Equinox (13 page)

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Authors: Michael White

Tags: #Fiction, #Thrillers, #Suspense

BOOK: Equinox
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Tutti udirono il suono come di un peso che cadesse. Molto lentamente, nella parete si aprì un pannello e apparve un'apertura non più grande delle spalle di un uomo.

Landsdown si girò verso i compagni.

«Signori, il lavoro di questa sera sta per iniziare. Siete pronti a procedere?»

18

 

Alle cinque del mattino, la casa di Philip possedeva un fascino particolare che mancava dalla vita di Laura da almeno due decenni. Al Greenwich Village, le cinque del mattino non erano molto diverse da qualunque altra ora. Dal suo appartamento sentiva i rumori del traffico, comprese sirene e clacson strepitanti, per tutto il giorno e la notte. Un sottofondo sonoro di cui si accorgeva solo quando non c'era. Lì, in quel sonnolento paese dell'Oxfordshire, prima dell'alba le automobili di New York erano reali quanto Pinocchio.

Con un mantello di lana attorno alle spalle, cercò di riscaldarsi davanti alla stufa mentre il bricco bolliva. Poi, con una tazza di caffè forte in mano, si trasferì in salotto, sotto un soffitto a travi, tra finestre ad arco. Le assi del pavimento scricchiolarono. Per non disturbare Philip e Jo che dormivano di sopra, chiuse la porta. Accese un paio di lampade e si spostò al caminetto. Emanava ancora calore residuo dalla sera prima, quando Tom era stato lì, aiutandola a ricavare tanti dati sugli omicidi: quelli già commessi e quelli che era certa stessero per essere commessi. In effetti, se le sue ipotesi erano corrette, in quello stesso momento, non lontano da lì, un'altra ragazza doveva già essere morta, anche se probabilmente il cadavere non era ancora stato scoperto.

Sorseggiando il caffè, passeggiò nella stanza, osservò senza troppa concentrazione i dipinti appesi alle pareti. C'erano tre quadri della madre di Philip: fantastici e audaci grumi di colore con minuscole figure in primo piano, figure che sembravano sul punto di essere travolte da qualcosa di orribile, di innominabile. Quei quadri non sarebbero stati fuori posto in un appartamento di Manhattan o in uno studio di Milano. Forse c'erano davvero.

In fatto di arte, Philip aveva gusti eclettici. Accanto ai dipinti moderni della madre aveva appeso quadri a olio vittoriani e persino un paio di paesaggi dei primi anni Quaranta. Sulla stessa parete si trovavano anche alcune delle sue fotografie preferite, composizioni astratte del 1985 e dintorni. E, a completare il tutto, aveva messo ritratti di famiglia dall'aria antica, figure del diciannovesimo secolo, bisnonni in berretti scozzesi e grandi baveri.

La sera prima, incidentalmente, Tom aveva detto qualcosa cui Laura non aveva prestato troppa attenzione, ma in quel momento le tornò alla mente di prepotenza. Si sedette, fissò la cenere grigia e le braci nel camino. E ricordò. Parlando della congiunzione astrale a cinque corpi, Tom aveva detto: «La cosa è talmente rara da essere accaduta forse solo dieci volte negli ultimi mille anni o giù di lì».

«Ma certo», esclamò lei ad alta voce. «Ma certo. Dieci volte negli ultimi mille anni o giù di lì. Il che significa che deve essere successo qualche volta nel passato non troppo distante.» Balzò su, andò al computer. Dalla cronologia di Netscape, rintracciò la home page di almanac.com. Tom le aveva lasciato la sua password, nel caso le servisse. Richiamò alla mente quel che aveva fatto lui la sera prima, batté le informazioni sulla tastiera e premette INVIO. Sorseggiando il caffè, restò a guardare lo schermo finché non apparve una nuova pagina. Sul fondo c'era un box con la dicitura Congiunzioni di cinque corpi dal 1500 al 2000.

