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Authors: Sarah Langan

Virus (3 page)

BOOK: Virus
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Malgrado le rassicurazioni dell'Epa, dopo l'incendio tutti avevano lasciato Bedford. Quelli che se lo potevano permettere, come i Fullbright, si erano trasferiti a Corpus Christi. Gli altri si erano sparpagliati. Lois aveva sentito dire che in città si vedevano ancora mucchi di vestiti abbandonati sui pavimenti delle camere da letto, crostate sprofondate su se stesse a raccogliere muffa nei forni, orologi a muro che battevano le ore per nessuno. Un'autentica città fantasma - ai bambini sarebbe piaciuta un mondo!

Solo la notte scorsa le era venuto in mente che Bedford potesse essere pericolosa. Le foto sul
Sentinel
degli scienziati impegnati a campionare l'acqua del fiume li ritraevano in tenuta da astronauti con tanto di respiratore, persino dopo che la zona era stata bonificata. Ma da allora erano passati dei mesi. Di certo a questo punto i boschi erano sicuri. L'Epa non avrebbe mai mentito su una cosa così importante, giusto? E poi, tutto nella vita era almeno
un po'
rischioso. Lei era la dimostrazione vivente che, se passi l'esistenza sforzandoti di evitare ogni azzardo, rischi di ritrovarti con un pugno di mosche.

Al risveglio quella mattina - era passata una settimana da quando Ronnie l'aveva scaricata - i raggi di sole che le brillarono sul volto le parvero un filo meno offensivi. Non era morta né altro, e la gita a Bedford poteva anche risultare divertente. In tutti quegli anni vissuti a Corpus Christi aveva dimenticato quanto le piaceva vedere posti che non conosceva. Quanto le piaceva imparare cose nuove. Sarebbe stata un'avventura: proprio quello che ci voleva!

Scendendo le scale con passo elastico, pensò:
Ok, ho fatto fiasco. Un fiasco clamoroso. Ma lo supererò. Ronnie è una testa di cazzo. Signor cialtrone. Signor sfigato cannaiolo. Signor-resta-a-Corpus-Christi-così-anche-la-tua-vita-sarà-uno-schifo-come-la-mia. Signor non-ti-ho-amata-mai. Può andarsene affanculo con tutte le sue stronzate.
E già che c'era, poteva andarci anche Noreen.

Si versò un caffè. Sua madre era ancora sveglia dalla sera prima, a guardare
Regis & Kelly
,
che stavano bisticciando, anche se Lois non riuscì a capire se era uno sketch o se si odiavano davvero. Forse odiarsi era il loro sketch. Sua madre sorseggiava un gin Gordon's con succo d'arancia. Un ultimo bicchiere della staffa prima di dormire. Lois si scaldò le mani con la tazza del caffè. Pensò ai moduli per le domande di iscrizione al dottorato. Immaginò il giorno in cui avrebbe lasciato quella casa; sarebbe uscita come per andare a comprarsi una confezione di antiacido o di mentine, e non ci avrebbe mai più rimesso piede. Solo che lei sarebbe arrivata più lontano di suo padre. Rise sotto i baffi al pensiero delle loro facce quando Ronnie, o Noreen, o sua madre sarebbero venuti a bussare alla sua porta in cerca di un prestito o di una vittima, e avrebbero trovato la sua stanza vuota.

Poi aprì l'edizione del mattino del
Corpus Christi Sentinel
,
e impallidì. Chiuse gli occhi, e recitò mentalmente una rapida Ave Maria. Scrutò di nuovo il giornale. Ronnie e Noreen le risposero con un sorriso.

La foto era in bianco e nero. Le braccia di Ronnie circondavano la vita robusta di Noreen, sorridevano entrambi. Sulle guance si erano disegnati stelle identiche. La foto era stata scattata alla fiera per il Memorial Day. Lo sapeva, perché era stata lei a scattarla.

Sotto la foto c'era un annuncio di nozze.

