Equinox (11 page)

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Authors: Michael White

Tags: #Fiction, #Thrillers, #Suspense

BOOK: Equinox
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«Perché dovrei trattenermi?» sbottò Hooke. «Non esiste modo migliore per descrivere lo stimato professore lucasiano. Anzi, forse è una descrizione troppo mite. E potrei aggiungere che voi, signore, non siete molto migliore di lui.» In quel momento, Wickins capì esattamente perché Newton odiasse tanto quell'uomo. Il corpo contorto, sgraziato di Hooke era brutto quasi quanto la sua personalità.

«Andiamo, signori», intervenne Boyle. «Penso che John sarebbe del tutto lieto di ammettere davanti a noi di aver commesso degli errori per quanto concerne il suo compagno d'alloggio. Ora però è essenziale generare soluzioni, non recriminazioni.»

«Ma sono stato io a mettervi tutti e due sull'avviso», insistette Hooke.

Passando lo sguardo da Wickins a Boyle, aggiunse: «L'ambizione dell'uomo non ha limiti. Vi avevo detto, signore, a Londra, dopo il discorso di Wren, che Newton aveva individuato qualcosa di importante».

«Non rammento la sua presenza», ribatté Boyle.

«Era sul fondo della sala, accanto alla porta. L'ho intravisto dal palco. Non mi sbagliavo. È uscito quasi nell'istante in cui Wren ha concluso.»

«E sostenete di avere affrontato Wren sull'episodio.»

«Certo.» Quello di Hooke fu quasi un sussurro. «Ma non ha voluto dirmi niente. Non credo di essergli mai piaciuto.» Wickins non riuscì a soffocare uno sbuffo. «Maestro», guardò Boyle.

«Sono distrutto dalla mia stupidità in tutto questo. Se mi è concessa una sola scusante, mi limiterei a dire che per quanto nutrissimo genuini sospetti sulla consapevolezza di Newton dell'esistenza della sfera, avrei trovato quasi impossibile crederlo in possesso delle informazioni necessarie per sottrarcela sotto il nostro naso. Né avrei potuto arrivare a credere che sapesse cosa farne, dopo esserne entrato in possesso.»

«L'incarico di sorvegliare quel demone era affidato a voi, tonto!» esclamò Hooke.

«Signori», riprese Boyle, «in questo triste mattino non ho né l'energia né la voglia di ripetermi. Dovete farla finita con questa acrimonia, o tutto potrebbe essere perduto. Se non cominciate a indossare il mantello dell'intelligenza e della dignità, il nostro amico Isaac Newton avrà la meglio su noi. E non ingannatevi, è un avversario formidabile.» Cadde il silenzio. Wickins si accorse bruscamente dei rumori della città che entravano da una finestra aperta. Erano quasi le nove, e per quanto Oxford fosse sostanzialmente vuota di studenti, restava viva dei suoni di commercianti e mercanti di strada, dei carretti in movimento lungo l'High.

Da più lontano giungevano i battiti metallici dei martelli e il frusciare delle seghe sul legno: operai erano al lavoro per riparare un tetto del college.

«Quali sono i vostri pensieri, maestro?» Hooke si astenne dal guardare in direzione di Wickins. «Conoscete i miei sentimenti su Newton. È un pitale pieno di sé. Anche altri sanno che è la verità, alcuni per amara esperienza.

Ma solo un idiota negherebbe che possegga una mente brillante.»

«Come sempre, le vostre parole sono esplicite, Robert, però ovviamente vere. Mi addolora dirlo, ma temo che si debba presumere il peggio.

Newton lavorerà con altre persone. È una necessità alla quale nemmeno lui può sfuggire, per quanto sia istintivamente portato a odiarla. Dobbiamo anche presumere che quegli uomini si trovino da tempo in questa città e che, per quanto noi non siamo riusciti a venirne a conoscenza, si siano macchiati di sangue le mani. Sappiamo tutti che cosa comporti il rituale.» Boyle scrutò grave gli altri due.