Elencava tre date: 1564, 1690, 1851.

Sorrise tra sé, tamburellò con le dita sulla scrivania. Poi, tornata alla tastiera, uscì dal sito, andò su Google e digitò: «1851 + Oxford + omicidi».

I risultati furono deludenti. Col suo inimitabile stile, il motore di ricerca aveva trovato un misto di riferimenti spuri ai tre termini. In cima alla lista, materiale sulla Grande Esposizione di Londra del 1851. Più sotto, riferimenti all'omicidio in quell'anno di un poliziotto a Londra. Altre pagine proponevano la definizione di «omicidio» dell'Oxford Dictionary, libri pubblicati nel 1851 con la parola «omicidio» nel titolo, e l'indirizzo per accedere al sito di un duo pop americano che si chiamava Murder in Oxford.

Google aveva ricavato più di duemila link alle tre parole, e Laura era decisa a non arrendersi. Le due pagine successive erano piene di altri dati superflui: ulteriori link all'Oxford Dictionary e parecchio altro sulla Grande Esposizione. Prima di tentare qualche nuova combinazione di parole, fece scorrere i link numerati dal 60 all'80 e qualcosa colpì la sua attenzione. A metà circa dello schermo, un link diceva: «Uno psicopatico vittoriano? Fratello Norman pensa di sì». Spostò il cursore sul link e cliccò.

Si trovò in un appariscente sito amatoriale. A prima vista, molto di ciò che conteneva era di natura discutibile. Si chiamava Cospirazione.

L'archivio di Fratello Norman. Il gestore (Norman, presumeva Laura) sembrava ossessionato dai soliti temi: Roswell, l'assassinio di Kennedy, la morte della principessa Diana a Parigi, il complotto della CIA per incolpare dell'11 settembre un innocente Bin Laden. Tutte cose già viste.

Ignorò anche i titoli lampeggianti sul margine sinistro che promettevano: «Nuove rivelazioni che sconvolgeranno il vostro mondo». Facendo scorrere le videate, incontrò un titolo promettente: La carneficina di Oxford: un Charles Manson vittoriano?

Purtroppo, consisteva in tre soli paragrafi. Con una prosa mozzafiato, Fratello Norman descriveva gli scarsi fatti noti ai teorici della cospirazione. Tre omicidi a Oxford, Inghilterra, nell'estate del 1851. Tre donne uccise e mutilate. Poteva trattarsi di un giovane Jack lo Squartatore, quasi tre decenni prima che rispuntasse nell'est londinese? Era una cospirazione portata avanti dal parlamento britannico? O c'erano dietro sfumature sataniste?

Laura si sfregò gli occhi e bevve quel che restava del caffè. Se ci fosse stata una serie di omicidi a Oxford nel 1851 non ne sarebbe stata informata? Fissò lo schermo lasciando vagare i pensieri.

Forse gli omicidi erano stati dimenticati. Quanto erano rigorose le indagini della polizia all'epoca? Ci sarebbero state notizie precise dei crimini? Esisteva un quotidiano locale a Oxford, più di un secolo e mezzo addietro?

Tante domande, pochissime risposte. Peggio, ogni volta che le sembrava di aver individuato un pezzetto del mistero, altre tessere del mosaico le cadevano in grembo. Possedeva solo frammenti, dati bizzarri che non collimavano. Anzi, erano tasselli che parevano venire da puzzle del tutto diversi, e lei non faceva altro che portare alla luce nuovi elementi impossibili da collegare tra loro. Avrebbe potuto scavare più a fondo nei siti dedicati, ma non ne aveva molta voglia.

Però era convinta che un omicida contemporaneo stesse agendo in base a un singolare calendario astronomico e, se si doveva credere a Fratello Norman, qualcosa di non troppo diverso era accaduto all'epoca dell'ultima congiunzione, forse anche la volta prima e quella prima ancora. E gli elementi in comune erano l'astrologia, l'occulto, un qualche folle collegamento con l'alchimia. Gli anni d'esperienza con i crimini e la corruzione di New York non le erano d'aiuto. Ma, mentre fissava lo schermo azzurro e le parole di Fratello Norman si perdevano nel nulla, Laura seppe esattamente qual era la mossa successiva da fare.

