Gai-Jin (67 page)

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Authors: James Clavell

Tags: #Fiction, #Action & Adventure

BOOK: Gai-Jin
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“Che altro vi ha raccontato?”

“Sono soltanto all'inizio: come potete immaginare, un interrogatorio di questo tipo richiede molto tempo” rispose Tyrer sempre più rinfrancato.

“Mi ha parlato anche dei ronin. La parola ronin significa “onda” signore, lì chiamano così perchè sono liberi come le onde. I ronin sono samurai messi fuorilegge per diverse ragioni.

La maggior parte di loro sono avversari della Bakufu, come Nakama. Nakama sostiene che la Bakufu ha usurpato il potere del Midako, scusate, del Mikado, come ho già detto.”

“Un momento, non così veloce, Tyrer. Non ci manca il tempo.

Chi è un ronin, esattamente?” Tyrer glielo spiegò.

“Buon Dio!” Sir William si concesse una pausa per riflettere. “Così i ronin sono samurai dichiarati fuorilegge perchè il loro re è malvisto dalla Bakufu, oppure dichiarati fuorilegge dai loro stessi re per delitti più meno reali, o ancora sono samurai che hanno scelto di diventare fuorilegge e che si uniscono per rovesciare il governo centrale del fantoccio shògun?”

“Sì, signore. Nakama lo chiama governo illegale.”

Sir William sorseggiò l'ultimo goccio di gin e annuì. Quelle informazioni creavano in lui stupore e sollievo.

“Dunque Nakama è un ronin, quello che voi definireste dissidente e io chiamerei piuttosto rivoluzionario?”

“Sì, signore. Scusatemi, signore, posso sedermi?” chiese Tyrer tremando.

Avrebbe desiderato gridare tutta la verità ma non ne aveva a coraggio.

“Certo, certo, Tyrer; scusate. Ma prima versatevi un altro sherry e portatemi un bicchiere di gin.” Sir William lo guardò. Era soddisfatto di lui e al tempo stesso inquieto: l'esperienza accumulata in anni di rapporti con diplomatici e spie, fatta di mezze verità, bugie e palese disinformazione gli suggeriva che l'altro gli stava nascondendo qualcosa.

Accettò il bicchiere.

“Grazie. Prendete quella sedia, è la più comoda.

Salute! Si vede che parlate molto bene il giapponese per aver ottenuto tante informazioni in pochi giorni” disse con disinvoltura.

“No, signore, mi dispiace. Ma sto dedicando tutto il mio tempo a impararlo. Con Nakama, be', oltre che con una infinita pazienza, comunico con i gesti, con alcune parole in inglese e con le poche parole e frasi in giapponese che mi ha dato André Poncin. Poncin mi è stato di grande aiuto, signore.”

“André è al corrente di quello che quest'uomo vi ha detto?”

“No, signore.”

“Non ditegli niente. Niente. Chi altro ne è al corrente?”

“Nessuno, signore, tranne Jamie McFay.” Tyrer trangugiò il suo sherry. “McFay qualcosa sapeva già e, be', è un tipo molto convincente... mi ha carpito le informazioni sullo shògun.” Sir William sospirò. “Si, Jamie è convincente, per usare un eufemismo, e sa sempre più di quanto non dica.” Si appoggiò allo schienale della comoda, vecchia poltrona girevole in pelle e sorseggiò il gin.

Considerava tra sé le preziose informazioni appena ricevute e già riformulava la risposta da dare al brutale messaggio di Anjo chiedendosi quanto potesse osare e quanto si potesse fidare delle notizie di Tyrer. Come sempre gli accadeva in circostanze di quel genere, ricordò con disagio le ammonizioni con cui era stato congedato dal capo del suo ministero.

“Quanto a Nakama” concluse, “accetto il vostro piano, Phillip... posso chiamarvi Phillip?” Tyrer arrossì di piacere per l'inatteso onore. “Certo, signore, grazie, signore.”