«Signori, l'inazione ci pone di fronte a un terribile pericolo. Ciascuno di noi...» fissò Hooke con uno sguardo che avrebbe incenerito uomini ben più forti, «tutti noi dobbiamo fare ciò che è in nostro potere per sventare stanotte i piani del professore lucasiano. Il tempo è contro di noi, amici miei. Dobbiamo iniziare immediatamente i preparativi.»

15

 

L'ufficio del detective ispettore capo Monroe era austero quanto lui. La scrivania occupava un terzo della stanza ed era sgombra di oggetti, tranne che per un computer di ultima generazione, un paio di telefoni e una vaschetta portapenne.

Non c'erano quadri o foto alle pareti. Una pianticella solitaria e moribonda lasciava penzolare le foglie dai lati di un armadietto d'archivio. Due sedie logore erano posizionate agli angoli della scrivania, rivolte verso la poltroncina girevole di Monroe. Ma non era nessuna di quelle cose a creare la prima impressione: era l'odore, uno sgradevole misto di aromi da fast-food. Evidentemente, rifletté Laura mentre accettava la sedia offertale dall'ispettore capo, Monroe riteneva che mangiare come si deve fosse uno spreco di tempo e risorse.

Una parete in vetro correva lungo un lato della stanza. Offriva una visuale dell'area open space, piena di postazioni di lavoro, con pareti coperte da mappe. C'erano monitor lampeggianti, computer utilizzati da poliziotti in uniforme e agenti in borghese che bevevano caffè, scrutavano schermi, parlavano con grande intensità appoggiati agli schienali delle sedie, coi piedi sulle scrivanie. Altri studiavano carte, si passavano le mani nei capelli, scarabocchiavano su taccuini, battevano su tastiere, parlavano e ascoltavano al telefono. Erano le 19.45, ma sarebbe potuta essere qualunque ora del giorno o della notte. Quel luogo era iper-illuminato, rumoroso, fremente d'attività. A prescindere dalla città, Laura lo sapeva per lunga esperienza, le stazioni di polizia non dormono mai.

Quasi sobbalzò accorgendosi che Philip e Monroe la fissavano.

«Allora, signora Niven», Monroe pareva trafiggerla con i suoi intensi occhi neri, «è in possesso di informazioni che a suo giudizio potrebbero aiutarmi nelle indagini.» La voce tradiva solo un pizzico dello scetticismo e dell'impazienza che senz'altro lui provava. Laura, in effetti, aveva già incontrato quel tipo d'uomo molte volte. Monroe era uno stereotipo, l'equivalente inglese dei duri poliziotti che aveva conosciuto lavorando come reporter di nera. Individui come l'ispettore capo erano immuni a quasi tutte le armi che lei sapeva di poter usare per non lasciarsi sopraffare in compagnia maschile, impermeabili alle capacità di persuasione e all'abilità di far procedere le cose a modo suo che di solito sfruttava con tanta efficacia. Al tempo stesso, sapeva bene che i Monroe del mondo intero erano i poliziotti migliori. Tutti uomini che, almeno in superficie, non sembravano avere una vita famigliare, bagagli emotivi, nulla che potesse renderli deboli o distrarli da ciò che facevano.

«Sì, infatti», rispose. «E credo siano importanti.»

«Be', è un sollievo.» Dopo un'occhiata a Philip, per accertarsi che approvasse l'idea di raccontare tutta quanta la storia, Laura si mise a spiegare ciò che aveva scoperto. Parlò delle ricerche su almanac.com e delle congiunzioni che aveva previsto. Monroe mantenne una maschera quasi impassibile, aggrottando la fronte di tanto in tanto per comunicarle che la ascoltava. Quando lei ebbe finito, l'ispettore capo si adagiò all'indietro e incrociò le braccia sul petto. Le maniche della giacca erano risalite, sembravano tanto strette da dare l'impressione che la stoffa potesse squarciarsi da un momento all'altro.