Due ore più tardi, sul treno per Londra, scrutava da un finestrino lurido i campi coperti di rugiada che correvano via. Non aveva svegliato Philip; gli aveva la sciato un messaggio, dicendogli semplicemente che quel giorno sarebbe stata a Londra per seguire una pista, e che se ci fossero state novità lui doveva chiamarla subito sul cellulare.

L'idea di far visita a Charlie Tucker adesso le sembrava ovvia. Era stato uno dei suoi migliori amici ai tempi dell'università e si erano tenuti in contatto per un po' dopo il college. Era una delle persone più eccitanti e dinamiche che lei avesse mai conosciuto. Veniva da una modesta famiglia dell'Essex che gli aveva fornito un retroterra piuttosto variegato. Suo padre aveva una bancarella in un mercato della frutta a Southend e la madre, ex spogliarellista, era morta di cancro a trentanove anni. Charlie era entrato a Oxford con i voti più alti dell'intero paese per quell'anno, però odiava quasi tutto della città e dell'università. Attivista socialista, per lo meno in tre occasioni era sfuggito di stretta misura all'espulsione, e prima di compiere ventun anni era stato soggetto a indagini dell'M16 per il coinvolgimento in un gruppo di estrema sinistra. Al terzo anno, si era dedicato a così tante azioni di sabotaggio contro la caccia, dimostrazioni e attività anarchiche da perdere quasi uno degli esami finali essenziali. La cosa più sorprendente era che si fosse laureato in matematica col massimo dei voti.

Laura non aveva mai mostrato il minimo interesse per la politica, e probabilmente proprio quello era alla base del loro stretto rapporto.

Essendo americana, non dava particolare importanza agli attuali indirizzi del governo britannico, anche se la politica dei secoli precedenti la affascinava e aveva impregnato il suo studio dell'arte rinascimentale.

Charlie le piaceva per l'energia, lo spirito e l'acuta intelligenza. Pensava di piacere a lui perché non sindacava i suoi punti di vista: era un foglio bianco sul quale Charlie poteva scrivere tutti gli slogan politici che voleva.

Quando Laura stava per lasciare Oxford, Charlie aveva cominciato a studiare teoria dei gruppi di cifratura, un argomento, diceva nelle lettere a lei, lontano per quanto possibile dai lati più banali dell'esistenza umana.

Ne era parso soddisfatto fino al giorno in cui, senza motivi apparenti, aveva lasciato l'università ed era scomparso. Nell'ultima lettera che le aveva mandato da Oxford diceva semplicemente che stava per andarsene, senza spiegazioni.

Le cose erano rimaste così; poi, un anno prima, era arrivata una cartolina all'appartamento di Laura al Greenwich Village. Era di Charlie e recava il timbro postale di Londra. Era in procinto di recarsi negli Stati Uniti, scriveva: a Laura avrebbe fatto piacere incontrarlo a New York?

Ovviamente aveva detto che la città gli faceva schifo, per quanto Laura gli leggesse negli occhi un'ammirazione totale per l'innegabile fascino dei luoghi.

Erano andati in un bistrò della 34a West.

Lei lo aveva ascoltato farsi beffe della vanità di Manhattan, però Charlie non era riuscito a nasconderle del tutto il profondo convincimento che quella città fosse incredibile.

Aveva superato la quarantina qualche anno prima ed era, ormai poteva ammetterlo, stanco: stanco del radicalismo, stanco degli scarsi risultati di tanti sforzi, stanco della vita. Si era arreso, le aveva confessato.

