«Ho deciso di metterlo da parte. Scriverò qualcosa con ambientazione contemporanea. Un giallo.»
«Ah, sì?»
«Penso di ambientarlo qui a Oxford, o magari a Cambridge. Non ho ancora deciso.»
«Buon dio, Laura, non vorrai scegliere quel postaccio! Per amor del cielo, una fogna!»
Lei sorrise.
«Voglio collegare gli omicidi a qualcosa di ritualistico. L'assassino lascia un oggetto significativo sulla scena di ogni delitto. All'inizio pensavo magari a un coltello cerimoniale, ma ieri sera ho cominciato a considerare la possibilità di usare delle monete. La polizia le trova accanto ai corpi delle vittime.»
«Monete?»
«Sì, monete antiche. Il problema è che io non ne so assolutamente nulla.» Lightman si protese ad afferrare uno strano aggeggio a forma di V dal tavolino a fianco del divano. Era una molla molto tesa con due impugnature. Laura lo guardò perplessa.
«Artrite», spiegò Lightman.
«Il dottore mi ha detto che devo premere questo accidente per cinque minuti, ogni ora, se no il mio polso si bloccherà del tutto.»
Sgranò gli occhi al cielo.
«Non ne sono molto convinto.»
Dopo un paio di pressioni si fermò e guardò Laura.
«Come posso aiutarti? La numismatica non è il mio campo.»
«Oh, ecco... Pensavo che ci potrebbero essere cose interessantissime, qui alla Bodleiana. Il problema è che non sono più socia. Hmmm... Ai turisti americani è permesso avere una tessera?»
Lightman rise. «Solo a quelli molto speciali. Immagino che tu abbia fretta. Come al solito.»
Laura piegò la testa di lato. «Mi viene spontaneo, purtroppo.»
«Abbiamo un'eccellente sezione numismatica. Posso accompagnarti di sotto e farti cominciare il lavoro. Credo che per oggi potremo lasciar perdere i moduli da compilare.»
Alzandosi, Lightman notò per la prima volta quel che lei portava al collo.
«Dio santissimo, Laura. E il ciondolo che ti ho regalato... quanto tempo fa?» Era un opale appeso a una graziosa catenina d'argento. Laura lo aveva scelto quel mattino senza rendersi conto che le era stato donato da Lightman.
«Quando studiavo qui», rispose. «Dev'essere stato nel 1983. Tanto tempo fa. Comunque, lo porto quasi tutti i giorni.»
«Ti ho mai detto che rappresenta il segno zodiacale di mia figlia?»
«No.»
«Oh, be'. Andiamo.»
A pianterreno, nell'atrio principale della biblioteca, Laura seguì Lightman sui tracciati in parquet che s'intersecavano nel locale, tra file di grandi librerie in quercia. Attraversarono il salone e, giunti in fondo, superarono una porta molto alta. Svoltarono a sinistra, percorsero un corridoio, girarono a destra passando sotto un arco ed entrarono in un'altra stanza, una versione in piccolo dell'atrio. A metà di quel locale, Lightman prese di nuovo a destra e si fermò vicino a una libreria a parete.
Direttamente di fronte a loro c'era un grande tavolo con un computer sul ripiano. Erano soli in quella parte della biblioteca.
«La sezione numismatica è questa», indicò Lightman passando lo sguardo sugli scaffali. «Credo troverai tutto quello che ti interessa, Laura.
Se ti occorre qualcosa, dietro l'angolo c'è la signora Sitwell.» Accennò all'estremità opposta della stanza. «Conosce questa sezione come il palmo della sua mano. Ma se vuoi altre informazioni da me, non esitare. Adesso devo sistemare qualche assurdità burocratica di sopra.» Si chinò a darle un bacio sulla guancia. «Vieni a salutarmi prima di andartene.» Laura sedette e guardò l'ampia distesa di libri. Provò un improvviso senso di colpa per aver raccontato una bugia al vecchio direttore. Però, si disse, non poteva fare molto altro.
Non aveva un'idea esatta di cosa cercare, così scelse un volume intitolato Monete antiche, pubblicato dalla Oxford University Press. Poi tirò fuori la stampa della foto di Philip e il taccuino col suo schizzo dell'altra faccia della moneta.
Poco dopo aveva scoperto che, per quanto la prima monetazione fosse nota come un fenomeno greco, in realtà le monete più antiche conosciute venivano da una regione dell'Asia Minore, la Licia. Erano state trovate sotto un tempio del sesto secolo avanti Cristo consacrato ad Artemide. Le monete lasciate sul luogo degli omicidi sembravano di origine egizia, ma il volume non parlava di antiche monete in quella parte del mondo. Prese un altro libro, Monete dell'antichità, di Luther Neumann.
Proprio all'inizio, un paio di paragrafi speculavano su monete e altre forme di denaro risalenti al periodo che seguì l'assorbimento dell'Egitto nell'Impero Romano. Non sembrava un tema molto importante. L'autore riferiva in modo succinto che alcune delle prime monete egiziane potevano essere state disegnate da alchimisti e occultisti, ossessionati dall'oro e da altri metalli preziosi. Quegli uomini erano stati maghi di corte per alcuni faraoni.
