Virus (29 page)

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Authors: Sarah Langan

BOOK: Virus
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«Vado fuori a dare un'occhiata» decise Enrique.

«No. È il virus. Mio papà mi ha detto che fa impazzire la gente. E se anche non fosse il virus, potrebbero essere dei vandali. Deve occuparsene la polizia.» Esasperata, sbatté il telefono contro il comodino, poi digitò ancora il numero. «Perché non risponde nessuno?!»

Lui era sulla porta. «Dobbiamo andare a vedere» disse.

Lei annuì, perché sapeva che aveva ragione. Se senti gridare aiuto, devi fare qualcosa. Ma sapeva anche che era una pessima idea. Rischiavano di beccarsi il virus, o anche peggio. Omicidio, pensò. Se lo sentiva nelle ossa. Là fuori, stavano ammazzando qualcuno. «Dovremmo svegliare mio padre. Lui saprà cosa fare.»

Enrique scosse la testa. «Prima lasciami dare un'occhiata. Devo andarmene comunque. Forse non è niente. Se non scoprono che sono stato qui, domattina puoi venirmi a salutare alla stazione degli autobus. Altrimenti rischieremmo di non vederci più.»

Lei annuì. Non le piacevano per niente quelle parole. Non le piaceva affatto sentirgliele dire. «D'accordo» rispose.

Lui scese furtivo le scale. Lei lo seguì. Aveva lo stomaco in subbuglio, le veniva da vomitare. Lui aprì la porta. La soglia era illuminata da un'unica lampada a muro, e non c'era nessuno né sul portico né sul marciapiede. La strada era deserta. Lei scrutò nel buio, e rimase in ascolto. Le sembrò di sentire qualcosa, ma forse era solo il vento.

«Dove sono andati?» domandò.

Lui scosse la testa. «Forse erano solo usciti a fare due passi.»

Nell'aria c'era un odore strano. Un po' rancido, come di uova marce. «Lo senti anche tu? Non dicono che gli infetti hanno un cattivo odore?»

Enrique le posò una mano sulla spalla. «Ti sei rimessa a leggere
The Smoking Gun.
»

«E allora?»

Lui si chinò a baciarle la fronte. «Allora, è meglio che vada.»

Lei si sforzò di non piangere. Non l'avrebbe mai presa sul serio, se non gli avesse dimostrato che sapeva essere forte. «Non andare» disse. «Ti prego. Aspetta che faccia giorno.»

«Devo ancora preparare la valigia. E se restassi sarebbe uno sgarbo verso i tuoi genitori.»

«Chissenefrega. Fuori non è sicuro.»

Lui non stette a discutere. La prese tra le braccia e la strinse forte. «Ti chiamo in mattinata. Se gli autobus funzionano ancora, ci vediamo alla stazione» disse. Poi si incamminò.

Lei lo guardò attraversare il prato, dove l'erba era umida di rugiada. Il suo corpo diventò un'ombra sempre più piccola. L'unico segno della tristezza che provava erano le spalle ingobbite. Lei rimase immobile davanti al portico, a pensare che finché poteva vederlo, finché vegliava su di lui, sarebbe stato al sicuro. Ma poi lui superò il lampione e il buio lo inghiottì. Era sparito. Lei rimase là, ad avvertire con la mente l'erba bagnata tra le dita dei piedi, e il silenzio della strada, e la casa alle sue spalle che all'improvviso le sembrava meno familiare. Aveva un peso sul cuore, ma sapeva che ce l'avrebbe fatta anche stavolta. Si conosceva: era il tipo di ragazza che riesce sempre a cavarsela, eppure in quel preciso istante non voleva farcela affatto.

Alla fine si girò, e tornò dentro.

Se si fosse portata una torcia per illuminare la strada, avrebbe potuto vedere le ossa umane rimaste sull'asfalto. Se avesse aspettato ancora qualche secondo prima di rientrare, avrebbe potuto sentirlo gridare.

