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Authors: Sarah Langan

Virus (4 page)

BOOK: Virus
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«È spazzatura» disse a Caroline, togliendogliela di mano. Poi la sollevò per farla vedere alla classe. «Non dovete mai toccare la spazzatura, bambini, non potete sapere dove è stata prima.» Questo le fece tornare in mente Ronnie. Adesso era con Noreen? Magari proprio in quell'istante stavano mettendo un figlio in cantiere? E il suo ciclo, con tre settimane di ritardo?

Avanzò per il pullman e guardò fuori dal finestrino. Nessuna Camaro rossa in vista. Non sarebbe arrivata nessuna Camaro rossa. Quelle persone, i suoi amici, l'avevano tradita. Non le avevano nemmeno telefonato per dirle:
Ehm, senti Lois, prima o poi verrai a saperlo comunque, il fatto è che abbiamo fatto una pazzia.
E non c'era che un'unica spiegazione: lei aveva fatto una cazzata. Si era circondata delle persone sbagliate, perché Ronnie, Noreen, e persino sua madre non valevano niente.

Ma peggio ancora, era la certezza che sarebbe stata molto meglio senza di loro, ma che in fondo questo non aveva alcuna importanza. Oggi, dopo la scuola, sarebbe passata a casa di Ronnie per implorarlo di riprenderla con sé, ma lui non l'avrebbe mai fatto, perché contrariare una come Noreen era un azzardo. Un altro mese sola con il suo cuore spezzato, e Lois avrebbe ingoiato il suo orgoglio fermandosi al Dew Drop Inn, dove Noreen avrebbe detto qualche cattiveria, e Ronnie avrebbe sorriso come un ebete mentre lei avrebbe fatto finta di niente. Li avrebbe perdonati senza che glielo avessero chiesto, perché stare con loro era meglio che guardare Regis Philbin con sua madre ubriaca. Avrebbe sempre continuato a ingoiare merda, perché lei, Lois Larkin, era una stramaledetta cogliona.

«Parta» disse all'autista mentre Janice Fischer riempiva le dita della figlia, contaminate dal preservativo, di strati di gel anti-batterico verdastro. Si allontanarono dal bosco, e Lois cominciò di nuovo a piangere.

Solo una volta arrivati alla scuola si rese conto che la massa informe sul sedile dalla parte opposta del pullman non era un ragazzino, ma una cartella e una giacca. James Walker era scomparso.

 

2.

Il mostro nel bosco

 

Sotto i passi di James Walker il terreno crepitava, come lo xilofono di bambù alle lezioni di musica. C'erano foglie e rametti e rocce, tutti secchi e cavi. Sopra di lui, rami senza vita intersecavano il cielo blu e terso. Saltò su e giù ascoltando il rumore delle cose che si rompevano sotto i suoi piedi. Era tutto morto qui, più morto di una carcassa di coniglio!

Invece di risalire sul pullman alla chiamata della signorina Lois, James aveva fatto finta di essere inseguito da suo fratello maggiore, Danny. Aveva corso finché non gli era mancato il respiro e si era ritrovato tutto sudato e senza sapere da che parte andare. Sapeva che non avrebbe dovuto allontanarsi, ma odiava la signorina Lois. Quando pronunciava il suo nome, il labbro superiore le si arricciava come se le avessero dato da bere neve impregnata di piscio. Così si era messo in testa che, se fosse scappato, forse suo padre si sarebbe arrabbiato abbastanza da farla licenziare.

Però non era colpa della signorina Lois se lui era rimasto indietro di due anni. Tanto per cominciare, sua madre lo aveva iscritto all'asilo con un anno di ritardo perché era piccolo per la sua età; poi il signor Crozzier lo aveva bocciato, e aveva scritto sul suo fascicolo che «soffriva di un ritardo emotivo e mentale». Per questo era l'unico undicenne della quarta. Una volta al mese, durante l'intervallo, gli toccava il colloquio con un assistente sociale per parlare delle sue emozioni. Di solito non ne aveva affatto, così finivano regolarmente per giocare a
Ironman
con l'Xbox.