Un equivoco, non poteva essere altrimenti. Ma l'articolo dimostrava il contrario. Nel corso degli anni, affermava il cronista, l'amicizia tra Ronnie e Noreen era germogliata (germogliata come, come un herpes?). Quest'ultimo mese avevano scoperto il loro «amore eterno e immortale». Lois fissò l'articolo col fiato sospeso così a lungo che le vennero le vertigini e cadde dalla sedia.

Si sentiva come se qualcuno le avesse fatto inghiottire una bottiglia intera di Drano, e l'acido si stesse aprendo una via d'uscita bruciandola dall'interno. Le era sceso nella gola, nel cuore, nell'inguine. Se lo sentiva dietro gli occhi come lacrime; se lo sentiva sotto le unghie. Lo sentiva coagularsi dentro di lei mentre le consumava gli organi, costringendola a farsi più piccola. A inacidire. A infuriarsi al punto che l'unico colore che riusciva a vedere era il rosso. Improvvisamente ebbe sete di sangue. Voleva mangiarsi vivo Ronnie, o Noreen, o persino se stessa.

Sua madre distolse lo sguardo da uno spot dei cristalli Folger e diede un'occhiata all'articolo. Non fece una piega, non ebbe né un sussulto né un sorriso. «Strano» disse. Poi lasciò il bicchiere vuoto nel lavabo e si trascinò al piano di sopra.

Lois rimase seduta per qualche secondo. Poi si precipitò in bagno, e vomitò. A suo merito va detto che fu solo quando si appoggiò alla porcellana fredda e si rese conto che il suo ciclo era in ritardo di sei settimane che scoppiò in un vero piagnisteo.

Non c'era tempo di trovare una supplente. Né per fingersi malata. E adesso era lì, a tirare su col naso davanti all'intera classe, sforzandosi di capire com'era possibile che la sua vita fosse diventata un casino simile mentre intorno a lei gente con metà del suo cervello e il doppio della cattiveria dormiva tra due guanciali. Terminato l'appello, batté le mani e fece del suo meglio per sorridere, perché la mamma volontaria della classe, Janice Fischer, aveva l'aria preoccupata, come se temesse che Lois stesse per annegare nella saliva di cui aveva ricoperto il registro.

«Avete portato tutti il pranzo al sciacco?» domandò Lois.

I bambini annuirono.

«Ognuno di voi ricorda chi è il sciuo compagno di gita?»

Non se lo ricordavano, così li suddivise in coppie per altezza e raccomandò che sul pullman sedessero vicini. Il suo allievo problematico, James Walker, annunciò: «Io sono troppo grande per avere un compagno di gita». Era vero; lo avevano bocciato due volte.

James sorrideva. Non le piaceva pensarlo di un ragazzino di undici anni, ma James era davvero di sangue cattivo. Aveva qualcosa di storto, e quando gli altri bambini cadevano o si facevano male, a lui brillavano gli occhi come fosse la mattina di Natale e avesse trovato un cucciolo sotto l'albero. Un cucciolo morto. Risparmiare James Walker a un compagno di gita era un gesto di pubblica utilità.

«E va bene» disse. «Starai da solo. George, tu verrai a sederti di fianco a me.»

Salirono sul pullman, e si diressero verso la strada che collegava Bedford a Corpus Christi. Con il maltempo di solito veniva chiusa, ma in quella giornata d'autunno senza un fiocco di neve sull'asfalto era agibile. Vide la curva a gomito dove la Nissan di suo padre era uscita di strada e chiuse gli occhi finché il paesaggio non cambiò, come faceva ogni volta che ci passava. Il tragitto era di appena qualche miglio, ma subito dopo aver attraversato il fiume Messalonski ed essere entrati nella città di Bedford, fu come trovarsi su un altro pianeta.