 

22.

Una casa in rovina

 

Sabato sera, qualcuno in segreto doveva avere sostituito le solite patatine Lays di Danny Walker con granito rivestito di butano. In quel momento gli pesavano sullo stomaco, che temeva gli scoppiasse da un momento all'altro. Per non parlare poi del tanfo. Da non credere. Se avesse acceso un fiammifero, sarebbe esplosa la stanza. Ma almeno il fuoco avrebbe eliminato la puzza.

Tutta colpa della sua famiglia. Lo avevano ridotto a un fascio di nervi, a un sacco di gas intestinali. Le vesciche che si era procurato scavando a mani nude nella discarica mostravano la carne viva, e il sale delle patatine non aiutava affatto. In condizioni normali non si sarebbe messo il sale su una ferita, e questo lo spinse a concludere che la sua famiglia non gli aveva procurato solo problemi di stomaco, ma lo aveva anche reso imbecille. Così cominciò a grattarsi lo sporco da sotto le unghie, e lasciò andare un'altra scoreggia.

Era strano come Lou McGuffin fosse crollato in fretta. Alle prime luci dell'alba di quella mattina, Lou aveva cominciato a tempestare di pugni la porta d'ingresso. Danny era già sveglio, pensava a James. Voleva lasciar riposare i suoi genitori, così era sceso di corsa a spalancare la porta.

«Dov'è tuo padre?» aveva chiesto Lou senza preamboli.

«Cosa vuoi?» aveva ribattuto Danny, perché aveva quindici anni compiuti, cazzo, meritava un po' di rispetto.

McGuffin teneva in mano un sacchetto di carta marrone. Il fondo era rosso e umido, come fosse pieno di carne del macellaio. D'un tratto la carta si ruppe, e grumi rosa e bianchi di pelliccia fradicia atterrarono in un mucchio sulla soglia.

Danny riuscì a distinguere più paia di orecchie. Sembravano le prede dei cacciatori di pelli del Vecchio West: l'interno degli animali era sparito, restavano solo le teste e le pellicce. In cima al mucchio, vide una minuscola lingua rosa penzolare da una bocca semiaperta.

«Dov'è Miller?» domandò di nuovo McGuffin. Aveva la voce rauca.

Quel coglione era fuori di testa. Danny avrebbe voluto sbattergli la porta in faccia. Ma una frazione di secondo dopo capì, anche se non voleva crederci. Aveva raccontato ai suoi genitori di aver visto James con il coniglio nascosto nel cespuglio la sera prima, ma loro non gli avevano creduto. Non volevano credergli. E adesso, abbassando lo sguardo sulla soglia, Danny capì. James, suo fratello minore, aveva ammazzato gli animali di Lou McGuffin. «Vado a chiamare il papà» disse, ma suo padre era già in piedi alle sue spalle.

Miller spinse via Danny e si mise di fronte a Lou McGuffin. Indicò la collinetta di conigli morti. «Cosa diavolo significa, Lou?»

Lou rimase impassibile. «Dimmelo tu» rispose.

La vena sul collo di Miller pulsava visibilmente. «Vattene subito dalla mia proprietà se non vuoi che ti spedisca in Florida a calci nel culo.» Doveva essere stanco, altrimenti non avrebbe mai perso le staffe in quel modo.
Il miglior attacco è quello di sorpresa
,
era uno dei suoi aforismi preferiti, come se la vita non fosse altro che un'unica stronza giostra di guerriglia.

Lou non si mosse. «Tuo figlio...» poi alzò lo sguardo su Danny. Aveva gli occhi gonfi d'odio, anche se fino ad allora era sempre stato il cordiale vicino di casa di Danny. Era stato lui a insegnargli a mondare le pannocchie, a giocare a poker, e a fare i nodi da marinaio, mentre sua madre girava nella sua orbita intorno alla terra. «Non lui» aggiunse brusco guardando Danny. «Quell'altro. Ieri notte si è preso i miei conigli.»