«Astrologia.» La parola uscì tonda, ben rifinita. La «ol» fu come un'eco all'interno di un tronco di quercia svuotato. Monroe alzò gli occhi al soffitto.

«So cosa sta pensando. Sì, suona, ecco... strano, immagino...»

«Lei ritiene che il nostro omicida segua un calendario scritto nelle stelle.

Uno svitato che uccide in base a un piano accuratamente studiato.»

«Sì.»

«Solo per via delle coincidenze che ha trovato?» Laura avvampò.

«Lo so.» Monroe alzò una mano a zittirla. «Lo so, signora Niven.

Secondo lei non sono coincidenze.»

«Ispettore capo, io penso che questi fatti siano più che coincidenze», intervenne Philip. «Non nutro la minima fede nell'astrologia, nel caso se lo chiedesse. E so che anche Laura è molto scettica.»

«Sentite, signor Bainbridge, signora Niven, capisco a cosa volete arrivare. Mi rendo conto che non è necessario essere fanatici di astrologia per pensare che un omicida agisca seguendo le regole di quella cosiddetta arte. Ma non credete di attribuire troppo significato a una serie di fatti che si potrebbero spiegare in una miriade di maniere diverse?» Per strada, Philip aveva avvertito Laura che non era facile convincere Monroe di qualunque cosa. Anzi, aveva aggiunto, non era un uomo facile, punto e basta.

«Per esempio?» lo sollecitò Laura.

«L'assassino potrebbe lasciare una falsa traccia. Potrebbe spingerci a pensare che segua un piano balordo solo per fregarci. Oppure, spiegazione più semplice di tutte, come ho già detto, potrebbero essere solo coincidenze.»

«Non accetto nessuna delle due ipotesi», ribatté Laura, spazientita. «Non accetto l'idea che qualcuno possa pianificare un paio di omicidi in perfetto accordo coi dati che abbiamo individuato per poi fare qualcosa di totalmente diverso. E accetto ancor meno l'idea che i dati siano niente più che un insieme di coincidenze.» In anni di esperienza, Monroe aveva imparato a leggere gli altri e portarli a leggere in lui ciò che voleva lasciar trasparire. Non poteva fare a meno di ammirare l'americana. Aveva fegato, ma questo non gli impediva di opporre resistenza alle sue teorie.

«Conosco la fisica, signora Niven. So benissimo che i fatti astronomici, a differenza delle interpretazioni astrologiche, sono inconfutabili. Ma quanto è preciso il programma che ha usato?» Laura fu presa in contropiede per un momento.

Monroe approfittò del vantaggio. «La sua intera teoria si basa su tempi molto minuziosi, per stabilire un collegamento tra gli omicidi e l'ingresso dei pianeti in... cos'era? In Ariete, giusto?»

«Non ho motivo di credere che il sito sia meno che preciso», rispose Laura.

«E per quanto concerne le ore degli omicidi?»

«Rachel Southgate è stata uccisa tra le 19.00 e le 20.30 del 20 marzo», rispose Philip. «Jessica Fullerton il mattino dopo, tra le 2.30 e le 4.30.»

«Sì, però sappiamo che è impossibile stabilire il momento della morte con la precisione necessaria. L'astrologia sembrerebbe una scienza molto più esatta della medicina legale.» Monroe sorrise senza il minimo divertimento.

«Questa è una fesseria, e lei lo sa, ispettore capo», ribatté Laura. «Non abbiamo a che fare con semplici coincidenze. E poi, dio santissimo, sono morte due ragazze. Lei ha teorie migliori?» Capì immediatamente di aver commesso un errore. Philip le scoccò un'occhiata irritata.

Monroe era gelido. «Ovviamente, mi rendo ben conto della serietà della situazione. E abbiamo le nostre teorie. Le sono grato di avermi dedicato il suo tempo. Ora, se vuole scusarmi...»

