Purgatorio (50 page)

Read Purgatorio Online

Authors: Dante

BOOK: Purgatorio
8.28Mb size Format: txt, pdf, ePub

               
Ottacchero ebbe nome, e ne le fasce

               
fu meglio assai che Vincislao suo figlio

102
         
barbuto, cui lussuria e ozio pasce.

               
E quel nasetto che stretto a consiglio   

               
par con colui c’ha sì benigno aspetto,

105
         
morì fuggendo e disfiorando il giglio:

               
guardate là come si batte il petto!

               
L’altro vedete c’ha fatto a la guancia

108
         
de la sua palma, sospirando, letto.

               
Padre e suocero son del mal di Francia:

               
sanno la vita sua viziata e lorda,

111
         
e quindi viene il duol che sì li lancia.

               
Quel che par sì membruto e che s’accorda,   

               
cantando, con colui dal maschio naso,

114
         
d’ogne valor portò cinta la corda;

               
e se re dopo lui fosse rimaso   

               
lo giovanetto che retro a lui siede,

117
         
ben andava il valor di vaso in vaso,

               
che non si puote dir de l’altre rede;   

               
Iacomo e Federigo hanno i reami;

120
         
del retaggio miglior nessun possiede.

               
Rade volte risurge per li rami   

               
l’umana probitate; e questo vole

123
         
quei che la dà, perché da lui si chiami.

               
Anche al nasuto vanno mie parole   

               
non men ch’a l’altro, Pier, che con lui canta,

126
         
onde Puglia e Proenza già si dole.

               
Tant’ è del seme suo minor la pianta,

               
quanto, più che Beatrice e Margherita,

129
         
Costanza di marito ancor si vanta.

               
Vedete il re de la semplice vita   

               
seder là solo, Arrigo d’Inghilterra:

132
         
questi ha ne’ rami suoi migliore uscita.

               
Quel che più basso tra costor s’atterra,   

               
guardando in suso, è Guiglielmo marchese,

               
per cui e Alessandria e la sua guerra

136
         
fa pianger Monferrato e Canavese.”

PURGATORIO VIII

               
Era già l’ora che volge il disio   

               
ai navicanti e ’ntenerisce il core

3
             
lo dì c’han detto ai dolci amici addio;

               
e che lo novo peregrin d’amore

               
punge, se ode squilla di lontano

6
             
che paia il giorno pianger che si more;

               
quand’ io incominciai a render vano   

               
l’udire e a mirare una de l’alme

9
             
surta, che l’ascoltar chiedea con mano.

               
Ella giunse e levò ambo le palme,   

               
ficcando li occhi verso l’orïente,

12
           
come dicesse a Dio: “D’altro non calme.”

               
“Te lucis ante”
sì devotamente   

               
le uscìo di bocca e con sì dolci note,   

15
           
che fece me a me uscir di mente;

               
e l’altre poi dolcemente e devote

               
seguitar lei per tutto l’inno intero,

18
           
avendo li occhi a le superne rote.

               
Aguzza qui, lettor, ben li occhi al vero,   

               
ché ’l velo è ora ben tanto sottile,

21
           
certo che ’l trapassar dentro è leggero.

               
Io vidi quello essercito gentile

               
tacito poscia reguardare in sùe,

24
           
quasi aspettando, palido e umìle;

               
e vidi uscir de l’alto e scender giùe   

               
due angeli con due spade affocate,

27
           
tronche e private de le punte sue.

               
Verdi come fogliette pur mo nate

               
erano in veste, che da verdi penne

30
           
percosse traean dietro e ventilate.

               
L’un poco sovra noi a star si venne,

               
e l’altro scese in l’opposita sponda,

33
           
sì che la gente in mezzo si contenne.

               
Ben discernëa in lor la testa bionda;

               
ma ne la faccia l’occhio si smarria,

36
           
come virtù ch’a troppo si confonda.

               
“Ambo vegnon del grembo di Maria,”   

               
disse Sordello, “a guardia de la valle,

39
           
per lo serpente che verrà vie via.”

               
Ond’ io, che non sapeva per qual calle,   

               
mi volsi intorno, e stretto m’accostai,

42
           
tutto gelato, a le fidate spalle.

