa, uno per aver rubato una razione di rum e un altro per aver insultato un ufficiale.

Sempre all'alba si sarebbero celebrate nove sepolture in mare.

Le infermerie della flotta erano piene di ammalati di dissenteria, diarrea, influenza, pertosse, scarlattina, morbillo, malattie veneree, arti rotti ed ernie. Tutte malattie comuni, solo a bordo dell'ammiraglia erano ricoverati in isolamento quattordici marinai con il vaiolo.

Le malattie venivano curate soprattutto con salassi e forti purganti perchè quasi tutti i dottori erano anche barbieri, e solo i pazienti più fortunati venivano curati con la tintura del dottor Collis, inventata durante la guerra in Crimea, che aveva ridotto di tre quarti la mortalità per dissenteria: sei gocce di quel liquido scuro a base di oppio calmavano gli spasmi intestinali.

Nell'Insediamento tutti si preparavano per la cena e per il momento più atteso della giornata: la conversazione del dopocena, durante la quale ci si scambiavano pettegolezzi e novità, grazie a Dio il postale era atteso per l'indomani, e si commentavano con ironia e affettuoso cameratismo gli scandali piccanti, il ballo, la tensione per i problemi di lavoro e la possibilità di una guerra imminente.

Qualcuno raccontava la trama dell'ultimo libro letto e qualcun altro replicava con una storiella divertente o una poesia.

Si favoleggiava di tempeste, terre ghiacciate e deserti, ci si raccontava di viaggi nei luoghi più remoti dell'Impero, in Nuova Zelanda, in Africa e in Australia, di cui erano state esplorate soltanto le zone costiere, o nel Selvaggio West americano e canadese; storie sulla California e la Corsa all'Oro del '48 e viaggi in Spagna, Francia o nell'America russa, Dmitri aveva navigato lungo la costa occidentale americana, poco esplorata, da San Francisco fino in Alaska, in terra russa, e ciascuno raccontava delle stranezze che aveva visto, delle ragazze che aveva sedotto e delle guerre di cui era stato testimone. Buon vino, liquori, pipe, tabacco della Virginia, qualche bicchierino al circolo, poi le preghiere e a letto.

Una tipica serata dell'Impero.

Alcuni padroni di casa prediligevano i cori, le letture di poesia e di brani di romanzi famosi. Alla festa esclusiva di Norbert Greyforth, infatti, quella sera si dava lettura della copia clandestina dell'ultimo capitolo di Grandi Speranze, che nell'ora a sua disposizione Greyforth aveva fatto copiare mettendo al lavoro tutti i cinquanta impiegati della Brock.

“Se lo si verrà a sapere vi licenzierò tutti” aveva minacciato. Anche gli invitati si erano impegnati a mantenere il segreto.

Al circolo i mercanti commentavano il ballo della sera prima e si chiedevano come fare affinché si ripetesse.

“Perché non organizzarne uno tutte le settimane? Tette d'Angelo potrebbe sgambettare e mostrarmi i suoi mutandoni tutti i giorni della settimana insieme a Naughty Nellie Fortheringill...”

“Smettila di chiamarla Tette d'Angelo, per Dio!”

“Tette d'Angelo ha e Tette d'Angelo è!” Tra le beffe e gli insulti era scoppiata una rissa. Mentre in sala si facevano scommesse, i due contendenti, Lunkchurch e Grimm stabilirono la zona di combattimento e cominciarono ad azzuffarsi senza risparmio di colpi.

Dirimpetto, sul lato della strada verso il mare, c'era il grande edificio di mattoni della Legazione britannica, con l'asta della bandiera nel cortile e i giardini ben tenuti, circondato, come tutti i palazzi più importanti dell'Insediamento, da un'alta recinzione protettiva.

Sir William e l'ammiraglio, suo ospite d'onore, entrambi vestiti da sera, erano furenti.

“Maledetti bastardi!” esclamò l'ammiraglio con il volto più paonazzo del solito, dirigendosi verso la mensola per versarsi un altro whisky generoso. “Sono al di là di ogni comprensione.”

“Assolutamente.” Sir William gettò da parte il rotolo e fissò adirato Johann e Tyrer.

Lo scritto era arrivato un'ora prima per mano di un messaggero inviato dal governatore giapponese a nome della Bakufu.

“Molto urgente, spiacente”. A differenza del solito, il messaggio non era scritto in olandese bensì in giapponese. Con il consenso di Seratard, Johann si era fatto aiutare da un missionario gesuita di passaggio e ne aveva stilato una prima traduzione che Tyrer aveva subito trascritto in buon inglese.

Il messaggio proveniva dal Consiglio degli Anziani ed era firmato da Anjo:

 

Vi invio formalmente questo dispaccio per comunicarvi che per ordine dello shògun, attualmente a Kyòto, l'incontro con il Roju e l'incontro con lo shagun previsto per lo stesso giorno, che secondo gli accordi provvisori avrebbero dovuto tenersi tra diciannove giorni, saranno posticipati di tre mesi in quanto Sua Maestà non rientrerà prima di quella data. A questa comunicazione farà seguito una Conferenza durante la quale verranno definite le modalità specifiche di tali incontri. La consegna della seconda rata della donazione sarà posticipata di trenta giorni. Rispettosamente e umilmente.

 

“Johann” disse sir William in tono gelido, “non ritenete che questo messaggio sia oltremodo duro e scortese nonché decisamente offensivo?”

“Si può definire così, sir William” rispose con cautela lo svizzero.

