Purgatorio (51 page)

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Authors: Dante

BOOK: Purgatorio
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cominciò ella, “se novella vera   

               
di Val di Magra o di parte vicina

117
         
sai, dillo a me, che già grande là era.

               
Fui chiamato Currado Malaspina;

               
non son l’antico, ma di lui discesi;

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a’ miei portai l’amor che qui raffina.”

               
“Oh!” diss’ io lui, “per li vostri paesi   

               
già mai non fui; ma dove si dimora

123
         
per tutta Europa ch’ei non sien palesi?

               
La fama che la vostra casa onora,

               
grida i segnori e grida la contrada,

126
         
sì che ne sa chi non vi fu ancora;

               
e io vi giuro, s’io di sopra vada,

               
che vostra gente onrata non si sfregia

129
         
del pregio de la borsa e de la spada.

               
Uso e natura sì la privilegia,   

               
che, perché il capo reo il mondo torca,

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sola va dritta e ’l mal cammin dispregia.”

               
Ed elli: “Or va; che ’l sol non si ricorca   

               
sette volte nel letto che ’l Montone

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con tutti e quattro i piè cuopre e inforca,

               
che cotesta cortese oppinïone

               
ti fia chiavata in mezzo de la testa

               
con maggior chiovi che d’altrui sermone,

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se corso di giudicio non s’arresta.”

PURGATORIO IX

               
La concubina di Titone antico   

               
già s’imbiancava al balco d’orïente,

3
             
fuor de le braccia del suo dolce amico;

               
di gemme la sua fronte era lucente,

               
poste in figura del freddo animale

6
             
che con la coda percuote la gente;

               
e la notte, de’ passi con che sale,   

               
fatti avea due nel loco ov’ eravamo,

9
             
e ’l terzo già chinava in giuso l’ale;

               
quand’ io, che meco avea di quel d’Adamo,   

               
vinto dal sonno, in su l’erba inchinai

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là ’ve già tutti e cinque sedavamo.

               
Ne l’ora che comincia i tristi lai   

               
la rondinella presso a la mattina,

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forse a memoria de’ suo’ primi guai,

               
e che la mente nostra, peregrina   

               
più da la carne e men da’ pensier presa,

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a le sue visïon quasi è divina,

               
in sogno mi parea veder sospesa   

               
un’aguglia nel ciel con penne d’oro,   

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con l’ali aperte e a calare intesa;

               
ed esser mi parea là dove fuoro   

               
abbandonati i suoi da Ganimede,

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quando fu ratto al sommo consistoro.

               
Fra me pensava: “Forse questa fiede   

               
pur qui per uso, e forse d’altro loco

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disdegna di portarne suso in piede.”

               
Poi mi parea che, poi rotata un poco,   

               
terribil come folgor discendesse,

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e me rapisse suso infino al foco.

               
Ivi parea che ella e io ardesse;   

               
e sì lo ’ncendio imaginato cosse,

33
           
che convenne che ’l sonno si rompesse.

               
Non altrimenti Achille si riscosse,   

               
li occhi svegliati rivolgendo in giro

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e non sappiendo là dove si fosse,

               
quando la madre da Chirón a Schiro

               
trafuggò lui dormendo in le sue braccia,

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là onde poi li Greci il dipartiro;

               
che mi scoss’ io, sì come da la faccia

               
mi fuggì ’l sonno, e diventa’ ismorto,

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come fa l’uom che, spaventato, agghiaccia.

               
Dallato m’era solo il mio conforto,   

               
e ’l sole er’ alto già più che due ore,

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e ’l viso m’era a la marina torto.

               
“Non aver tema,” disse il mio segnore;

               
“fatti sicur, ché noi semo a buon punto;

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non stringer, ma rallarga ogne vigore.

               
Tu se’ omai al purgatorio giunto:

               
vedi là il balzo che ’l chiude dintorno;

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vedi l’entrata là ’ve par digiunto.