“Bene, grazie. Per il momento accetto il vostro piano, ma per l'amor di Dio state attento, non dimenticate che i ronin hanno commesso tutti gli omicidi, tranne quello del povero Canterbury.”

“Starò attento, sir William, non preoccupatevi.”

“Fatevi dire il più possibile e non parlatene a nessuno e comunicatemelo immediatamente. Per l'amor di Dio state attento, tenete sempre un revolver a portata di mano e al minimo segno di violenza da parte sua chiamate aiuto, sparategli o mettetelo ai ferri.”

Accanto alla Legazione britannica c'erano la Legazione americana, olandese, prussiana e francese. Quella sera, nel suo appartamento alla Legazione francese, Angélique si stava preparando con l'aiuto di Ah Soh.

Era attesa un'ora più tardi alla cena che Seratard aveva organizzato in onore suo e di Malcolm per festeggiare il loro fidanzamento. Dopo cena era previsto un concerto.

“Ma non suonate troppo a lungo, André, dite che siete stanco” lo aveva avvertito lei.

“Così avrete il tempo che occorre per compiere la vostra missione, no? Gli uomini sono molto fortunati.” Angélique era contenta di essersi trasferita, ma anche triste. E' più saggio, pensò. Fra tre giorni potrò tornare nell'appartamento accanto a quello di Malcolm. Comincerò una nuova vita, una nuova...

“Qualcosa non va, signorina?”

“Niente, Ah Soh.” Angélique si sforzò di distogliere i pensieri da quello che presto avrebbe dovuto affrontare e spinse la paura nei recessi più remoti della mente.

In fondo alla strada, nel tratto migliore del lungomare, quasi tutte le finestre del palazzo Struan erano illuminate, come nell'adiacente palazzo della Brock and Sons, poiché molti impiegati e cambiavalute erano ancora al lavoro.

Nell'appartamento del tai-pan, molto più ampio e confortevole di quello in cui aveva vissuto fino al giorno prima, Malcolm Struan tentava faticosamente di indossare gli abiti da sera. “Jamie, che cosa mi consigliate? Dannazione, dovrei sapere da solo come comportarmi con mia madre e le sue lettere, è un problema mio e non vostro! Sta minacciando anche voi, vero?”

Jamie McFay alzò le spalle.

“Per lei dev'essere difficile. Dal suo punto di vista ha ragione, vuole solamente il vostro bene. Penso che sia preoccupata a morte per la vostra salute e perchè siete lontano e non può raggiungervi. D'altra parte i problemi della Struan non si possono risolvere da Yokohama, tutto si concentra a Hong Kong.

La China Cloud arriverà tra qualche giorno da Shanghai e da qui farà subito rotta verso Hong Kong. Tornerete con la China Cloud?”

“No, e per favore non sollevate più la questione” disse Struan in tono tagliente.

“Vi dirò io quando noi, Angélique e io, partiremo. Spero soltanto che mia madre non sia a bordo, sarebbe il colpo di grazia.” Struan si chinò per infilare gli stivali ma il dolore era troppo e non vi riuscì. “Scusate, volete aiutarmi voi? Grazie.”

Poi esplose: “Essere ridotto come un fottuto invalido mi sta facendo uscire di senno”.

“Posso immaginarlo.” McFay nascose lo stupore. Era la prima volta che sentiva Struan imprecare in quel modo.

“Mi comporterei come voi, anzi, molto peggio” aggiunse con dolcezza. Sentiva molto affetto per Malcolm e ne ammirava il coraggio.

“Quando saremo sposati e questa lunga attesa sarà finita, tutto si sistemerà.”

Con la consueta difficoltà Struan usò il vaso da notte e si accorse che l'urina era macchiata di sangue.

Già il giorno prima aveva riferito al dottor Hoag che quell'inconveniente si era verificato di nuovo e il medico gli aveva detto di non preoccuparsi. “Allora perchè sembri preoccupato?”