Bedford era un luogo desolato. Non c'erano macchine per la strada, nessuna luce accesa alle finestre delle case, nessun furgone della posta. Nemmeno lo sceriffo nella stazione di polizia locale. Dal finestrino Lois vide il cumulo di macerie e cemento che un tempo era stato la cartiera della Clott Corporation. Uno strato denso di cenere nera circondava lo scheletro carbonizzato della struttura dell'edificio. I fondi statali non erano bastati per una vera ripulita, e poiché Bedford era ormai deserta e non c'era nessuno a inoltrare una lamentela ai federali, il cumulo era rimasto.

Il pullman proseguì lungo la Main Street. Le case abbandonate all'incuria stavano letteralmente cadendo a pezzi, e tutti i prati erano morti. Le insegne pendevano storte dai negozi abbandonati, o erano scomparse del tutto. Il marciapiede si era frantumato in ciottoli, e le porte erano annerite dalla fuliggine.

I bambini si erano fatti silenziosi, e premevano i nasi contro i finestrini. Non avevano mai visto niente del genere. Indicarono il vecchio negozio del barbiere con la vetrina rotta, il cerbiatto macilento che rovistava col muso un cassonetto in cerca di cibo, e la mountain bike senza ruote in mezzo alla strada. Quel posto era un cimitero a cielo aperto.

Mentre si avvicinavano al bosco, Lois vide qualcosa che le cancellò Ronnie dalla mente. Su un camper al bordo della strada pendevano, attaccati a capestri, dei sacchi di nylon riempiti di cotone che rappresentavano uomini e donne della frontiera. Erano vestiti con jeans e camicie da lavoro o indumenti sdruciti. Il cotone si era logorato agli orli, così braccia e gambe pendevano molli come tentacoli di calamaro. Ognuno di quei fantocci a grandezza naturale portava appesa un'insegna con una parola scritta in stampatello. Letti di seguito, i cartelli dicevano: «Non è mai sazia. La sua fame è implacabile».

Lois sentì una stretta allo stomaco. Chi poteva aver fatto una cosa del genere? Uno squatter? Qualcuno del posto? Un folle? Forse questa gita non era stata una delle sue idee più brillanti. Diciamo che equivaleva a dare a Ronnie i soldi per il fumo, o comprare il vino a sua madre perché aveva scritto sulla lavagnetta SPUMANTE ZINFANDEL ROSÉ a caratteri cubitali rossi come un urlo.

«Cos'è quello?» domandò George. Malgrado i suoi nove anni aveva capito che non si trattava di uno scherzo; era una cosa cattiva.

«Arte moderna» disse Lois, «per pazzi.»

«IO! IO! Mio padre dice che a Bedford vivevano solo cugini. Ecco perché hanno incendiato la cartiera. Erano tutti ritardati» gridò Caroline.

Lois si girò a guardare la bambina, senza trovare niente da ribattere.

Il pullman li fece scendere davanti al cimitero, che conduceva al bosco. Lois insegnò loro come riprodurre le iscrizioni delle lapidi appoggiandoci un foglio e passandoci sopra la matita. C'erano una ventina di nuove sepolture sulle quali qualcuno aveva lasciato dei fiori: April Willow, Susan Marley, Paul Martin, Andrea Jorgenson, Donovan McCormack. A quella vista, l'educazione cattolica di Lois la costrinse a chinare il capo e recitare un Padrenostro collettivo per le loro anime.

Poi si inoltrarono nel bosco, e Lois fu sgomenta di scoprire non era più un bosco affatto. Dall'ultimo sopralluogo dell'Epa, gli alberi erano morti. Carcasse di corteccia e rami essicati giacevano come soldati morti sul letto della foresta. C'era meno muschio, e non si vedevano né scoiattoli né uccelli.

Notò l'espressione preoccupata di Janice Fischer, e capì che avrebbe dovuto riportare i bambini sul pullman, ma non lo fece. Oggi avrebbe insegnato loro qualcosa di importante. Qualcosa che avrebbero ricordato anche molto dopo aver dimenticato il suo nome. Una lezione su ciò che accade ai luoghi abbandonati senza cura. Luoghi animati da tutti gli istinti sbagliati.

