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Authors: Dante

Purgatorio (56 page)

BOOK: Purgatorio
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E io: “Per mezza Toscana si spazia   

               
un fiumicel che nasce in Falterona,

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e cento miglia di corso nol sazia.

               
Di sovr’ esso rech’ io questa persona:   

               
dirvi ch’i’ sia, saria parlare indarno,   

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ché ’l nome mio ancor molto non suona.”

               
“Se ben lo ’ntendimento tuo accarno   

               
con lo ’ntelletto,” allora mi rispuose

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quei che diceva pria, “tu parli d’Arno.”

               
E l’altro disse lui: “Perché nascose   

               
questi il vocabol di quella riviera,

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pur com’ om fa de l’orribili cose?”

               
E l’ombra che di ciò domandata era,   

               
si sdebitò così: “Non so; ma degno

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ben è che ’l nome di tal valle pèra;

               
ché dal principio suo, ov’ è sì pregno   

               
l’alpestro monte ond’ è tronco Peloro,

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che ’n pochi luoghi passa oltra quel segno,

               
infin là ’ve si rende per ristoro

               
di quel che ’l ciel de la marina asciuga,

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ond’ hanno i fiumi ciò che va con loro,

               
vertù così per nimica si fuga   

               
da tutti come biscia, o per sventura

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del luogo, o per mal uso che li fruga:

               
ond’ hanno sì mutata lor natura

               
li abitator de la misera valle,

42
           
che par che Circe li avesse in pastura.

               
Tra brutti porci, più degni di galle   

               
che d’altro cibo fatto in uman uso,

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dirizza prima il suo povero calle.

               
Botoli trova poi, venendo giuso,   

               
ringhiosi più che non chiede lor possa,

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e da lor disdegnosa torce il muso.

               
Vassi caggendo; e quant ella più ’ngrossa,   

               
tanto più trova di can farsi lupi

51
           
la maladetta e sventurata fossa.

               
Discesa poi per più pelaghi cupi,   

               
trova le volpi sì piene di froda,

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che non temono ingegno che le occùpi.

               
Né lascerò di dir perch’ altri m’oda;   

               
e buon sarà costui, s’ancor s’ammenta

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di ciò che vero spirto mi disnoda.

               
Io veggio tuo nepote che diventa   

               
cacciator di quei lupi in su la riva

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del fiero fiume, e tutti li sgomenta.

               
Vende la carne loro essendo viva;

               
poscia li ancide come antica belva;

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molti di vita e sé di pregio priva.

               
Sanguinoso esce de la trista selva;

               
lasciala tal, che di qui a mille anni

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ne lo stato primaio non si rinselva.”

               
Com’ a l’annunzio di dogliosi danni

               
si turba il viso di colui ch’ascolta,

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da qual che parte il periglio l’assanni,

               
così vid’ io l’altr’ anima, che volta

               
stava a udir, turbarsi e farsi trista,

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poi ch’ebbe la parola a sé raccolta.

               
Lo dir de l’una e de l’altra la vista

               
mi fer voglioso di saper lor nomi,

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e dimanda ne fei con prieghi mista;

               
per che lo spirto che di pria parlòmi

               
ricominciò: “Tu vuo’ ch’io mi deduca   

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nel fare a te ciò che tu far non vuo’mi.

               
Ma da che Dio in te vuol che traluca

               
tanto sua grazia, non ti sarò scarso;

81
           
però sappi ch’io fui Guido del Duca.   

               
Fu il sangue mio d’invidia sì rïarso,   

               
che se veduto avesse uom farsi lieto,

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visto m’avresti di livore sparso.

               
Di mia semente cotal paglia mieto;   

               
o gente umana, perché poni ’l core   

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là ’v’ è mestier di consorte divieto?

               
Questi è Rinier; questi è ’l pregio e l’onore   

               
de la casa da Calboli, ove nullo

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fatto s’è reda poi del suo valore.

