Purgatorio (70 page)

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Authors: Dante

BOOK: Purgatorio
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Perché ’l turbar che sotto da sé fanno

               
l’essalazion de l’acqua e de la terra,

99
           
che quanto posson dietro al calor vanno,

               
a l’uomo non facesse alcuna guerra,

               
questo monte salìo verso ’l ciel tanto,

102
         
e libero n’è d’indi ove si serra.

               
Or perché in circuito tutto quanto   

               
l’aere si volge con la prima volta,

105
         
se non li è rotto il cerchio d’alcun canto,

               
in questa altezza ch’è tutta disciolta

               
ne l’aere vivo, tal moto percuote,

108
         
e fa sonar la selva perch’ è folta;

               
e la percossa pianta tanto puote,

               
che de la sua virtute l’aura impregna

111
         
e quella poi, girando, intorno scuote;

               
e l’altra terra, secondo ch’è degna

               
per sé e per suo ciel, concepe e figlia

114
         
di diverse virtù diverse legna.

               
Non parrebbe di là poi maraviglia,

               
udito questo, quando alcuna pianta

117
         
sanza seme palese vi s’appiglia.

               
E saper dei che la campagna santa

               
dove tu se’, d’ogne semenza è piena,

120
         
e frutto ha in sé che di là non si schianta.

               
L’acqua che vedi non surge di vena   

               
che ristori vapor che gel converta,

123
         
come fiume ch’acquista e perde lena;

               
ma esce di fontana salda e certa,

               
che tanto dal voler di Dio riprende,

126
         
quant’ ella versa da due parti aperta.

               
Da questa parte con virtù discende   

               
che toglie altrui memoria del peccato;

129
         
da l’altra d’ogne ben fatto la rende.

               
Quinci Letè; così da l’altro lato

               
Eünoè si chiama, e non adopra

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se quinci e quindi pria non è gustato:

               
a tutti altri sapori esto è di sopra.   

               
E avvegna ch’assai possa esser sazia

135
         
la sete tua perch’ io più non ti scuopra,

               
darotti un corollario ancor per grazia;   

               
né credo che ’l mio dir ti sia men caro,

138
         
se oltre promession teco si spazia.

               
Quelli ch’anticamente poetaro   

               
l’età de l’oro e suo stato felice,

141
         
forse in Parnaso esto loco sognaro.

               
Qui fu innocente l’umana radice;   

               
qui primavera sempre e ogne frutto;

144
         
nettare è questo di che ciascun dice.”

               
Io mi rivolsi ’n dietro allora tutto

               
a’ miei poeti, e vidi che con riso   

               
udito avëan l’ultimo costrutto;

148
         
poi a la bella donna torna’ il viso.

PURGATORIO XXIX

               
Cantando come donna innamorata,   

               
continüò col fin di sue parole:

3
             
“Beati quorum tecta sunt peccata!”

               
E come ninfe che si givan sole   

               
per le salvatiche ombre, disïando

6
             
qual di veder, qual di fuggir lo sole,

               
allor si mosse contra ’l fiume, andando   

               
su per la riva; e io pari di lei,

9
             
picciol passo con picciol seguitando.

               
Non eran cento tra ’ suoi passi e ’ miei,

               
quando le ripe igualmente dier volta,

12
           
per modo ch’a levante mi rendei.

               
Né ancor fu così nostra via molta,

               
quando la donna tutta a me si torse,

15
           
dicendo: “Frate mio, guarda e ascolta.”   

               
Ed ecco un lustro sùbito trascorse   

               
da tutte parti per la gran foresta,

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tal che di balenar mi mise in forse.

               
Ma perché ’l balenar, come vien, resta,

               
e quel, durando, più e più splendeva,

21
           
nel mio pensier dicea: “Che cosa è questa?”

               
E una melodia dolce correva   

               
per l’aere luminoso; onde buon zelo

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mi fé riprender l’ardimento d’Eva,

               
che là dove ubidia la terra e ’l cielo,

               
femmina, sola e pur testé formata,

27
           
non sofferse di star sotto alcun velo;

               
sotto ’l qual se divota fosse stata,

               
avrei quelle ineffabili delizie

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sentite prima e più lunga fïata.

               
Mentr’ io m’andava tra tante primizie   

               
de l’etterno piacer tutto sospeso,

33
           
e disïoso ancora a più letizie,

               
dinanzi a noi, tal quale un foco acceso,

               
ci si fé l’aere sotto i verdi rami;

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e ’l dolce suon per canti era già inteso.   

               
O sacrosante Vergini, se fami,   

               
freddi o vigilie mai per voi soffersi,

39
           
cagion mi sprona ch’io mercé vi chiami.

               
Or convien che Elicona per me versi,

               
e Uranìe m’aiuti col suo coro

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forti cose a pensar mettere in versi.   

               
Poco più oltre, sette alberi d’oro   

               
falsava nel parere il lungo tratto

45
           
del mezzo ch’era ancor tra noi e loro;

               
ma quand’ i’ fui sì presso di lor fatto,

               
che l’obietto comun, che ’l senso inganna,   

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non perdea per distanza alcun suo atto,

               
la virtù ch’a ragion discorso ammanna,

               
sì com’ elli eran candelabri apprese,

51
           
e ne le voci del cantare
“Osanna.”

               
Di sopra fiammeggiava il bello arnese   

               
più chiaro assai che luna per sereno

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di mezza notte nel suo mezzo mese.

               
Io mi rivolsi d’ammirazion pieno   

               
al buon Virgilio, ed esso mi rispuose

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con vista carca di stupor non meno.

               
Indi rendei l’aspetto a l’alte cose

               
che si movieno incontr’ a noi sì tardi,

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che foran vinte da novelle spose.   

               
La donna mi sgridò: “Perché pur ardi   

               
sì ne l’affetto de le vive luci,

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e ciò che vien di retro a lor non guardi?”

               
Genti vid’ io allor, come a lor duci,   

               
venire appresso, vestite di bianco;

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e tal candor di qua già mai non fuci.

               
L’acqua imprendëa dal sinistro fianco,   

               
e rendea me la mia sinistra costa,

69
           
s’io riguardava in lei, come specchio anco.

               
Quand’ io da la mia riva ebbi tal posta,

               
che solo il fiume mi facea distante,

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per veder meglio ai passi diedi sosta,

               
e vidi le fiammelle andar davante,   

               
lasciando dietro a sé l’aere dipinto,

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e di tratti pennelli avean sembiante;

               
sì che lì sopra rimanea distinto

               
di sette liste, tutte in quei colori

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onde fa l’arco il Sole e Delia il cinto.

               
Questi ostendali in dietro eran maggiori   

               
che la mia vista; e, quanto a mio avviso,

81
           
diece passi distavan quei di fori.

               
Sotto così bel ciel com’ io diviso,

               
ventiquattro seniori, a due a due,   

84
           
coronati venien di fiordaliso.

               
Tutti cantavan: “
Benedicta
tue   

               
ne le figlie d’Adamo, e benedette

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sieno in etterno le bellezze tue!”

               
Poscia che i fiori e l’altre fresche erbette

               
a rimpetto di me da l’altra sponda

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libere fuor da quelle genti elette,

               
sì come luce luce in ciel seconda,

               
vennero appresso lor quattro animali,   

93
           
coronati ciascun di verde fronda.

               
Ognuno era pennuto di sei ali;   

               
le penne piene d’occhi; e li occhi d’Argo,

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se fosser vivi, sarebber cotali.

               
A descriver lor forme più non spargo   

               
rime, lettor; ch’altra spesa mi strigne,

99
           
tanto ch’a questa non posso esser largo;

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