               
E Sordello anco: “Or avvalliamo omai   

               
tra le grandi ombre, e parleremo ad esse;

45
           
grazïoso fia lor vedervi assai.”

               
Solo tre passi credo ch’i’ scendesse,   

               
e fui di sotto, e vidi un che mirava

48
           
pur me, come conoscer mi volesse.   

               
Temp’ era già che l’aere s’annerava,

               
ma non sì che tra li occhi suoi e ’ miei

51
           
non dichiarisse ciò che pria serrava.   

               
Ver’ me si fece, e io ver’ lui mi fei:   

               
giudice Nin gentil, quanto mi piacque   

54
           
quando ti vidi non esser tra ’ rei!   

               
Nullo bel salutar tra noi si tacque;   

               
poi dimandò: “Quant’ è che tu venisti

57
           
a piè del monte per le lontane acque?”

               
“Oh!” diss’ io lui, “per entro i luoghi tristi   

               
venni stamane, e sono in prima vita,

60
           
ancor che l’altra, sì andando, acquisti.”

               
E come fu la mia risposta udita,   

               
Sordello ed elli in dietro si raccolse

63
           
come gente di sùbito smarrita.

               
L’uno a Virgilio e l’altro a un si volse

               
che sedea lì, gridando: “Sù, Currado!

66
           
vieni a veder che Dio per grazia volse.”

               
Poi, vòlto a me: “Per quel singular grado   

               
che tu dei a colui che sì nasconde

69
           
lo suo primo perché, che non lì è guado,

               
quando sarai di là da le larghe onde,

               
dì a Giovanna mia che per me chiami   

72
           
là dove a li ’nnocenti si risponde.

               
Non credo che la sua madre più m’ami,   

               
poscia che trasmutò le bianche bende,

75
           
le quai convien che, misera!, ancor brami.

               
Per lei assai di lieve si comprende

               
quanto in femmina foco d’amor dura,   

78
           
se l’occhio o ’l tatto spesso non l’accende.

               
Non le farà sì bella sepultura   

               
la vipera che Melanesi accampa,

81
           
com’ avria fatto il gallo di Gallura.”

               
Così dicea, segnato de la stampa,   

               
nel suo aspetto, di quel dritto zelo

84
           
che misuratamente in core avvampa.

               
Li occhi miei ghiotti andavan pur al cielo,   

               
pur là dove le stelle son più tarde,

87
           
sì come rota più presso a lo stelo.

               
E ’l duca mio: “Figliuol, che là sù guarde?”

               
E io a lui: “A quelle tre facelle

90
           
di che ’l polo di qua tutto quanto arde.”

               
Ond’ elli a me: “Le quattro chiare stelle

               
che vedevi staman, son di là basse,

93
           
e queste son salite ov’ eran quelle.”

               
Com’ ei parlava, e Sordello a sé il trasse   

               
dicendo: “Vedi là ’l nostro avversaro”;

96
           
e drizzò il dito perché ’n là guardasse.

               
Da quella parte onde non ha riparo   

               
la picciola vallea, era una biscia,

99
           
forse qual diede ad Eva il cibo amaro.

               
Tra l’erba e ’ fior venìa la mala striscia,

               
volgendo ad ora ad or la testa, e ’l dosso

102
         
leccando come bestia che si liscia.

               
Io non vidi, e però dicer non posso,   

               
come mosser li astor celestïali;

105
         
ma vidi bene e l’uno e l’altro mosso.

               
Sentendo fender l’aere a le verdi ali,

               
fuggì ’l serpente, e li angeli dier volta,

108
         
suso a le poste rivolando iguali.

               
L’ombra che s’era al giudice raccolta   

               
quando chiamò, per tutto quello assalto

111
         
punto non fu da me guardare sciolta.

               
“Se la lucerna che ti mena in alto

               
truovi nel tuo arbitrio tanta cera

114
         
quant’ è mestiere infino al sommo smalto,”

Other books

All the Pretty Faces by Rita Herron
The Dude Wrangler by Lockhart, Caroline
Baby-Sitting Is a Dangerous Job by Willo Davis Roberts
The Castaways by Iain Lawrence
The Anthologist by Nicholson Baker