Stava per riporre il volume quando fu colpita da un pensiero strano.
Qualcosa che le aveva detto Lightman.
«L'opale rappresenta la pietra zodiacale di mia figlia.»
Ripeté le parole ad alta voce e riaprì il libro.
Tornò alla pagina che aveva appena letto e il termine «alchimista» le balzò agli occhi.
Eccitata, aprì il suo taccuino, arrivò a una pagina bianca e scrisse: alchimista, mago, antico Egitto, pietre zodiacali, oro e argento, seguiti da quattro grossi punti interrogativi.
Rimessi sugli scaffali Monete dell'antichità e Monete antiche, consultò il catalogo librario del computer, in cerca di qualunque testo trattasse della primissima monetazione. Trovò un solo titolo, un libro dell'età vittoriana intitolato Numismatica perduta, del professor Samuel Cohen. Poi eseguì un'altra ricerca battendo «alchimisti egiziani». Oltre a una manciata di titoli moderni, sensazionalistici, che le parvero inaffidabili, di nuovo le venne proposto un solo libro di serio studio scientifico, un altro tomo vittoriano del tutto dimenticato, Le arti nere dei faraoni, scritto da un certo Erasmus Fairbrook Dale.
Cominciava a divertirsi. Le tornavano alla mente i giorni al college: cari ricordi di pomeriggi trascorsi in stanze come quella, a seguire indicazioni che la portavano da un concetto all'altro, percorsi serpeggianti all'interno di labirinti intellettuali. Forse, pensò mentre apriva Numismatica perduta e ne sfogliava le grandi pagine con cura esagerata, era stato proprio quello a spingerla a lavorare nel giornalismo di nera, il brivido di fiutare gli indizi per la soluzione di un mistero. Se era vero, lo stesso impulso l'aveva inesorabilmente portata a diventare una scrittrice di thriller.
Poi lo vide, al centro della pagina nove: il disegno di due dischi, le facce di una sola moneta. Sul primo disco erano raffigurate cinque donne in lunghe, fluenti tuniche che alzavano verso il cielo una grande coppa.
Accanto, l'altra faccia della moneta rappresentava la testa di un giovane faraone. Il viso era leggermente diverso da quello della fotografia di Philip, ma tutto il resto della moneta era identico.
Con crescente eccitazione, lesse il testo sotto le due immagini:
Note come monete Arkhanon (circa 400 a.C., regione di Napata), sono state forgiate a mano dai maghi di corte di re Alara. Ognuna contiene immagini che riflettono l'interesse degli antichi egiziani per l'unità di tutte le cose, l'unione olistica di elementi complementari. L'esemplare è una moneta d'oro e reca l'immagine di un quintetto di donne che reggono tra le mani una rappresentazione del sole. Due altre monete Arkhanon molto simili sono state rinvenute nello stesso sito: una moneta d'argento con l'immagine di cinque donne che reggono una coppa contenente un'immagine della luna, e una in ferro con un'altra sfera (che secondo alcuni autorevoli studiosi sarebbe il pianeta Marte) retta sempre da un quintetto di figure femminili in tunica.
«Cristo», esclamò Laura. «Be', sono in gamba.» Passò al secondo volume vittoriano, Le arti nere dei faraoni. Lo sfogliò leggendone parti a casaccio, finché non giunse a un capitolo intitolato «La nascita dell'olismo».
Tre ore più tardi emerse nella chiara luce del pomeriggio che filtrava tra nubi nere, basse. La strada davanti alla biblioteca era lucida per la pioggia recente e un vago arcobaleno brillava sopra la Radcliffe Camera, ma Laura quasi non vedeva ciò che aveva attorno.
Era persa in un antico mondo di magia e occultismo, eccitata al pensiero di essersi appena imbattuta in un indizio cruciale.
L'Accolito era orgoglioso del lavoro che aveva svolto. La realizzazione di un sogno coltivato da tanto tempo. Lavorava per uno dei più geniali uomini viventi, faceva qualcosa d'importante, un lavoro che aveva un significato, uno scopo.
Ed era parte del grande piano, la Grande Opera come veniva chiamata un tempo, centinaia di anni prima della sua nascita.
Si era preparato da molti anni per riuscire a completare l'incarico del quale era responsabile.
L'addestramento era stato duro.
Aveva studiato nelle migliori facoltà di medicina, fatto pratica nelle sale operatorie di tre ospedali di fama internazionale, si era addentrato in molte discipline, aveva acquisito capacità multiformi, perfezionando di continuo un notevole talento naturale. Aveva studiato criogenica, psicologia e matematica; si era dedicato a studi occulti che comprendevano numerologia, astrologia e alchimia.
Entrò con l'anonima Toyota nera in uno spazio libero del parcheggio per visitatori del Somerville College di Oxford e scese sulla ghiaia. Le suole delle scarpe sportive nere, fatte a mano, schiacciarono rumorosamente le pietruzze. Tolse immaginarie particelle di polvere dall'impeccabile completo Cerruti, lisciò alcune ciocche di capelli sopra le orecchie e raddrizzò la cravatta Hermes di seta, già perfettamente diritta. Studiò la propria immagine riflessa nel finestrino posteriore dell'automobile più vicina, poi si avviò verso la corte centrale del college.
