Purgatorio (62 page)

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Authors: Dante

BOOK: Purgatorio
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Chiamato fui di là Ugo Ciappetta;   

               
di me son nati i Filippi e i Luigi   

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per cui novellamente è Francia retta.

               
Figliuol fu’ io d’un beccaio di Parigi:   

               
quando li regi antichi venner meno   

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tutti, fuor ch’un renduto in panni bigi,

               
trova’mi stretto ne le mani il freno   

               
del governo del regno, e tanta possa

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di nuovo acquisto, e sì d’amici pieno,

               
ch’a la corona vedova promossa

               
la testa di mio figlio fu, dal quale

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cominciar di costor le sacrate ossa.

               
Mentre che la gran dota provenzale   

               
al sangue mio non tolse la vergogna,

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poco valea, ma pur non facea male.

               
Lì cominciò con forza e con menzogna

               
la sua rapina; e poscia, per ammenda,

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Pontì e Normandia prese e Guascogna.

               
Carlo venne in Italia e, per ammenda,   

               
vittima fé di Curradino; e poi

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ripinse al ciel Tommaso, per ammenda.

               
Tempo vegg’ io, non molto dopo ancoi,

               
che tragge un altro Carlo fuor di Francia,

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per far conoscer meglio e sé e ’ suoi.

               
Sanz’ arme n’esce e solo con la lancia

               
con la qual giostrò Giuda, e quella ponta

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sì, ch’a Fiorenza fa scoppiar la pancia.

               
Quindi non terra, ma peccato e onta

               
guadagnerà, per sé tanto più grave,

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quanto più lieve simil danno conta.

               
L’altro, che già uscì preso di nave,

               
veggio vender sua figlia e patteggiarne

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come fanno i corsar de l’altre schiave.

               
O avarizia, che puoi tu più farne,   

               
poscia c’ha’ il mio sangue a te sì tratto,

84
           
che non si cura de la propria carne?

               
Perché men paia il mal futuro e ’l fatto,   

               
veggio in Alagna intrar lo fiordaliso,

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e nel vicario suo Cristo esser catto.

               
Veggiolo un’altra volta esser deriso;

               
veggio rinovellar l’aceto e ’l fiele,

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e tra vivi ladroni esser anciso.

               
Veggio il novo Pilato sì crudele,   

               
che ciò nol sazia, ma sanza decreto

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portar nel Tempio le cupide vele.

               
O Segnor mio, quando sarò io lieto   

               
a veder la vendetta che, nascosa,

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fa dolce l’ira tua nel tuo secreto?

               
Ciò ch’io dicea di quell’ unica sposa   

               
de lo Spirito Santo e che ti fece

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verso me volger per alcuna chiosa,

               
tanto è risposto a tutte nostre prece

               
quanto ’l dì dura; ma com’ el s’annotta,

102
         
contrario suon prendemo in quella vece.

               
Noi repetiam Pigmalïon allotta,   

   

               
cui traditore e ladro e paricida

105
         
fece la voglia sua de l’oro ghiotta;

               
e la miseria de l’avaro Mida,   

               
che seguì a la sua dimanda gorda,

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per la qual sempre convien che si rida.

               
Del folle Acàn ciascun poi si ricorda,   

               
come furò le spoglie, sì che l’ira

111
         
di Iosüè qui par ch’ancor lo morda.

               
Indi accusiam col marito Saffira;   

               
lodiamo i calci ch’ebbe Elïodoro;   

114
         
e in infamia tutto ’l monte gira   

               
Polinestòr ch’ancise Polidoro;

               
ultimamente ci si grida: ‘Crasso,   

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dilci, che ’l sai: di che sapore è l’oro?’

               
Talor parla l’uno alto e l’altro basso,   

               
secondo l’affezion ch’ad ir ci sprona

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ora a maggiore e ora a minor passo:

               
però al ben che ’l dì ci si ragiona,

               
dianzi non era io sol; ma qui da presso

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non alzava la voce altra persona.”