“Non lo sono, Malcolm, ne ho solamente preso nota. Nel caso di lacerazioni interne di questo tipo è necessario prendere nota di ogni sintomo che si presenti durante il processo di guarigione...” Dopo aver finito, Struan si trascinò verso la poltrona accanto alla finestra e vi si lasciò cadere. “Jamie, vorrei chiedervi un favore.”

“Certo, qualsiasi cosa, in che modo posso esservi utile?”

“Potreste... ecco... ho bisogno di una donna. Potreste farmene venire una dallo Yoshiwara?” Jamie era sconcertato. “Io... sì, immagino di si.”

Poi aggiunse: “Credete che sia prudente?”.

Una folata di vento fece muovere le imposte e frusciare gli alberi del giardino. Dal tetto caddero alcune tegole costringendo alla fuga i topi provenienti dai mucchi di spazzatura abbandonata senza riguardo in High Street e dal fetido canale intorno all'Insediamento, che fungeva anche da fogna.

“No” rispose Malcolm.

 

A mezzo miglio di distanza dal palazzo Struan, in un'anonima casa del villaggio giapponese nei pressi della Città Ubriaca, nudo e allungato sulla pancia Hiraga si stava facendo massaggiare.

La casa aveva una facciata decrepita e, come le altre allineate sui due lati della stradina sterrata, serviva al tempo stesso da abitazione, magazzino e, durante il giorno, da negozio.

All'interno, come molte case di mercanti facoltosi, era pulitissima, ben curata e spaziosa.

Apparteneva allo shoya, l'anziano del villaggio.

La massaggiatrice era cieca.

Di una ventina d'anni, era una giovane di costituzione robusta, dal volto gentile e il sorriso dolce. In Asia per tradizione l'arte del massaggio era monopolio dei ciechi, sebbene a volte la praticassero anche le altre persone. E, sempre per tradizione, i ciechi erano sempre al sicuro e non venivano mai aggrediti.

“Siete molto forte, samurai-sama” disse la giovane, rompendo il silenzio.

“Coloro che si sono scontrati con voi sicuramente sono morti o stanno soffrendo.” Hiraga non rispose subito perchè si stava godendo il tocco esperto delle sue dita, che individuavano i muscoli tesi e li rilassavano. “Forse.”

“Per favore, mi consentite di consigliarvi uno speciale olio cinese che aiuterà i graffi e le ferite del vostro corpo a guarire rapidamente?” Sorrise. I massaggiatori usavano spesso quel trucco per guadagnare qualche soldo in più. “Bene, usatelo pure.”

“Oh, voi sorridete, onorato samurai! Non è un trucco per spillarvi denaro” disse mentre le sue dita lavoravano sulla schiena. “E un segreto che mi ha tramandato mia nonna. Anche lei era cieca.”

“Come hai capito che sorridevo?” La risata della ragazza gli ricordò un'allodola che alle prime luci si libra nelle alte correnti del cielo.

“Il sorriso comincia in molte parti del corpo. Le mie dita vi ascoltano, ascoltano i vostri muscoli e a volte anche i vostri pensieri.”

“E a che cosa sto pensando adesso?”

“A sonno-joi. Ah, avevo ragione!” Ancora quella risata che lo sconcertava.

“Ma non temete, non avete detto niente, i padroni qui non hanno detto niente e io non dirò niente.

Tuttavia le dita mi suggeriscono che siete un grande uomo di spada, il migliore che io abbia mai servito.

Ed è certo che non siete un membro della Bakufu; dovete essere un ronin, un ronin per scelta, visto che siete stato accolto in questa casa, quindi siete uno shishi, il primo mai stato qui.” Si inchinò. “Ne siamo onorati. Se fossi un uomo anch'io sosterrei sonno-joi.”

La ragazza premette di proposito le dita d'acciaio su un centro nervoso e sentì che il corpo di lui veniva attraversato da un tremito di dolore”.

Era contenta di poterlo aiutare più di quanto lui non sapesse. “Spiacente, ma questo è un punto molto importante per rinvigorirvi e far fluire le vostre energie vitali.” Hiraga sospirò: quel dolore lo costringeva contro il futon eppure era stranamente piacevole. “Anche tua nonna era una massaggiatrice?”

