Paradiso (51 page)

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Authors: Dante

BOOK: Paradiso
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diventa in apparenza poco e scuro,

               
se in mano al terzo Cesare si mira

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con occhio chiaro e con affetto puro;

               
ché la viva giustizia che mi spira,   

   

               
li concedette, in mano a quel ch’i’ dico,

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gloria di far vendetta a la sua ira.

               
Or qui t’ammira in ciò ch’io ti replìco:

               
poscia con Tito a far vendetta corse   

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de la vendetta del peccato antico.

               
E quando il dente longobardo morse   

               
la Santa Chiesa, sotto le sue ali

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Carlo Magno, vincendo, la soccorse.

               
Omai puoi giudicar di quei cotali   

   

               
ch’io accusai di sopra e di lor falli,

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che son cagion di tutti vostri mali.

               
L’uno al pubblico segno i gigli gialli   

               
oppone, e l’altro appropria quello a parte,

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sì ch’è forte a veder chi più si falli.

               
Faccian li Ghibellin, faccian lor arte   

               
sott’ altro segno, ché mal segue quello

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sempre chi la giustizia e lui diparte;

               
e non l’abbatta esto Carlo novello   

               
coi Guelfi suoi, ma tema de li artigli

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ch’a più alto leon trasser lo vello.   

               
Molte fïate già pianser li figli   

               
per la colpa del padre, e non si creda

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che Dio trasmuti l’armi per suoi gigli!

               
Questa picciola stella si correda   

               
d’i buoni spirti che son stati attivi

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perché onore e fama li succeda:

               
e quando li disiri poggian quivi,

               
sì disvïando, pur convien che i raggi

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del vero amore in sù poggin men vivi.

               
Ma nel commensurar d’i nostri gaggi   

               
col merto è parte di nostra letizia,

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perché non li vedem minor né maggi.

               
Quindi addolcisce la viva giustizia   

               
in noi l’affetto sì, che non si puote

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torcer già mai ad alcuna nequizia.

               
Diverse voci fanno dolci note;

               
così diversi scanni in nostra vita

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rendon dolce armonia tra queste rote.

               
E dentro a la presente margarita   

               
luce la luce di Romeo, di cui

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fu l’ovra grande e bella mal gradita.

               
Ma i Provenzai che fecer contra lui   

               
non hanno riso; e però mal cammina

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qual si fa danno del ben fare altrui.

               
Quattro figlie ebbe, e ciascuna reina,

               
Ramondo Beringhiere, e ciò li fece   

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Romeo, persona umìle e peregrina.

               
E poi il mosser le parole biece

               
a dimandar ragione a questo giusto,   

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che li assegnò sette e cinque per diece,   

               
indi partissi povero e vetusto;   

               
e se ’l mondo sapesse il cor ch’elli ebbe

               
mendicando sua vita a frusto a frusto,

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assai lo loda, e più lo loderebbe.”

PARADISO VII

               
“Osanna, sanctus Deus sabaòth,
   

   

   

               
superillustrans claritate tua

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felices ignes horum malacòth!”
   

               
Così, volgendosi a la nota sua,   

               
fu viso a me cantare essa sustanza,

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sopra la qual doppio lume s’addua;   

               
ed essa e l’altre mossero a sua danza,

               
e quasi velocissime faville   

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mi si velar di sùbita distanza.

               
Io dubitava e dicea “Dille, dille!”   

               
fra me, “dille” dicea, “a la mia donna

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che mi diseta con le dolci stille.”   

               
Ma quella reverenza che s’indonna   

               
di tutto me, pur per
Be
e per
ice
,   

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mi richinava come l’uom ch’assonna.

               
Poco sofferse me cotal Beatrice

               
e cominciò, raggiandomi d’un riso

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tal, che nel foco faria l’uom felice:   

               
“Secondo mio infallibile avviso,   

   

               
come giusta vendetta giustamente   

   

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punita fosse, t’ha in pensier miso;

               
ma io ti solverò tosto la mente;

               
e tu ascolta, ché le mie parole

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di gran sentenza ti faran presente.

               
Per non soffrire a la virtù che vole   

               
freno a suo prode, quell’ uom che non nacque,   

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dannando sé, dannò tutta sua prole;

               
onde l’umana specie inferma giacque   

               
giù per secoli molti in grande errore,   

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fin ch’al Verbo di Dio discender piacque   

               
u’ la natura, che dal suo fattore   

               
s’era allungata, unì a sé in persona

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con l’atto sol del suo etterno amore.

               
Or drizza il viso a quel ch’or si ragiona:   

               
questa natura al suo fattore unita,

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qual fu creata, fu sincera e buona;

               
ma per sé stessa pur fu ella sbandita

               
di paradiso, però che si torse

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da via di verità e da sua vita.   

               
La pena dunque che la croce porse

               
s’a la natura assunta si misura,

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nulla già mai sì giustamente morse;

               
e così nulla fu di tanta ingiura,

               
guardando a la persona che sofferse,

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in che era contratta tal natura.

               
Però d’un atto uscir cose diverse:   

               
ch’a Dio e a’ Giudei piacque una morte;

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per lei tremò la terra e ’l ciel s’aperse.

               
Non ti dee oramai parer più forte,   

               
quando si dice che giusta vendetta

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poscia vengiata fu da giusta corte.

               
Ma io veggi’ or la tua mente ristretta   

   

               
di pensiero in pensier dentro ad un nodo,

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del qual con gran disio solver s’aspetta.

               
Tu dici: ‘Ben discerno ciò ch’i’ odo;

               
ma perché Dio volesse, m’è occulto,

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a nostra redenzion pur questo modo.’   

               
Questo decreto, frate, sta sepulto

               
a li occhi di ciascuno il cui ingegno

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ne la fiamma d’amor non è adulto.

               
Veramente, però ch’a questo segno

               
molto si mira e poco si discerne,

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dirò perché tal modo fu più degno.

               
La divina bontà, che da sé sperne   

   

               
ogne livore, ardendo in sé, sfavilla

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sì che dispiega le bellezze etterne.

               
Ciò che da lei sanza mezzo distilla   

               
non ha poi fine, perché non si move   

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la sua imprenta quand’ ella sigilla.

               
Ciò che da essa sanza mezzo piove

               
libero è tutto, perché non soggiace

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a la virtute de le cose nove.   

               
Più l’è conforme, e però più le piace;

               
ché l’ardor santo ch’ogne cosa raggia,

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ne la più somigliante è più vivace.

               
Di tutte queste dote s’avvantaggia

               
l’umana creatura, e s’una manca,

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di sua nobilità convien che caggia.

               
Solo il peccato è quel che la disfranca

               
e falla dissimìle al sommo bene,

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per che del lume suo poco s’imbianca;

               
e in sua dignità mai non rivene,

               
se non rïempie, dove colpa vòta,

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contra mal dilettar con giuste pene.

               
Vostra natura, quando peccò
tota
   

               
nel seme suo, da queste dignitadi,

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come di paradiso, fu remota;

               
né ricovrar potiensi, se tu badi

               
ben sottilmente, per alcuna via,

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sanza passar per un di questi guadi:

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