Equinox (12 page)

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Authors: Michael White

Tags: #Fiction, #Thrillers, #Suspense

BOOK: Equinox
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«Potremmo avere più fortuna con questa. Non è che da Woolworths si trovino tante scarpe fatte a mano con questo tipo di pelle.» Monroe prese le pinzette e alzò alla luce il pezzetto di pelle. Gli sembrava del tutto insignificante: un frammento marrone non più lungo di un paio di millimetri.

«Controllerò il database e manderò qualcuno a fare il giro dei calzolai della città. Secondo te, le scarpe sono nuove?»

«La pelle sì, e l'impronta è notevolmente pulita. È possibile che le suole siano state rifatte da poco.» Monroe restituì le pinzette a Langham. «Non esageriamo con le speranze. E... per il momento tieni il coperchio sulla faccenda, okay?»

Si avviò alla porta.

«Bel lavoro, Mark», disse senza voltarsi.

 

16

 

L'Accolito aveva atteso pazientemente in auto per quasi sei ore, staccando di rado lo sguardo dalla casa a schiera del 268 di Princes Street.

Aveva visto inquilini e amici andare e venire. Alle 18.04 erano arrivati i due studenti che dividevano la casa col ragazzo di Samantha, Simon Welding. Ventisette minuti più tardi li avevano seguiti due ragazze, Kim Rivedon e Claudia Meacher, studentesse del terzo anno alla Brookes University di Oxford. Erano rimasti tutti nella casa per ventun minuti, e tutti e quattro erano usciti assieme alle 18.52.

L'Accolito sapeva, dalla sua sorveglianza e dalle informazioni dei suoi contatti, che il rientro dei due studenti che vivevano con Simon Welding, Dan Smith ed Evelyn Rose, e delle due ragazze non era previsto prima delle 23. Simon Welding parcheggiò la scassata Mazda, vecchia di dieci anni, davanti alla casa alle 19.32. Non sarebbe uscito vivo dal numero 268.

Alle 21 meno due minuti, l'Accolito scese dall'auto. Le sue scarpe erano coperte dalla plastica. Nella sinistra reggeva un'anonima scatola di metallo.

Dotata di una robusta serratura, era lunga trenta centimetri, per venticinque di altezza e larghezza. Era un contenitore di organi a temperatura controllata, uno dei cinque che l'Accolito aveva ordinato, fabbricati in base alle sue specifiche da uno specialista austriaco. Nella destra aveva una piccola borsa nera di plastica, con la cerniera chiusa e un lucchetto.

Guardò ai due lati della via. All'estremità più distante si trovava un rumoroso pub. Princes Street era attraversata in perpendicolare dalla frequentatissima Cowley Road, una delle grandi arterie che portavano in città da est e da Londra. Il pub e la Cowley erano nascosti da una curva della strada che rendeva la zona in cui si trovava l'Accolito più tranquilla e buia. Entrò in giardino dal cancelletto in legno, raggiunse in fretta l'ingresso laterale che portava a un sentiero lungo il lato della casa e al giardino sul retro.

Lo stretto sentiero era immerso nel buio: nubi oscuravano la luna e il bagliore dei lampioni più vicini aveva un impatto scarsissimo lì. A due terzi del percorso, l'Accolito si fermò. Era nascosto dalla strada. Depositò scatola e borsa a terra, aprì il lucchetto e la cerniera della borsa, ne estrasse un rivestimento in plastica trasparente per il vestito, guanti, una visiera in perspex e un cappuccio. Indossò il rivestimento con grande cura, fermandolo con il velcro attorno a collo, polsi, caviglie e vita, fino a essere completamente imbozzolato.

Guardò l'orologio attraverso il velo di plastica. Le 21.04.

Il giardino dietro casa era mal tenuto, in completo disordine. L'Accolito procedette cauto, in silenzio, verso la porta della cucina che si apriva sul giardino. Giunto lì, si fermò in ascolto di suoni dall'interno. Udì solo distanti zaffate di musica che dovevano venire dal piano superiore.