Guardò il suo Patek Philippe. Quasi le tre del pomeriggio.
Samantha Thurow, studentessa al terzo anno di storia e scienze politiche, sarebbe apparsa sulla scala sette da un momento all'altro.
Dal secondo in cui si fosse materializzata lì, fino alle 21.08, l'Accolito avrebbe minuziosamente seguito ogni suo movimento. In senso ampio sapeva già quali sarebbero stati quei movimenti: aveva installato una cimice nel telefono della stanza di Samantha, in un alloggio per studenti di Summertown, a nord del centro città.
Mentre ricordava quei fatti e cominciava a provare un primo brivido di dolce anticipazione, vide Samantha emergere dal buio dell'accesso alla scala sette. Parlava con un'altra studentessa, un'asiatica di bassa statura.
Samantha era una bruna alta, straordinariamente carina, con sensuali occhi a mandorla e labbra piene, colorate dal rossetto. I capelli erano acconciati con cura per dare un'impressione di disordine. Indossava una corta gonna scozzese sopra una calzamaglia nera, un paio di Doc Martens nere, un aderente maglione rosso e un cardigan nero. Reggeva una bracciata di libri e aveva a tracolla della spalla sinistra una borsetta di pelle.
L'Accolito osservò con riprovazione le scelte d'abbigliamento di Samantha. Percorse a passi lenti la corte, scrutando le due ragazze mentre superavano la portineria e arrivavano in strada.
Aveva memorizzato quasi tutti i dettagli del file su Samantha Thurow che aveva creato.
Nata il 19 maggio 1986 a Godalming, Surrey. Il padre era fornitore di materiali per l'esercito; la madre, insegnante; due fratelli maggiori e una sorella minore. Terzo anno al Somerville, con borsa di studio. Una ragazza ambiziosa, che mirava alto. Profilo medico: salute perfetta, solite malattie infantili, un braccio rotto all'età di nove anni, reni in condizioni ottimali. Vita sentimentale: attuale boyfriend Simon Welding, insegnante tirocinante di ventiquattro anni. Welding viveva in una casa in affitto a East Oxford con altri due studenti; Samantha si fermava lì almeno due volte a settimana nei trimestri di studio.
Samantha tolse la catena alla bicicletta, la scostò dal muro, salutò l'amica e svoltò a destra. Attraversò la St Giles in direzione del centro.
L'Accolito sapeva dove lei stava andando e non sentì il bisogno di correre tornando all'automobile. Raggiunta la Toyota, calzò i guanti, prese un fazzolettino imbevuto dal pacchetto che portava sempre con sé e pulì il sedile dell'autista prima di accomodarsi.
Pulì cruscotto e volante, mise il fazzolettino nella borsa di plastica sul sedile del passeggero.
Poi lisciò calzoni e giacca, si posizionò in modo da spiegazzare il vestito il minimo possibile.
Girò la chiave d'accensione e partì.
Superò Samantha sulla St Giles; pedalava in mezzo a un gruppo di ciclisti. Procedendo a velocità moderata sulla via che girava attorno al centro, poi in Cowley Road, l'Accolito raggiunse Princes Street e parcheggiò davanti al numero 268.
Due minuti più tardi Samantha apparve in fondo alla via, dal lato di Cowley Road, pedalò nella viuzza delimitata da case a schiera e si fermò davanti a quella che l'Accolito stava sorvegliando.
Portò la bicicletta sul marciapiede, la depositò contro la parete della casa, mise la catena, poi aprì la porta con la propria chiave.
Stando al programma, il suo boyfriend Simon Welding non si sarebbe fatto vivo prima di quattro ore almeno.
Samantha aveva intenzione di studiare tutto il pomeriggio.
I due sarebbero rimasti soli per la maggior parte della serata.
Gli altri inquilini del numero 268 erano attesi a un party in una strada vicina.
Poco prima delle 21 l'Accolito sarebbe entrato nella casa con il suo equipaggiamento e ne sarebbe uscito entro le 21.15.
Un quarto d'ora più tardi, sarebbe stato col Maestro, entrambi più vicini di un passo al completamento della Grande Opera.
«Allora hai proprio intenzione di andare avanti?» chiese Jo, incredula.
«Non prendermi tanto alla leggera. Non sono una novizia del crimine, giusto? Ricordi come mi guadagnavo da vivere prima di diventare un'illustre scrittrice?» ribatté Laura.
Jo quel pomeriggio si era alzata per la prima volta dopo l'incidente. Era coricata sul divano di Philip, avvolta in una coperta, con una scodella di brodo in mano. Indossava un pigiama a chiazze troppo grande per lei di tre misure almeno. Il pendolo del nonno nell'ingresso aveva appena battuto le sei. Laura e Philip avevano finito di spiegare tutto ciò che era accaduto nei due giorni precedenti, fino alla visita di Laura a James Lightman, poche ore prima.