Li fece fermare al bordo del bosco e fece loro un discorso. «Bambini e bambine... sciapete cosc'è successo qui? Quando la cartiera ha chiuso, la gente che ci lavorava s'infuriò. La incendiarono. Incendiarono anche la propria città, perché erano arrabbiati. Ora, vi sembra logico? Se voi foste arrabbiati, vi fareste del male da soli?» domandò.

I bambini scossero le teste all'unisono. Caroline Fischer si fece sentire più degli altri. «NO, SIGNORINA LOIS!»

Lois approvò con un cenno della testa. «Bene. Sono fiera di voi. Ora, ciassc... ciascuno resti con il proprio compagno. Non allontanatevi oltre quella quercia laggiù.» Poi spalancò le braccia, e tutti si dispersero per il bosco.

Per un'ora i bambini cercarono segni di vita sotto le rocce e sotto il muschio. I maschi lanciarono insetti alle femmine e le femmine strillarono, non perché avessero paura, o almeno così parve a Lois, ma solo perché gridare rendeva la cosa più divertente.

A mezzogiorno mangiarono sulle panche di legno da picnic disposte ai margini del bosco. Lois aveva dimenticato di portarsi il pranzo, e le brontolava lo stomaco. Janice Fischer si riposò dietro il pullman a fumare una delle sue sigarette hippy American Spirit, e Lois si ritrovò a pensare a Ronnie.

Forse l'articolo del
Sentinel
era una bufala. Lo aveva fatto pubblicare Noreen per farle uno scherzo crudele, e proprio in quel momento Ronnie si era precipitato a cercare Lois. Da un momento all'altro sarebbe arrivato al bosco guidando a centocinquanta all'ora. Sarebbe sceso da quel vecchio rottame che era convinto calamitasse le ragazze, e sotto gli occhi dei bambini, dell'autista del pullman, di Janice Fischer e del mondo intero avrebbe gridato: «Noreen è una scrofa. Io amo te, Lois. Ti amerò sempre».

Lois si soffiò il naso così forte che il fazzoletto di carta si ruppe e la mano si sporcò. La gita in quel momento non le sembrava molto divertente. Anzi, quella gita era proprio uno schifo. Notò che i bambini la stavano guardando. Avevano l'aria triste, e alcuni si stringevano le braccia al petto. Solo James Walker non le prestava la minima attenzione. «Sciono i miei occhi» disse. «Sciono irritati, capite?»

Continuarono a fissarla.

«Sciono molto allergica.» A questi bambini, in realtà, voleva bene davvero. Li amava, persino James. Era così sconvolta che lo aveva dimenticato, ma era la verità.

Caroline Fischer fece scivolare lungo il tavolo una confezione di crackers fino a raggiungere Lois. «Ne ho una in più» disse.

Poi il mangiatore di pastelli George Sanford fece rotolare verso di lei una mela. Michael e Alex Fullbright le regalarono delle arance. Donna Dubois le consegnò una barretta semimasticata di KitKat. Lois sospirò. Poi diventò una gara, fino a quando tutti i bambini le ebbero donato una merendina o mezzo panino, e lei si ritrovò davanti una montagna di cibo. La generosità del gesto le fu quasi intollerabile. Lois fece un respiro strozzato, terrorizzata che finisse in un singhiozzo proprio davanti a quei bambini meravigliosi, ma non accadde. «Grazie, bambini e bambine» disse, dando un morso alla mela.

Dopo avere raccomandato a tutti di vuotare le tasche di ogni rametto e sasso, Lois li riunì di nuovo sul pullman. Cominciò a fare l'appello, ma notò Caroline che sventolava la confezione vuota di un preservativo Rough Rider ai maschi seduti dietro di lei. Probabilmente l'aveva trovata nel bosco, sebbene Lois dubitasse ne conoscesse la funzione.

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