“Sì. Nella mia famiglia almeno una bambina ogni due generazioni nasce cieca. In questa vita è toccato a me.”

“Karma.”

“Sì.

Dicono che ai giorni nostri in Cina il padre o la madre accechino una delle figlie cosicché da adulta possa trovare un lavoro sicuro per tutta la vita.” Hiraga non aveva mai sentito quella storia ma le credette e si irritò.

“Qui non siamo in Cina e non lo saremo mai. Un giorno ci impadroniremo della Cina e la civilizzeremo.”

“Eeeh, spiacente di aver turbato la vostra armonia, signore, vi prego di scusarmi, molto spiacente. Ah, così va meglio, scusatemi ancora. Stavate dicendo, signore? Civilizzare la Cina? Come voleva fare il dittatore Nakamura? E' possibile?”

“Sì, un giorno lo sarà. Il nostro destino è quello di conquistare il Trono del Drago, come il tuo è quello di massaggiare e di tacere.” Ancora una volta la sua risata trillò nell'aria come il canto di un uccello.

“Sì, signore.” Hiraga sospirò mentre le sue dita allentavano la pressione e al dolore si sostituiva una sensazione di piacere diffuso. Dunque tutti sanno che io sono uno shishi, pensò.

Tra quanto tempo sarò tradito? Perché non dovrebbe accadere? Due koku di ricompensa sono una fortuna.

Non gli era stato facile trovare quel rifugio. Mentre si aggirava per il quartiere al suo passaggio cadeva il silenzio perchè lui era un samurai, un samurai senza spade e con l'aspetto di un selvaggio. Tranne le persone più vicine, che si inchinavano temendo per il proprio destino, tutti fuggivano alla sua vista, “Tu, vecchio, dov'è il ryokan, la locanda più vicina da queste parti?”

“Non ne abbiamo nessuna, signore, non ce n'è bisogno, onorato signore” mormorò il vecchio calzolaio reso loquace dalla paura, “il nostro Yoshiwara non è lontano.

E' più grande di quello di molte città e li troverete dozzine di posti in cui alloggiare e centinaia di ragazze, per non parlare delle cameriere, delle tre vere geishe e delle loro sette allieve. E' laggiù...”

“Basta! Dov'è la casa dello shoya?”

“E' quella, signore.”

“Dove, idiota? Alzati e mostrami come ci si arriva.” Furente, Hiraga seguì il vecchio lungo la strada desiderando accecare tutti quelli che lo spiavano da ogni fessura e soffocare i mormorii che si levavano al suo passaggio.

“Ecco, signore.” Hiraga lo scacciò. L'insegna, posta all'esterno del negozio stipato di merci di ogni tipo ma deserto, annunciava la residenza e l'ufficio di Ichi Ryoshi, lo shoya, mercante di riso e banchiere, l'agente del Gyokoyama a Yokohama. Il Gyokoyama era uno zaibatsu, cioè un gruppo di famiglie unite da interessi commerciali. Molto potente a Edo e a Osaka, riuniva mercanti di riso, distillatori di birra e sakè e, soprattutto, banchieri.

Bussò con la massima educazione, si accovacciò sui talloni e attese, sforzandosi di dominare la sofferenza procuratagli dalle botte ricevute dai dieci soldati inglesi.

Dal negozio uscì infine un uomo di mezza età dal volto severo, che si inginocchiò. Hiraga rispose e si presentò come Nakama Otami. Disse che anche suo nonno era uno shoya e senza precisare in quale regione gli fornì le informazioni sufficienti per capire che si trattava della verità. Gli diede anche a intendere che, poiché nei dintorni non vi erano ryokan in cui alloggiare, desiderava una stanza a pagamento in casa sua.

“Il nonno è molto onorato di trattare con lo zaibatsu Gyokoyama, a cui affida i raccolti dei suoi villaggi” disse con cortesia.

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