               
Noi eravam partiti già da esso,   

               
e brigavam di soverchiar la strada

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tanto quanto al poder n’era permesso,

               
quand’ io senti’, come cosa che cada,   

               
tremar lo monte; onde mi prese un gelo

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qual prender suol colui ch’a morte vada.

               
Certo non si scoteo sì forte Delo,   

               
pria che Latona in lei facesse ’l nido

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a parturir li due occhi del cielo.

               
Poi cominciò da tutte parti un grido   

               
tal, che ’l maestro inverso me si feo,

135
         
dicendo: “Non dubbiar, mentr’ io ti guido.”

               
“Glorïa in excelsis”
tutti
“Deo”
   

               
dicean, per quel ch’io da’ vicin compresi,

138
         
onde intender lo grido si poteo.

               
No’ istavamo immobili e sospesi

               
come i pastor che prima udir quel canto,

141
         
fin che ’l tremar cessò ed el compiési.

               
Poi ripigliammo nostro cammin santo,   

               
guardando l’ombre che giacean per terra,

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tornate già in su l’usato pianto.

               
Nulla ignoranza mai con tanta guerra   

               
mi fé desideroso di sapere,

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se la memoria mia in ciò non erra,

               
quanta pareami allor, pensando, avere;

               
né per la fretta dimandare er’ oso,

               
né per me lì potea cosa vedere:

151
         
così m’andava timido e pensoso.

PURGATORIO XXI

               
La sete natural che mai non sazia   

               
se non con l’acqua onde la femminetta   

3
             
samaritana domandò la grazia,

               
mi travagliava, e pungeami la fretta   

               
per la ’mpacciata via dietro al mio duca,

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e condoleami a la giusta vendetta.

               
Ed ecco, sì come ne scrive Luca   

               
che Cristo apparve a’ due ch’erano in via,

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già surto fuor de la sepulcral buca,

               
ci apparve un’ombra, e dietro a noi venìa,   

               
dal piè guardando la turba che giace;

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né ci addemmo di lei, sì parlò pria,

               
dicendo: “O frati miei, Dio vi dea pace.”

               
Noi ci volgemmo sùbiti, e Virgilio   

15
           
rendéli ’l cenno ch’a ciò si conface.

               
Poi cominciò: “Nel beato concilio   

               
ti ponga in pace la verace corte

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che me rilega ne l’etterno essilio.”

               
“Come!” diss’ elli, e parte andavam forte:   

               
“se voi siete ombre che Dio sù non degni,

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chi v’ha per la sua scala tanto scorte?”

               
E ’l dottor mio: “Se tu riguardi a’ segni   

               
che questi porta e che l’angel profila,

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ben vedrai che coi buon convien ch’e’ regni.

               
Ma perché lei che dì e notte fila   

               
non li avea tratta ancora la conocchia

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che Cloto impone a ciascuno e compila,

               
l’anima sua, ch’è tua e mia serocchia,

               
venendo sù, non potea venir sola,

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però ch’al nostro modo non adocchia.

               
Ond’ io fui tratto fuor de l’ampia gola

               
d’inferno per mostrarli, e mosterrolli

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oltre, quanto ’l potrà menar mia scola.   

               
Ma dimmi, se tu sai, perché tai crolli   

               
diè dianzi ’l monte, e perché tutto ad una

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parve gridare infino a’ suoi piè molli.”

               
Sì mi diè, dimandando, per la cruna

               
del mio disio, che pur con la speranza

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si fece la mia sete men digiuna.

               
Quei cominciò: “Cosa non è che sanza   

               
ordine senta la religïone

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de la montagna, o che sia fuor d’usanza.

               
Libero è qui da ogne alterazione:

               
di quel che ’l ciel da sé in sé riceve

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esser ci puote, e non d’altro, cagione.

               
Per che non pioggia, non grando, non neve,

               
non rugiada, non brina più sù cade

48
           
che la scaletta di tre gradi breve;

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