               
E non pur lo suo sangue è fatto brullo,   

               
tra ’l Po e ’l monte e la marina e ’l Reno,

93
           
del ben richesto al vero e al trastullo;   

               
ché dentro a questi termini è ripieno

               
di venenosi sterpi, sì che tardi

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per coltivare omai verrebber meno.

               
Ov’ è ’l buon Lizio e Arrigo Mainardi?   

   

               
Pier Traversaro e Guido di Carpigna?   

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Oh Romagnuoli tornati in bastardi!   

               
Quando in Bologna un Fabbro si ralligna?   

               
quando in Faenza un Bernardin di Fosco,   

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verga gentil di picciola gramigna?

               
Non ti maravigliar s’io piango, Tosco,

               
quando rimembro, con Guido da Prata,   

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Ugolin d’Azzo che vivette nosco,   

               
Federigo Tignoso e sua brigata,   

               
la casa Traversara e li Anastagi   

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(e l’una gente e l’altra è diretata),

               
le donne e ’ cavalier, li affanni e li agi   

               
che ne ’nvogliava amore e cortesia

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là dove i cuor son fatti sì malvagi.

               
O Bretinoro, ché non fuggi via,   

               
poi che gita se n’è la tua famiglia

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e molta gente per non esser ria?

               
Ben fa Bagnacaval, che non rifiglia;   

               
e mal fa Castrocaro, e peggio Conio,   

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che di figliar tai conti più s’impiglia.

               
Ben faranno i Pagan, da che ’l demonio   

               
lor sen girà; ma non però che puro

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già mai rimagna d’essi testimonio.

               
O Ugolin de’ Fantolin, sicuro   

               
è ’l nome tuo, da che più non s’aspetta

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chi far lo possa, tralignando, scuro.

               
Ma va via, Tosco, omai; ch’or mi diletta

               
troppo di pianger più che di parlare,   

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sì m’ha nostra ragion la mente stretta.”

               
Noi sapavam che quell’ anime care

               
ci sentivano andar; però, tacendo,

129
         
facëan noi del cammin confidare.

               
Poi fummo fatti soli procedendo,

               
folgore parve quando l’aere fende,

132
         
voce che giunse di contra dicendo:

               
“Anciderammi qualunque m’apprende”;   

               
e fuggì come tuon che si dilegua,

135
         
se sùbito la nuvola scoscende.

               
Come da lei l’udir nostro ebbe triegua,

               
ed ecco l’altra con sì gran fracasso,

138
         
che somigliò tonar che tosto segua:

               
“Io sono Aglauro che divenni sasso”;   

               
e allor, per ristrignermi al poeta,   

141
         
in destro feci, e non innanzi, il passo.

               
Già era l’aura d’ogne parte queta;

               
ed el mi disse: “Quel fu ’l duro camo   

144
         
che dovria l’uom tener dentro a sua meta.

               
Ma voi prendete l’esca, sì che l’amo

               
de l’antico avversaro a sé vi tira;

147
         
e però poco val freno o richiamo.   

               
Chiamavi ’l cielo e ’ntorno vi si gira,

               
mostrandovi le sue bellezze etterne,

               
e l’occhio vostro pur a terra mira;

151
         
onde vi batte chi tutto discerne.”

PURGATORIO XV

               
Quanto tra l’ultimar de l’ora terza   

               
e ’l principio del dì par de la spera

3
             
che sempre a guisa di fanciullo scherza,

               
tanto pareva già inver’ la sera

               
essere al sol del suo corso rimaso;

6
             
vespero là, e qui mezza notte era.

               
E i raggi ne ferien per mezzo ’l naso,   

               
perché per noi girato era sì ’l monte,

9
             
che già dritti andavamo inver’ l’occaso,

               
quand’ io senti’ a me gravar la fronte

               
a lo splendore assai più che di prima,

12
           
e stupor m’eran le cose non conte;

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