I genitori di James volevano che somigliasse a suo fratello maggiore Danny, che prendeva sempre dieci e giocava nella squadra di lacrosse. Danny e papà facevano una partita a golf al country club di Corpus Christi una volta al mese. Indossavano polo identiche e pantaloni beige, come l'uniforme della Squadra Stronzi d'America.

Danny si divertiva ad afferrare James per i polsi e schiaffeggiarlo con le sue stesse mani.
Perché ti picchi da solo, James? Perché ti dai le sberle?
Una volta gli aveva riempito la bocca e il naso di neve giallastra e salata, e anche dopo che James avesse singhiozzato: «Pietà, padrone Daniel», Danny gli aveva tenuto la bocca e le narici chiuse fino a costringerlo a deglutire. Quando succedevano queste cose, James si immaginava di cavare gli occhi di Danny con una forchetta e poi mangiarli come polpette perché nessuno potesse ricucirglieli nelle orbite vuote.

James si inoltrò nel fitto del bosco. Crac crac crac. Gli alberi caduti erano cavi, come gusci di pannocchia. Gli venne un'idea, che lo fece saltare dalla contentezza. L'Incredibile Hulk faceva finta di essere forte, ma probabilmente quando lanciava gli alberi si trattava soltanto di tronchi cavi. Nel film sulla Hbo gli alberi sembravano veri ma era un trucco. James sogghignò, perché aveva pensato a una cosa intelligente senza l'aiuto di nessuno, e questo significava che non era del tutto ritardato.

Per verificare la sua teoria sollevò un tronco cavo, leggero come una scatola di cartone. Sotto ci trovò una lumaca, così prese i fiammiferi che aveva rubato dalla cucina di sua madre e le diede fuoco. La pelle della lumaca mandò un bagliore, poi si accartocciò. Lungo l'intero corpo si levò un filo di fumo che puzzava di copertone bruciato. Quindi la pelle si lacerò e versò fuori un liquido biancastro. Anche se l'aveva uccisa, lui non voleva che soffrisse, così la calpestò per essere certo che fosse morta.

Quand'era più piccolo, a soli otto anni, si era introdotto nel cortile del signor McGuffin per giocare con i conigli neonati dentro la conigliera. Erano batuffoli di pelo con gli occhi rossi, più piccoli del suo pugno. Il suo preferito era Gimpy, che era nato con gli arti posteriori paralizzati. Gimpy non riusciva a correre come gli altri, e per questo restava sempre in grembo a James. Il signor McGuffin gli aveva detto che da grande avrebbe potuto adottarlo.

Un giorno teneva Gimpy in braccio. Lo stupido coniglio gli leccava le dita, e lui si era chiesto se provasse amore per quell'animale così scemo. Non riusciva a ricordare l'ultima volta che aveva provato amore per qualcosa. Forse mai. Gimpy continuava a leccare. Faceva tanto l'innocentino con quei grandi occhi rossi, e James aveva deciso che Gimpy era un bugiardo. Era proprio come Danny, gentile all'apparenza ma cattivo dentro. Così aveva stretto Gimpy, solo un po'.

Gimpy non aveva strillato. Non aveva gridato a James di smettere (ora che James aveva undici anni sapeva che i conigli non parlano, ma a quel tempo credeva in segreto che forse ne erano capaci; solo non ne avevano voglia). Gli occhi di Gimpy erano diventati più grossi, come se volessero schizzargli fuori dalle orbite, e la cosa gli era parsa buffa. James voleva lasciarlo andare, e invece strinse più forte. E poi ancora di più. Era il contrario di quello che avrebbe dovuto fare, anche se voleva fare la cosa giusta. Era più forte di lui. A volte dimenticava la differenza tra giusto e sbagliato.