Attraversò la cucina, passò in corridoio, prese a salire le scale a passi lenti, metodici. I suoi sensi erano al massimo.

Era pronto a tutto.

Raggiunto il pianerottolo, guardò in ogni stanza per accertarsi di essere solo con le prede, poi si diresse alla camera da letto sul davanti della casa.

Adesso riconosceva la musica: l'allegro del Quartetto in re minore per archi di Schubert, uno dei suoi brani preferiti. Davanti alla porta si mise in ascolto dei suoni umani mischiati alla musica. Sentì respiri ansanti, qualche gemito. Socchiuse la porta e guardò nella stanza.

Samantha stava sopra, la schiena inarcata e il viso rivolto al soffitto.

Simon, con le mani sui seni piccoli e sodi, fissava l'espressione d'estasi della ragazza. L'Accolito ebbe un brivido quasi impercettibile, attraversato da una marea d'emozioni. Gelosia, disgusto, fascinazione. I due producevano un fiotto di energia sessuale che gli corse giù per la spina dorsale. S'irrigidì. Poi, sapendo di non poter aspettare un istante di più, appoggiò la scatola metallica sul pavimento, estrasse un bisturi di tasca, tolse il cappuccio di sicurezza e corse avanti di tre passi. Arrivò a capo del letto prima che Simon o Samantha si accorgessero della sua presenza.

Con un sapiente movimento, tirò all'indietro la testa di Samantha e le tagliò la gola con un solo passaggio del bisturi. Le recise la giugulare, facendo schizzare il sangue nella stanza, poi spinse la lama più in profondità, a tagliare i muscoli della laringe. L'urlo che stava per sfuggirle fu zittito all'istante. La ragazza cadde sul pavimento stringendosi la gola. Il sangue le scorreva fra le dita. Sgranò occhi immensi sull'Accolito, nell'inutile tentativo di capire.

Simon era paralizzato dallo choc. L'Accolito sfruttò il secondo o due di vantaggio. Affondò la lama nella gola del ragazzo con tanta forza da arrivare quasi a decapitarlo. Gli aprì il collo da orecchio a orecchio. Il sangue schizzò sulla visiera. L'Accolito la ripulì. Il corpo di Simon Welding fu preso dalle convulsioni. Sangue scuro gli uscì dalla bocca, gli coprì il viso di una maschera liquida.

L'Accolito lo lasciò a contorcersi sulle lenzuola inzuppate. Balzò via dal letto e si accoccolò a fianco di Samantha. Era ancora viva. Non c'era un secondo da perdere. Le mise una mano sulla fronte, un'altra sotto il collo e con un colpo deciso le spezzò la spina dorsale tra le due vertebre superiori, C-1 e C-2.

La ragazza restò inerte.

L'Accolito andò a prendere la scatola metallica, se la sistemò a fianco.

Poi ruotò Samantha sul ventre. Con due semplici movimenti le aprì il corpo, tracciando incisioni da ventitré centimetri sui lati della spina dorsale. Scostati i lembi di pelle, vide apparire la gabbia toracica. Estrasse una sega chirurgica a batteria da una tasca di plastica e in pochi secondi tagliò le ossa. Divaricate le costole, usò il bisturi per recidere con cura tutto ciò che collegava i reni al resto del corpo.

Quando aprì il contenitore d'organi, sentì il freddo sulle mani. Vide l'aria gelata colare dai lati della scatola. Udì un forte gorgoglio dal letto, poi silenzio: Simon Welding fu scosso da un ultimo brivido e morì.

L'Accolito infilò le mani inguantate nel corpo caldo di Samantha Thurow. Rimosse i reni, sistemò ognuno dei due in borse di plastica trasparente, le chiuse, le depositò delicatamente all'interno del contenitore.