               
Dianzi, ne l’alba che procede al giorno,   

               
quando l’anima tua dentro dormia,

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sovra li fiori ond’ è là giù addorno

               
venne una donna, e disse: ‘I’ son Lucia;   

               
lasciatemi pigliar costui che dorme;

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sì l’agevolerò per la sua via.’

               
Sordel rimase e l’altre genti forme;

               
ella ti tolse, e come ’l dì fu chiaro,

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sen venne suso; e io per le sue orme.

               
Qui ti posò, ma pria mi dimostraro

               
li occhi suoi belli quella intrata aperta;

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poi ella e ’l sonno ad una se n’andaro.”

               
A guisa d’uom che ’n dubbio si raccerta   

               
e che muta in conforto sua paura,

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poi che la verità li è discoperta,

               
mi cambia’ io; e come sanza cura

               
vide me ’l duca mio, su per lo balzo

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si mosse, e io di rietro inver’ l’altura.

               
Lettor, tu vedi ben com’ io innalzo   

               
la mia matera, e però con più arte

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non ti maravigliar s’io la rincalzo.

               
Noi ci appressammo, ed eravamo in parte

               
che là dove pareami prima rotto,

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pur come un fesso che muro diparte,

               
vidi una porta, e tre gradi di sotto

               
per gire ad essa, di color diversi,

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e un portier ch’ancor non facea motto.

               
E come l’occhio più e più v’apersi,

               
vidil seder sovra ’l grado sovrano,   

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tal ne la faccia ch’io non lo soffersi;   

               
e una spada nuda avëa in mano,   

               
che reflettëa i raggi sì ver’ noi,

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ch’io dirizzava spesso il viso in vano.

               
“Dite costinci: che volete voi?”   

               
cominciò elli a dire, “ov’ è la scorta?   

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Guardate che ’l venir sù non vi nòi.”

               
“Donna del ciel, di queste cose accorta,”

               
rispuose ’l mio maestro a lui, “pur dianzi

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ne disse: ‘Andate là: quivi è la porta.’ ”

               
“Ed ella i passi vostri in bene avanzi,”

               
ricominciò il cortese portinaio:

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“Venite dunque a’ nostri gradi innanzi.”

               
Là ne venimmo; e lo scaglion primaio   

   

               
bianco marmo era sì pulito e terso,

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ch’io mi specchiai in esso qual io paio.

               
Era il secondo tinto più che perso,   

               
d’una petrina ruvida e arsiccia,

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crepata per lo lungo e per traverso.

               
Lo terzo, che di sopra s’ammassiccia,   

               
porfido mi parea, sì fiammeggiante

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come sangue che fuor di vena spiccia.

               
Sovra questo tenëa ambo le piante   

               
l’angel di Dio sedendo in su la soglia

105
         
che mi sembiava pietra di diamante.

               
Per li tre gradi sù di buona voglia

               
mi trasse il duca mio, dicendo: “Chiedi

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umilemente che ’l serrame scioglia.”

               
Divoto mi gittai a’ santi piedi;   

               
misericordia chiesi e ch’el m’aprisse,

111
         
ma tre volte nel petto pria mi diedi.   

               
Sette P ne la fronte mi descrisse   

               
col punton de la spada, e “Fa che lavi,

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quando se’ dentro, queste piaghe” disse.   

               
Cenere, o terra che secca si cavi,   

               
d’un color fora col suo vestimento;

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e di sotto da quel trasse due chiavi.   

               
L’una era d’oro e l’altra era d’argento;

               
pria con la bianca e poscia con la gialla

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fece a la porta sì, ch’i’ fu’ contento.

               
“Quandunque l’una d’este chiavi falla,

               
che non si volga dritta per la toppa,”

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diss’ elli a noi, “non s’apre questa calla.

               
Più cara è l’una; ma l’altra vuol troppa

               
d’arte e d’ingegno avanti che diserri,

126
         
perch’ ella è quella che ’l nodo digroppa.

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