Una decina di anni prima aveva iniziato a scrivere un libro sulla cerchia dei matematici del quattordicesimo secolo divenuti noti come i calculatores di Oxford: Guglielmo Heytesbury, Richard Swineshead, John Dumbleton e soprattutto Thomas Bradwardine. Però non lo aveva mai completato. Le sue ricerche gli avevano invece dischiuso una linea d'indagine che lo aveva condotto fino al filosofo eretico Ruggero Bacone, e da lì all'intero mondo dell'occultismo medievale.

Come risultato, da qualche anno aveva barattato l'interesse per la politica con una fascinazione per gli stili di vita alternativi. Si era addentrato nel misticismo, nell'occulto, e in quello che definiva «il ricco ventre molle dell'intelletto». Aveva persino aperto un negozietto, vicino al British Museum, a Bloomsbury, il White Stag, specializzato in letteratura arcana e alternativa. Gli dava all'incirca da vivere e gli offriva tempo e risorse per dedicarsi alle proprie ricerche.

Laura era rimasta sorpresa da quelle svolte nella vita di Charlie. Lei non aveva mai nutrito il minimo interesse per l'occulto. Ma dopo un po', sentendolo parlare, le era parso sensato che Charlie venisse assorbito da quelle idee. E, indirettamente, era stata la sua visita a darle lo spunto per un thriller su Thomas Bradwardine e un complotto per uccidere re Edoardo II. Ora, diretta a Londra nella speranza di trovare Charlie nel suo negozio, provò una fitta di rimorso: era in Inghilterra da tre settimane e non lo aveva mai contattato. Non lo aveva nemmeno avvertito che stava andando a trovarlo.

Arrivata alla stazione di Paddington pochi minuti dopo le otto e mezzo, prese la metropolitana per Warren Street. Riemersa nel pesante traffico del mattino, si rese conto che era troppo presto per Charlie, si fermò a bere un caffè e mangiare un croissant, quindi si avviò lungo Tottenham Court Road. Entrò in un Internet Point a controllare la posta elettronica, comperò un giornale, sorseggiò una seconda tazza di caffè e poi ripartì. Superò Centre Point, percorse New Oxford Street fino alla via laterale al British Museum in cui si trovava il White Stag. Camminando, chiamò il cellulare di Philip: le rispose la segreteria telefonica.

Svoltando in una stradina non più ampia di quattro metri, col British Museum a due passi, vide la facciata del piccolo negozio, la vetrina stracolma di libri. Sopra la porta c'era un'insegna dipinta a mano, di gusto classico, che rappresentava un magnifico cervo bianco.

Da fuori, il negozio appariva buio, muto e deserto, ma la porta si aprì al suo tocco. Fiutò odore di carta vecchia e residui di fumo di sigaretta.

Un'unica lampadina pendeva dal soffitto solcato da crepe; le assi del pavimento erano graffiate e segnate. Ogni centimetro di spazio delle pareti era occupato da scaffali che reggevano libri di forme, colori e dimensioni diversissime. Un locale un po' squallido ma stranamente accogliente.

Sul fondo c'era una vecchia scrivania. Aveva gambe in frassino intagliato, molto brutte; il piano era disseminato di carte. In un angolo stava un computer dall'aria antica, nell'altro un posacenere stracolmo di mozziconi. Anche il cestino traboccava di carte appallottolate e altra robaccia. Dietro la scrivania, la porta che conduceva a una dispensa sul retro era aperta. Ne usciva una luce arancio cupo; si sentiva fischiare un bricco. Qualche istante dopo, un uomo spuntò dalla soglia e raggiunse la scrivania. Sembrava non essersi accorto di lei. Gli pendeva una sigaretta dalle labbra e teneva in mano una grossa tazza, non proprio pulita. Laura tossì.

«Mio dio!» esclamò Charlie. Depose la tazza sul tavolo con tanta fretta che il tè al latte si rovesciò su un mucchio di carte. Spense la sigaretta nel posacenere e fece il giro, a braccia tese. «Laura, piccola», disse, stringendola a sé.

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