Miller sollevò un sopracciglio. «Testa di cazzo. Mio figlio si è perso nel bosco quattro giorni fa. È scomparso. Mia moglie non chiude occhio da allora.»

Lou scosse la testa. «Lo stai proteggendo. Ieri notte l'ho visto scassinare il lucchetto della conigliera.» Una lacrima gli cadde dal mento. «L'ho visto con i miei occhi, è stato lui a fare questo» - indicò il mucchio fradicio - «ai miei animali. Ho cercato di fermarlo, ma quando sono arrivato erano già tutti morti. È stato tuo figlio, Miller. Volevo darti la possibilità di occupartene di persona prima di rivolgermi alla polizia.»

D'un tratto Danny provò dispiacere per suo padre. Lo sapevano tutti e tre che James era colpevole. Ai loro piedi, le pelli dei conigli non sanguinavano. Erano bagnate ma non perdevano sangue, come se glielo avessero prosciugato.

«Signor McGuffin» disse Danny. Cercava le parole per spiegare, per chiedere scusa, ma Miller gli abbassò una mano sulla spalla, stringendola come una morsa.

«Mio figlio non si trova più. Forse lo hanno assassinato, forse anche peggio. E tu vieni a casa mia con questa merda. Puoi dirti fortunato se non ti ho preso a fucilate.» Quello che sorprese Danny era che Miller sembrava sincero, come se avesse davvero passato una notte insonne a preoccuparsi per James.

«Io l'ho visto» disse Lou, ma non sembrava più tanto sicuro. L'ombra del dubbio gli cresceva dentro. È una verità di cui pochi sono a conoscenza. Se urli più forte e con più rabbia, i deboli si bevono qualunque balla gli racconti. Soprattutto se ci credi tu per primo.

Miller spinse in fuori il ventre prominente, come se intendesse usarlo per scacciare Lou. «Per quanto ne so, potresti essere stato tu a rapire James, e anche gli altri bambini scomparsi. L'hai sempre odiato. Lo sapevano tutti.»

Danny si sorprese a fare il tifo per Lou, per quanto la presa di suo padre lo avesse stretto ancora più forte. Voleva che Lou gli rispondesse a tono. Lou non disse niente per un po', e Danny sperò che stesse raccogliendo le forze per una bella sfuriata da k.o. Ma poi gli tremò il labbro, e cominciò a balbettare. Dapprima Danny rimase sgomento: il suo papà era forte come Dio onnipotente. Poi abbassò gli occhi, perché un mucchio di conigli erano morti. «È stato tuo figlio» mormorò Lou.

«Vattene dalla mia proprietà prima che ti ammazzi come un cane» ribatté Miller. Lou gli tenne testa per tre secondi. Poi se ne andò con la coda tra le gambe. Rimasero a guardarlo dalla soglia. Lou camminava in fretta, a testa bassa, e dopo qualche passo prese a correre. Era un uomo alto e magro, e i pantaloni beige gli stavano troppo larghi. Gli ballavano sul sedere come un pannolino, così Danny lo vide sotto un'altra luce: un poveraccio solo che mangiava pasti surgelati a basso contenuto di carboidrati per non ingrassare, ma che non aveva la forza di tirare un calcio a un pallone né di farsi rispettare in ufficio. Era un debole, e Danny cominciò a odiarlo per questo, e odiò se stesso per averlo pensato, perché fino a quella mattina aveva sempre nutrito rispetto per Lou McGuffin. Quell'uomo era tutto ciò che Miller Walker non era mai stato: un essere umano.

Una volta che Lou fu sparito dalla vista, Miller indicò le carcasse. «Pulisci questo schifo. Mettili in un sacchetto» disse. «Fai sparire tutto, a costo di grattare il sangue dal cemento. Non voglio trovarne traccia quando vado in ufficio. Chiamami quando hai finito.»