Gli occhi di Gimpy sembravano sul punto di esplodere. Si sentì uno schiocco, e una delle orbite cominciò a sanguinare. Era solo un buco, fradicio e rosso. Non era buffo come una Polpetta. Faceva schifo. Tanto schifo che gli venne un conato, ma non sputò altro che saliva. Eppure, anche mentre Gimpy sanguinava, lui continuò a stringere. Non sapeva cos'altro fare. Voleva rimediare, ma non sapeva come.

Gimpy fece un ultimo tentativo di divincolarsi, e James, pur sapendo che avrebbe dovuto lasciarlo andare, provò paura. Il coniglio si era rotto come un giocattolo che non avrebbe potuto aggiustare. E se il signor McGuffin avesse trovato l'occhio mancante, e avesse capito ciò che James aveva fatto? Le sue mani erano una morsa d'acciaio che non poteva allentare. Il coniglio cominciò a scalciare - non calci veri e propri, ma sussulti spastici, convulsi. Poi lanciò un grido gutturale, tremendo. Qualcosa a metà tra un grugnito e un gemito. Durò per un po', ed era un verso che faceva male. Non faceva male alle orecchie, ma dentro. Gli faceva male al cuore sentire Gimpy lamentarsi in quel modo.

Dopo il grido di Gimpy, dentro James scese il silenzio, come se lui non ci fosse più. Come se si fosse addormentato. Diventò tutto buio. Il suo corpo continuò a funzionare, ma lui non era più al timone. Si era ritirato in un posto sicuro dove non doveva pensare a Gimpy. Se si sforzava, riusciva a vedere quel che stava accadendo, ma non era costretto a provare qualcosa. Non sentiva nessuna emozione. Era come addormentato.

Quando si svegliò, Gimpy non si muoveva più. Il coniglietto era floscio e freddo sul suo grembo, e gli venne da chiedersi per quanto avesse dormito. La cosa buffa era che gli sembrava sbagliato fare del male a un animale, sapeva che aveva voluto bene a Gimpy, eppure a una parte di lui la cosa era piaciuta. Anche se non era intelligente, uccidere Gimpy aveva richiesto coraggio. Gran parte delle persone non ne avrebbero avuto il fegato.

Gli scavò una buca dietro la conigliera e lo seppellì. Si sentiva così triste per il povero Gimpy che non riuscì a ricordare nessuna preghiera, così chiese semplicemente a Dio di lasciarlo entrare in paradiso, anche se forse agli animali non era concesso. Sempre che lo spirito di Gimpy non tornasse a tormentarlo, e in quel caso pregò che fosse definitivamente morto. Coprì la fossa di foglie perché il signor McGuffin non notasse il terriccio smosso di fresco, e poi corse a casa, staccò il ricevitore del telefono, e disse a sua mamma che andava a letto perché non si sentiva bene.

Quando suonò il campanello della porta, pregò Dio che non fosse il signor McGuffin. Pregò di poter cancellare ciò che aveva fatto. Ma alla porta c'era proprio il signor McGuffin, e James lo sentì parlare con sua madre in anticamera. All'inizio parlavano a bassa voce, ma poi sua madre si mise a urlare, e anche il signor McGuffin. Lui rimase ad ascoltare, anche se non gli piaceva affatto quel che dicevano. «È malato, e un giorno ammazzerà qualcuno» strillava il signor McGuffin.

Si strinse nelle coperte e desiderò di dormire. Aveva così paura che non riusciva nemmeno a piangere. Com'era potuto accadere? Perché era cattivo. I maestri a scuola, e i compagni che non lo invitavano alle feste perché era troppo aggressivo, e Danny, e persino i suoi genitori, che non lo sfioravano mai di loro spontanea volontà, tutti sapevano già quello che lui aveva appena capito. Lui era marcio dentro. Aveva ucciso il suo coniglio.

Il signor McGuffin non marciò su dalle scale per fare irruzione in camera come aveva temuto. La porta d'ingresso sbatté, e scese il silenzio. Dopo un po' arrivò sua madre, con un bicchiere di spremuta d'arancia e un toast alla cannella. Appoggiò il vassoio sul letto e avvicinò una sedia. (Non sedeva mai sul suo letto quando voleva parlargli, come invece faceva con Danny.) «Ti senti un po' meglio?» domandò.