Da una tasca su uno dei lati interni della scatola prese una moneta di metallo. Con meticolosa attenzione, la sistemò nello squarcio sulla destra della schiena di Samantha. Poi chiuse il coperchio del contenitore e impostò la combinazione della serratura. Estrasse un fazzolettino imbevuto di detergente da una tasca del rivestimento, ripulì le mani inguantate, tolse il sangue dall'impugnatura e dal coperchio della scatola, ripose il fazzolettino nella tasca. Coperta la lama del bisturi col cappuccio di sicurezza, lo sistemò nella stessa tasca.

Alle 21.13 in punto, nove minuti dopo essere entrato nella casa, era di nuovo sul sentiero buio che la costeggiava. Si tolse visiera, guanti, rivestimento in plastica e soprascarpe, attentissimo a non lasciar depositare sulla propria pelle o sul vestito una traccia di sangue o una particella di tessuto. Indossato un secondo paio di guanti di plastica e nuove soprascarpe, estrasse dalla tasca dei calzoni una piccola borsa. Vi sistemò rivestimento, visiera, guanti, il primo paio di soprascarpe, bisturi e fazzolettini. Quindi si tolse il secondo paio di guanti, li mise in cima al resto e chiuse la cerniera della borsa. Raccolse da terra il contenitore d'organi e si affrettò verso la parte anteriore della casa. In posizione accoccolata, controllò la strada. Una giovane coppia camminava nella sua direzione, centro metri più in giù. Abbassò la testa. I due lo superarono. La ragazza ridacchiava.

Quando la coppia raggiunse il fondo della via e sparì, l'Accolito guardò di nuovo a destra e a sinistra. Nessuno. Lasciò il giardino a buona velocità, ma senza fretta. Aperto il bagagliaio della Toyota con la chiave, rinunciando al telecomando, depositò il contenitore di organi e lo assicurò con due cinture di pelle. Depose accanto la borsa di plastica, chiuse il bagagliaio e raggiunse la portiera dell'autista. Salito a bordo, tolse le soprascarpe e le sistemò in una borsa di plastica che mise sul sedile del passeggero. Si pulì le mani con un fazzolettino e lo aggiunse al contenuto della borsa. Trenta secondi più tardi guidava verso il centro di Oxford, canticchiando una sonata per pianoforte di Beethoven.

Era molto soddisfatto del lavoro di quella sera.

 

17

 

Oxford, sera dell'11 agosto 1690

 

Erano le sei quando la carrozza scese Headington Hill, un paio di chilometri oltre le mura della città. Il clima era ancora insopportabilmente caldo. Al Bear Inn, un servitore trasportò la cassa di Newton su per la scala a chiocciola e gli chiese se volesse la cena servita in camera. Dopo che fu uscito, Newton poté riposare, godersi l'isolamento e riflettere sulle ultime ventiquattro ore.

Era scappato via da Cambridge sulle ali di un vento furioso, sfiancando il suo povero animale. Però, con due cambi di cavalcatura, prima a Standon Puckeridge e poi ancora a Great Hadham, aveva completato il viaggio in poco più di quattro ore, raggiungendo la capitale a mezzanotte appena passata. Come sempre, aveva viaggiato sotto il nome di William Petty. Lo aveva utilizzato anche per trascorrere le ore successive alla Swan Tavern di Gray's Inn Lane, nella City londinese.

Per tutto il viaggio, e nelle ore di tranquillità a Londra, aveva contemplato il compito che lo attendeva e ricordato, a varie riprese, l'orrore che si era lasciato alle spalle a Cambridge. Ancora non capiva bene da cosa fosse stato posseduto Wickins. Forse era un potere emanato dalla sfera ad avere quell'effetto su alcune persone. Di certo, Newton sapeva che il bizzarro incidente in laboratorio aveva innalzato il livello già alto del suo senso di pericolo. Si era reso conto che dietro ogni angolo potevano esserci nemici in agguato. Non poteva fidarsi di nessuno. Così, per confondere ogni eventuale rivale, chiunque pensasse di potergli rubare la preziosissima sfera, aveva fatto tutto il possibile per toglierseli di dosso.