Danny scosse la testa. «Papà. L'altra sera, quando ho visto James... forse il signor McGuffin ha ragione...»

Miller lo interruppe. «Non sta a te dirlo. Te lo dico io come stanno le cose. Pulisci questa merda prima che quella checca si renda conto di avere buttato via le prove.»

Danny non si mosse. Miller lo prese per un bicipite e gli diede uno strattone. «Se oltre alla scomparsa di James tua madre viene a sapere anche questa, ce la ritroviamo un'altra volta in manicomio. Lo sai benissimo anche tu. È al limite della sopportazione. Ha già ricominciato a borbottare da sola. Vuoi essere tu la goccia che fa traboccare il vaso?»

Con sua stessa sorpresa, Danny si mise a piangere: un debole come Lou McGuffin.

«Non credo proprio» disse Miller. «E adesso pulisci.»

Danny prese un sacchetto di cellophan e spalò le carcasse con un badile da neve. Non fecero rumore cadendoci dentro, nemmeno un tonfo. Il silenzio fu peggio, in un certo senso.

Sul gradino usò mezzo flacone di candeggina, poi usò la canna dell'acqua per non doversi mettere in ginocchio a strofinare. Un'ora dopo aveva finito. Suo padre stava uscendo per andare al lavoro, sua madre era ancora a letto. Lui non andava a scuola da martedì. All'inizio era rimasto a casa per occuparsi di Felice, poi la scuola era stata chiusa a causa del virus.

Suo padre gli lanciò le chiavi della Mercedes di Felice. «La discarica. Prendi il badile dal capanno. Scava una buca profonda. Non farti vedere da nessuno.» Poi se ne andò, come se a Danny non servisse altra spiegazione. Ma era proprio quello il problema: Danny non aveva mai chiesto spiegazioni. Lui e Miller ragionavano allo stesso modo. Ci era già arrivato anche da solo che la discarica era il posto migliore per nascondere i resti, visto che il bosco brulicava di sbirri.

Danny sapeva guidare anche se non aveva ancora la patente. Era sabato mattina, quindi normalmente la discarica sarebbe stata piena di padri di famiglia intenti a buttarci il loro ciarpame, ma il virus aveva svuotato le strade. Lui sperò significasse che tutti avessero lasciato la città o si fossero chiusi in casa a guardare il telegiornale, perché altrimenti significava che un mucchio di gente si era ammalata. O era morta.

Trovò una macchina abbandonata e pensò che per un po' nessuno l'avrebbe spostata da lì. Ci scavò sotto, lavorando in fretta. Fece una fossa di circa mezzo metro. Pensò di togliere i conigli dal sacchetto. Si sarebbero decomposti più rapidamente, e comunque sarebbe sembrato più naturale se anche li avessero trovati, ma non voleva rivedere i resti. Così si limitò a scaricare tutto nella buca, sacchetto compreso.

Prima di tornare a casa si fermò all'ospedale per avvertire suo padre che l'opera era compiuta. Il parcheggio era stipato di macchine che sembravano ferme da giorni; sui parabrezza cominciava ad accumularsi lo sporco. Gran parte dei funzionari del Centro controllo delle malattie erano tornati a Washington, e Danny sospettava fosse un pessimo segno. Se avessero pensato di poter fare qualcosa senza finire a loro volta contagiati, sarebbero rimasti in circolazione. Avevano detto che stavano perfezionando un vaccino, ma Danny dubitava anche di quello. Se lo avessero scoperto, lo avrebbero già distribuito.

Gli ingressi dell'ospedale erano pattugliati dalla polizia di Stato. L'ala est era isolata da partizioni di plastica ed era stata dotata di un sistema di ventilazione indipendente. Dovette spiegare chi era a tre diversi agenti, tutti pallidi e scossi dai colpi di tosse, prima che finalmente gli permettessero di accedere all'ufficio principale.

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