Purgatorio (66 page)

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Authors: Dante

BOOK: Purgatorio
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però che ’l loco u’ fui a viver posto,

               
di giorno in giorno più di ben si spolpa,

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e a trista ruina par disposto.”

               
“Or va,” diss’ el; “che quei che più n’ha colpa,   

               
vegg’ ïo a coda d’una bestia tratto

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inver’ la valle ove mai non si scolpa.

               
La bestia ad ogne passo va più ratto,

               
crescendo sempre, fin ch’ella il percuote,

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e lascia il corpo vilmente disfatto.

               
Non hanno molto a volger quelle ruote,”

               
e drizzò li occhi al ciel, “che ti fia chiaro

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ciò che ’l mio dir più dichiarar non puote.

               
Tu ti rimani omai; ché ’l tempo è caro

               
in questo regno, sì ch’io perdo troppo

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venendo teco sì a paro a paro.”

               
Qual esce alcuna volta di gualoppo   

               
lo cavalier di schiera che cavalchi,

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e va per farsi onor del primo intoppo,

               
tal si partì da noi con maggior valchi;

               
e io rimasi in via con esso i due

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che fuor del mondo sì gran marescalchi.

               
E quando innanzi a noi intrato fue,   

               
che li occhi miei si fero a lui seguaci,

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come la mente a le parole sue,

               
parvermi i rami gravidi e vivaci   

               
d’un altro pomo, e non molto lontani

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per esser pur allora vòlto in laci.

               
Vidi gente sott’ esso alzar le mani   

               
e gridar non so che verso le fronde,

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quasi bramosi fantolini e vani

               
che pregano, e ’l pregato non risponde,

               
ma, per fare esser ben la voglia acuta,

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tien alto lor disio e nol nasconde.

               
Poi si partì sì come ricreduta;   

               
e noi venimmo al grande arbore adesso,

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che tanti prieghi e lagrime rifiuta.

               
“Trapassate oltre sanza farvi presso:   

               
legno è più sù che fu morso da Eva,

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e questa pianta si levò da esso.”

               
Sì tra le frasche non so chi diceva;

               
per che Virgilio e Stazio e io, ristretti,

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oltre andavam dal lato che si leva.

               
“Ricordivi,” dicea, “d’i maladetti   

               
nei nuvoli formati, che, satolli,

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Tesëo combatter co’ doppi petti;

               
e de li Ebrei ch’al ber si mostrar molli,

               
per che no i volle Gedeon compagni,

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quando inver’ Madïan discese i colli.”

               
Sì accostati a l’un d’i due vivagni

               
passammo, udendo colpe de la gola

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seguite già da miseri guadagni.

               
Poi, rallargati per la strada sola,

               
ben mille passi e più ci portar oltre,

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contemplando ciascun sanza parola.

               
“Che andate pensando sì voi sol tre?”   

               
sùbita voce disse; ond’ io mi scossi

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come fan bestie spaventate e poltre.

               
Drizzai la testa per veder chi fossi;

               
e già mai non si videro in fornace   

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vetri o metalli sì lucenti e rossi,

               
com’io vidi un che dicea: “S’a voi piace

               
montare in sù, qui si convien dar volta;

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quinci si va chi vuole andar per pace.”

               
L’aspetto suo m’avea la vista tolta;

               
per ch’io mi volsi dietro a’ miei dottori,

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com’ om che va secondo ch’elli ascolta.

               
E quale, annunziatrice de li albori,   

               
l’aura di maggio movesi e olezza,

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tutta impregnata da l’erba e da’ fiori;

               
tal mi senti’ un vento dar per mezza

               
la fronte, e ben senti’ mover la piuma,

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che fé sentir d’ambrosïa l’orezza.

               
E senti’ dir: “Beati cui alluma   

               
tanto di grazia, che l’amor del gusto

               
nel petto lor troppo disir non fuma,

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esurïendo sempre quanto è giusto!”

PURGATORIO XXV

               
Ora era onde ’l salir non volea storpio;   

               
ché ’l sole avëa il cerchio di merigge

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lasciato al Tauro e la notte a lo Scorpio:

               
per che, come fa l’uom che non s’affigge   

               
ma vassi a la via sua, che che li appaia,

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se di bisogno stimolo il trafigge,

               
così intrammo noi per la callaia,

               
uno innanzi altro prendendo la scala

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che per artezza i salitor dispaia.

               
E quale il cicognin che leva l’ala

               
per voglia di volare, e non s’attenta

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d’abbandonar lo nido, e giù la cala;

               
tal era io con voglia accesa e spenta

               
di dimandar, venendo infino a l’atto

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che fa colui ch’a dicer s’argomenta.

               
Non lasciò, per l’andar che fosse ratto,

               
lo dolce padre mio, ma disse: “Scocca   

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l’arco del dir, che ’nfino al ferro hai tratto.”

               
Allor sicuramente apri’ la bocca

               
e cominciai: “Come si può far magro   

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là dove l’uopo di nodrir non tocca?”

               
“Se t’ammentassi come Meleagro   

               
si consumò al consumar d’un stizzo,

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non fora,” disse, “a te questo sì agro;

               
e se pensassi come, al vostro guizzo,   

               
guizza dentro a lo specchio vostra image,

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ciò che par duro ti parrebbe vizzo.

               
Ma perché dentro a tuo voler t’adage,   

               
ecco qui Stazio; e io lui chiamo e prego

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che sia or sanator de le tue piage.”

               
“Se la veduta etterna li dislego,”   

               
rispuose Stazio, “là dove tu sie,

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discolpi me non potert’ io far nego.”

               
Poi cominciò: “Se le parole mie,   

               
figlio, la mente tua guarda e riceve,

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lume ti fiero al come che tu die.

               
Sangue perfetto, che poi non si beve   

               
da l’assetate vene, e si rimane

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quasi alimento che di mensa leve,

               
prende nel core a tutte membra umane

               
virtute informativa, come quello

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ch’a farsi quelle per le vene vane.

               
Ancor digesto, scende ov’ è più bello

               
tacer che dire; e quindi poscia geme

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sovr’ altrui sangue in natural vasello.

               
Ivi s’accoglie l’uno e l’altro insieme,

               
l’un disposto a patire, e l’altro a fare

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per lo perfetto loco onde si preme;   

               
e, giunto lui, comincia ad operare

               
coagulando prima, e poi avviva

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ciò che per sua matera fé constare.

               
Anima fatta la virtute attiva   

               
qual d’una pianta, in tanto differente,

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che questa è in via e quella è già a riva,

               
tanto ovra poi, che già si move e sente,

               
come spungo marino; e indi imprende   

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ad organar le posse ond’ è semente.

               
Or si spiega, figliuolo, or si distende

               
la virtù ch’è dal cor del generante,

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dove natura a tutte membra intende.

               
Ma come d’animal divegna fante,   

               
non vedi tu ancor: quest’ è tal punto,   

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che più savio di te fé già errante,

               
sì che per sua dottrina fé disgiunto

               
da l’anima il possibile intelletto,

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perché da lui non vide organo assunto.

               
Apri a la verità che viene il petto;   

               
e sappi che, sì tosto come al feto

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l’articular del cerebro è perfetto,

               
lo motor primo a lui si volge lieto

               
sovra tant’ arte di natura, e spira

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spirito novo, di vertù repleto,

               
che ciò che trova attivo quivi, tira

               
in sua sustanzia, e fassi un’alma sola,

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che vive e sente e sé in sé rigira.

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