“Per Dio, ho contrattato, minacciato, perso il sonno, rinegoziato per giorni prima di riuscire a farli giurare sulla vita dello shògun che l'incontro con il Consiglio si sarebbe tenuto a Edo il 5 novembre e quello con lo shògun il 6, e adesso mandano questo!”

Sir William trangugiò il suo gin e imprecò per almeno cinque minuti in inglese, francese e russo. Gli altri lo fissavano ammirati dalla strabiliante ricchezza del suo vocabolario di volgarità.

“Avete ragione” sentenziò l'ammiraglio. “Tyrer, versate al povero sir William un altro gin.” Tyrer si precipitò a ubbidire. Sir William trovò il fazzoletto, si soffiò il naso, fiutò una presa di tabacco, starnuti e si soffiò di nuovo il naso.

“Che peste li colga!”

“Che cosa proponete, sir William?” chiese l'ammiraglio, sforzandosi di celare il piacere per l'ennesima umiliazione subita dall'avversario.

“Risponderò immediatamente. Per favore ordinate alla flotta di far rotta su Edo domani stesso per cannoneggiare le installazioni del porto che vi indicherò.” Gli occhi azzurri dell'ammiraglio si strinsero. “Credo sia meglio discuterne in privato. Signori!” Tyrer e Johann si apprestarono a uscire.

“No” intervenne sir William. “Johann, voi potete andare. Per favore, aspettatemi fuori. Tyrer è una delle mie persone di fiducia, deve rimanere.”

Nonostante il disappunto, l'ammiraglio non disse niente finché la porta non fu richiusa.

“Conoscete molto bene il mio punto di vista sui bombardamenti. Finché non riceverò disposizioni dall'Inghilterra io non darò l'ordine di colpire se non in caso di attacco nemico!”

“La vostra posizione ostacola i negoziati. Il nostro potere dipende dal fuoco dei nostri cannoni, da nient'altro!”

“La penso come voi ma ho una diversa valutazione dei tempi.”

“La scelta dei tempi dipende da me. Bene.

Abbiate dunque la compiacenza di ordinare un bombardamento limitato, venti cannonate, ai bersagli che indicherò.”

“No, dannazione! Non sono stato chiaro? Quando arriverà l'ordine metterò a fuoco il Giappone se necessario, ma prima non sparerò un colpo.” Sir William arrossì. “La vostra riluttanza a mettere in atto la politica di Sua Maestà anche con i mezzi più irrisori è inconcepibile.”

“Il problema nasce soltanto da un desiderio di ambizione personale.

Che differenza fanno pochi mesi? Nessuna, eccetto la prudenza!”

“Al diavolo la prudenza” ribatté furente sir William. “E' ovvio che riceveremo istruzioni di procedere come io, ripeto, io vi sto suggerendo di fare.

Rimandare è imprudente. Inoltrerò richiesta con il postale di domani di sostituirvi con un ufficiale più sensibile agli interessi di Sua Maestà, e più esperto!” L'ammiraglio divenne paonazzo. Erano in pochi a sapere che nel corso della sua carriera non aveva mai preso parte a un combattimento, né terrestre né navale. Non appena fu in grado di parlare disse: “Questo, signore, è nei vostri diritti. In attesa della mia sostituzione, o della vostra, resto al comando delle forze di Sua Maestà in Giappone. Buonanotte, signore”.

E uscì sbattendo la porta.

“Canaglia” mormorò sir William. Poi vide l'espressione impietrita di Tyrer, che fino a quel momento era rimasto dietro le sue spalle. “Farete bene a tenere la bocca chiusa. Ve lo hanno insegnato?”

“Sissignore, certo.”

“Bene.” Sir William decise di rimandare le sue preoccupazioni sulla Bakufu, i Roju e l'intransigenza dell'ammiraglio a un altro momento.

“Tyrer, servitevi uno sherry, sembrate averne bisogno. Potreste unirvi a noi per la cena visto che l'ammiraglio ha declinato il mio invito. Giocate a backgammon?”

“Sì, signore, grazie, signore” rispose mansueto Tyrer.

“Già che ci siete, cos'è questa storia della schermaglia tra il vostro samurai e l'esercito britannico?”

Tyrer raccontò i particolari dell'accaduto ed espose la soluzione che aveva trovato senza accennare alla minaccia del sensei Hiraga di armarsi di spade. Si sentiva sempre più colpevole nel nascondere la verità al ministro.

“Vorrei tenerlo con me, signore, naturalmente con la vostra approvazione, perchè è un ottimo insegnante e sono sicuro che potrà esserci utilissimo.”

“Ne dubito. E necessario evitare ogni ulteriore problema. Quel tipo potrebbe diventare una serpe in seno all'Insediamento. Voglio che sia allontanato domani stesso.”

“Ma signore, mi ha già fornito informazioni preziosissime.” Assalito da un improvviso sconforto Tyrer sbottò: “Per esempio, mi ha detto che lo shògun è soltanto un ragazzo di sedici anni ed è una marionetta della Bakufu, che il vero potere è dell'imperatore, ha usato spesso il titolo Mikado, che vive a Kyòto.”

“Dio santissimo!” esplose sir William. “E' vero?” Tyrer stava per lasciarsi sfuggire che il samurai parlava inglese ma riuscì a trattenersi. “Non lo so ancora, signore, non ho avuto il tempo di interrogarlo a fondo. Non è facile farlo parlare, ma si, credo che mi abbia detto la verità.” Sir William lo fissò. Era sconvolto dall'importanza di quelle informazioni.

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