Era brutta. Una volta le aveva dato un pugno in pancia e glielo aveva detto in faccia. Non aveva previsto che lei scoppiasse a piangere in quel modo. «Mi dispiace, Felice» si era scusato, perché per quanto ricordava nessuno l'aveva mai chiamata 'mamma'.

Lei non gli accarezzò la testa né lo abbracciò o altro. «È stato qui il signor McGuffin» disse. Lui provò paura. Ma poi al posto della paura un fuoco di ghiaccio gli riempì la pancia. Una fiamma blu e incandescente che gli fece salire un brivido. Lo gelò dentro e poi sbriciolò i suoi organi in piccoli frammenti finché non provò più alcun rimorso. Come in quel sonno profondo, non provò più niente.

«Ha detto che ha trovato il tuo coniglio preferito. Qualcuno l'ha ucciso e sepolto. Crede che sia stato tu, ma io gli ho risposto che non è possibile. Gli ho detto che eri in cortile a giocare a palla. È quello che hai fatto tutta mattina, giusto?»

Lui non sapeva cosa dire. Gli occhi di lei si erano stretti in due fessure, come se lo stesse guardando e al tempo stesso facesse del suo meglio per non vederlo. Perché fingeva che James avesse passato la mattina in cortile?

«Sto male» disse lui.

«Probabilmente è influenza» replicò lei. Poi gli fece un buffetto sulla gamba, ma la mano non indugiò. «Ti lascio dormire.» Chiuse la porta, e lui sentì girare la serratura. Da quel giorno non lo aveva più guardato nello stesso modo. Anche quando sorrideva con la bocca, non lo faceva mai con gli occhi.

Quella sera James aveva sentito suo padre parlare al telefono con il signor McGuffin. Sbraitava che, se il signor McGuffin avesse raccontato in giro storie sui conigli del cortile, lo avrebbe querelato per diffamazione, e a lui non sarebbero più bastati i soldi per pagare il mutuo della casa, figurarsi il mangime dei conigli. E poi, non era un po' sospetto che uno scapolo si servisse dei conigli per attirare bambini in casa propria?

Fare del male a Gimpy era stata la cosa peggiore che James avesse mai fatto. Era sbagliato, e lui non voleva mai più fare niente del genere. Ma d'altra parte, a volte capitava comunque.

James smise di camminare. Era buio. Gli era venuta paura che Gimpy potesse tornare dal regno dei morti e infestare il bosco, e così aveva dimenticato dove stava andando. Non riusciva più a vedere il cielo blu sopra la sua testa. C'erano solo rami morti e foglie secche, tanto fitti che c'era ombra dovunque, anche se era giorno pieno.

I compagni a scuola dicevano che quel posto era stregato, e per quel motivo la gita a Bedford era sembrata tanto divertente. Ma nessuno aveva visto niente di speciale, tranne la signorina Lois la Lagna che frignava.

Sedette su un masso accanto a un ruscello poco profondo, e improvvisamente si sentì a disagio. Non gli piaceva stare sempre solo. Il bosco era troppo silenzioso. A volte pensava di entrare di soppiatto in camera di Danny e mettergli un cuscino sulla faccia, e poi fare lo stesso ai suoi genitori. Così avrebbe potuto avere una famiglia nuova che non facesse le smorfie ogni volta che lo guardava.

James si sdraiò di pancia sul masso e guardò giù. Vide il proprio riflesso nell'acqua. Un ragazzino biondo, con gli occhi azzurri e lo sguardo cattivo. Lanciò un ciottolo e l'acqua si increspò. Quando tornò ferma, il suo riflesso era cambiato. Aveva la pelle pallida, e gli occhi neri. Gli parve familiare, e per un istante James pensò che finalmente stava vedendo la cosa cattiva che viveva dentro di lui. La cosa alla quale piaceva infliggere dolore.

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