«Come?» esclamò Laura. «Ignorerà quello che le ho appena detto, quando il prossimo omicidio è previsto attorno alle nove di stasera? Tra...» guardò l'orologio, «tra poco più di un'ora?»

«Temo che dovrò farlo, signora Niven. Le mie risorse sono limitate. Ho una squadra di venti uomini che seguono quelle che a mio giudizio sono, diciamo, linee d'indagine più ortodosse. D'altronde, cosa si aspetterebbe esattamente da me?» Un'ottima domanda. Laura e Philip ci avevano riflettuto su in automobile senza parlarne esplicitamente. Anche ammesso che le loro idee fossero esatte, e che l'ispettore capo le accettasse, a cosa potevano servire al momento quelle informazioni?

«Senta, signora Niven», la voce di Monroe era molto più cordiale del solito, «apprezzo il suo interessamento. Sono certo che sia motivata solo dalle migliori intenzioni, però...»

«Tutto a posto.» Laura afferrò la borsetta e si alzò.

«Scusi il disturbo. Segua pure le sue tracce. Spero solo che abbia ragione.»

Quando un Monroe corrucciato spalancò le porte a battente del laboratorio centrale, il capo della scientifica Mark Langham si girò verso il suo tecnico con un'espressione che diceva: Merda, è di quel certo umore.

«Ti converrà che sia una cosa importante», ringhiò Monroe.

Senza rispondere, Langham lo guidò a un tavolo in plastica bianca e vetro al centro della stanza. Il piano era illuminato da sotto. Sul vetro era disteso un foglio di plastica di una trentina di centimetri quadrati.

Sembrava una radiografia. Al centro dell'immagine c'era una forma in bianco e nero lunga circa sette centimetri, la quarta parte di un ovale con puntolini e lineette lungo i margini.

«Cos'è?» chiese Monroe.

Langham sistemò una lente proprio sopra l'immagine. «Guarda adesso.» Monroe avvicinò l'occhio alla lente e la spostò lungo il foglio di plastica.

«Un'impronta parziale di calzatura», commentò Langham, senza la minima esitazione. «I segni sui bordi... cuciture. Una scarpa costosa.» Monroe si raddrizzò. «Fatta a mano?»

«Molto probabile.»

«Altre caratteristiche particolari?»

«Da questa impronta parziale sembrerebbe una misura quarantadue, dimensioni standard.»

«Dove è stata trovata?» chiese Monroe. Di colpo, era diventato molto più rilassato.

«Vicino alla casa e al punto d'ormeggio del barchino.» Langham passò all'ispettore capo foto in bianco e nero dell'impronta solo vagamente distinguibile nel fango. Mentre Monroe le studiava, Langham girò attorno al tavolo e raggiunse un banco di lavoro. Il piano in acciaio stampato era immacolato. Sulla superficie e contro la parete si trovavano una fila di macchine, display digitali e una serie di barre di plastica. Di fronte c'erano due capsule di Petri.

«Lo abbiamo trovato all'interno dell'impronta.» Langham prese da una capsula, con le pinzette, un minuscolo frammento. «Pelle, alta qualità, nuova.»

«E quello cos'è?» Langham raccolse dall'altra capsula un pezzetto di materiale verde delle stesse dimensioni. «Plastica. Una variante del polipropilene, per l'esattezza.

Però anche questa è roba d'alta classe, un polimero costosissimo, estremamente leggero e molto robusto.»

«Ed era nell'impronta?» Langham annuì. «E in quantità microscopiche lungo un percorso che andava dalla camera da letto del primo piano della casa fino al posto di ormeggio sul retro del pianterreno.»

«Puoi ricavare altro da questa plastica? È molto speciale?» domandò Monroe.

«Purtroppo non è molto rara, e sui frammenti che abbiamo trovato non ci sono indicazioni particolari. Un pezzetto di plastica col nome del produttore inciso sopra sarebbe parecchio utile.»

«Già, e stanotte tua moglie ti implorerà di fare sesso.» Langham rise, indietreggiò di un passo verso la prima capsula di Petri.

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