Raggiunta la capitale, sarebbe ripartito in carrozza, per arrivare a Oxford come tanti altri viaggiatori. Il graffio alla guancia lasciato da Wickins bruciava ancora e poteva fare ben poco per nasconderlo. Protetto da un nome fittizio, avrebbe cercato con tutte le sue forze di non svelarsi a nessuno. Svegliato da un servo da un torpore inquieto alle quattro del mattino, aveva ripreso il viaggio per Oxford. Era arrivato in città circa tredici ore dopo.

Al Bear Inn si sentì improvvisamente esausto, con un grande bisogno di sonno, ma l'eccitazione lo tenne sveglio e attivo. Mandò giù un po' di zuppa e lesse alla luce della sera, scrutando con distacco un topo che correva sul legno del pavimento. Come previsto, alle dieci in punto sentì il suo amico percorrere il corridoio esterno e bussare piano alla porta. Andò ad aprire e gli apparve Nicolas Fatio du Duillier. Sotto la cascata di riccioli neri, sembrava ancora più giovane e più bello di quanto fosse nel ricordo di Newton; ed erano rimasti divisi per tre sole settimane. Newton gli fece cenno d'entrare. Du Duillier si fece avanti con un ampio sorriso. Si abbracciarono.

«Il vostro viso», notò Fatio, preoccupato.

«Non è niente», ribatté impaziente Newton, e gli girò le spalle.

«Mi sembrate teso, amico mio. È successo qualcosa?»

«Un piccolo incidente a Cambridge. Nulla di cui ti debba preoccupare, mio buon Fatio. Allora, hai compiuto i preparativi?»

«Ho fatto del mio meglio, signore, ma quello che chiedete non è cosa agevole. Le normali procedure danno scarsi risultati. Ritengo comunque di aver fatto tutto quanto era nelle umane capacità. Landsdown e io siamo qui da due settimane, abbiamo raccolto ciò che ci è stato richiesto. Controllo gli scrigni ogni giorno e, anche se non possiamo sprecare un solo secondo, confido che tutto andrà bene.» Newton studiò il graziosissimo volto di du Duillier. «Mi dai buone notizie.»

«Il tesoro è al sicuro?»

«Sì. Ora rivediamo un'altra volta la procedura.»

Trenta minuti più tardi lasciarono assieme la taverna.

Il college era poco distante. Lo raggiunsero camminando in silenzio.

Vennero accolti da un terzo uomo, che entrambi chiamavano signor Landsdown. Era ancora più alto di Fatio du Duillier, ma più muscoloso che snello. I suoi capelli cominciavano a ingrigirsi alle tempie. I tre si scambiarono un inchino. «È bello vedervi», lo salutò Landsdown. «Avete tutto?» Newton batté la mano sulla camicia, appena sotto la spalla sinistra.

«Tutto in perfetto ordine.»

«Allora dobbiamo procedere. Seguitemi.» Landsdown fece strada nella corte. Superarono una porta, si trovarono in un corridoio lungo e stretto con molte porte a destra e sinistra. Si fermarono alla quarta porta a sinistra. Landsdown estrasse una chiave dai calzoni e la girò nella serratura. Afferrò la maniglia, la ruotò dolcemente e spinse.

Direttamente di fronte a loro c'era un'altra porta, aperta. Dietro si vedeva una scala in pietra, stretta e ripida, che scendeva nel buio. In cima alla scala, una torcia era sistemata alla parete. Landsdown la staccò dal muro e procedette.

Scesero una breve rampa. Emersero in una stanza che conteneva rastrelliere e scaffali carichi di centinaia di bottiglie di vino, porto e brandy: la cantina dei vini del college. Landsdown li guidò all'estremità opposta del locale a volta e si fermò davanti al muro. Era freddo e umido.

Fece correre la palma della mano sulla parete. Teneva la torcia accostata alla pietra, ma sembrava guidato più dal tatto che dalla vista. Dopo un attimo, la sua mano si fermò. L'indice si strinse attorno a un piccolo anello di metallo scuro, della circonferenza di una monetina. Tirò con decisione.

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