«Bridges?»
«Malcolm Bridges. Diventerà un eccellente psicologo, il ragazzo.»
«E lavora qui?»
«Sì, però trascorre tutto il suo tempo libero alla Bodleiana con il professor Lightman, il direttore della biblioteca. È un giovanotto molto coscienzioso. A dire il vero, non capisco proprio cosa c'entri con questa faccenda.»
«Al momento è qui?»
«Dovrebbe. Mi faccia pensare. È venerdì.» Rankin guardò l'orologio.
«Provo a chiamarlo.» Alzò il telefono e batté tre numeri sulla tastiera. «No, non è ancora arrivato, temo.»
«Non c'è problema.» Monroe si alzò. «Ci metteremo noi in contatto con lui. Le sarei grato, invece, se potessimo portare con noi questa cartella, dottor Rankin. Custodiremo i documenti con molta cura, ne faremo una copia.»
«Sì, sì, certo. C'è qualcosa che...»
«In effetti c'è un'altra cosa, dottor Rankin. Lei ha qualche rapporto con un giovane studente che si chiama Russell Cunningham?» Rankin parve perplesso.
«L'ho visto poco fa. Usciva dal parcheggio su un'auto sportiva molto appariscente.»
«Cunningham? Ah, sì, sì. Non posso dire di conoscerlo. È al primo anno.L'ho visto in automobile, è ovvio. Chi non lo ha visto?» Rankin rise.
«È probabile che lei abbia sentito parlare del padre», suggerì Rogers.
«Effettivamente, sì... L'uomo della biblioteca, il famoso filantropo.Adesso che ci penso, credo che Bridges sia il supervisore di Russell. Ma questo cosa c'entra con tutto il resto?»
Monroe ignorò la domanda, porse la mano. «La ringrazio moltissimo del tempo che ci ha dedicato, dottor Rankin. E di questi documenti.» Batté le dita sulla cartella che stringeva al petto.
Monroe e Rogers emersero in un inatteso chiarore solare. Oltre il parcheggio vedevano pali da rugby e una squadra di giocatori in tute col cappuccio che correvano nel campo.
«Voglio Malcolm Bridges alla stazione il più in fretta possibile», ordinò Monroe. «Torna alla base e strappa Greene a qualunque cosa stia facendo.
Voglio che passi al setaccio questo elenco di ragazze. Voglio sapere dove si trovano tutte al momento e voglio parlare con ognuna di loro, è chiaro?» Rogers annuì.
«Intanto, mi procurerò un mandato. È ora di fare una visitina al signor Russell Cunningham, non ti sembra?»
Oxford, 29 marzo, 11.05
Nei giorni d'oro descritti da Evelyn Waugh, quando Sebastian Flyte e il suo orsacchiotto Aloysius andarono a Oxford, decisero di risiedere in una serie di stanze al pianterreno di Tom Quad, a Christchurch, dove sua signoria fece dipingere le pareti d'azzurro e le decorò con aggraziate litografie cinesi. Quasi un secolo più tardi, alcuni studenti che venivano da fasce sociali del tutto diverse da quella dei Flyte (ma possedevano quantità analoghe di denaro da spendere) preferivano una maggiore indipendenza dall'università. Così, si facevano comperare dai genitori appartamenti (di costo superiore a un quarto di milione di sterline) affacciati sul Cherwell e vicini ai divertimenti del centro di Oxford.
Quei nidi per yuppies erano dotati di aspiratori per la polvere incorporati nelle pareti (per facilitare la vita alle cameriere) e garage sotterranei per tre automobili. Era in un posto del genere che Russell Cunningham si godeva il primo anno all'università di Oxford. Lo trovava perfetto per intrattenere gli amici, lo riteneva un appartamento più che adatto all'unico figlio di uno degli imprenditori più ricchi d'Inghilterra, un uomo che si era fatto da solo, Nigel Cunningham, noto all'interno della classe snob di Oxford (felicissima di accettarne le donazioni multimilionarie) come «l'uomo della biblioteca». Un epiteto pronunciato sempre con pesante sarcasmo perché, nonostante Cunningham avesse da poco finanziato la costruzione della biblioteca più grande dell'università, nonché l'acquisto dei volumi, chiunque avesse un certo peso a Oxford presumeva che gli unici libri presenti in casa di Nigel Cunningham fossero albi da colorare.
Monroe stava uscendo dalla stazione di polizia quando l'ispettore Rogers lo chiamò dall'automobile ferma davanti all'appartamento di Cunningham.
«Farà meglio a venire qui, signore. Le sembrerà che siano il suo compleanno e Natale fusi assieme.» Cinque minuti più tardi, Monroe parcheggiava di fronte a un esclusivo condominio, appena oltre Thames Street, davanti al pub Head of the River.
Rogers gli andò incontro quando scese dall'auto.
«Guardi questo posto», borbottò. «Non potrei mai permettermelo con lo stipendio da ispettore, e un moccioso di diciotto anni porta qui la sua ragazza su una stramaledetta Morgan.» Monroe sorrise. «Non mi sei mai sembrato il tipo che tende ad amareggiarsi, Josh.»
«Ah, già.» Rogers scrollò la testa. «Credo che possiamo far scendere il bastardo di un gradino o due.» Monroe lo fissò, socchiudendo gli occhi. «Fammi strada», disse. Seguì il suo sottoposto alle porte del palazzo.
Due agenti in uniforme li attendevano in corridoio, all'esterno dell'appartamento di Cunningham. Monroe e Rogers si avviarono sul pavimento in cemento levigato, entrarono in un ampio soggiorno. La musica di Oscar Peterson usciva da una coppia di gigantesche casse Bang and Olufsen.
La parete di fronte all'ingresso era una distesa di vetro.
Offriva la panoramica del Cherwell e delle guglie d'arenaria di Oxford.
Sullo sfondo si intravedeva la torre baciata dal sole della cattedrale di Christchurch. Per qualche motivo, Monroe ricordò in quel momento una storia su Oxford che aveva sentito quando era studente universitario lì. A quanto sembrava, gli appassionati di alianti e mongolfiere amavano volare sopra la città non solo per il panorama, ma anche perché c'erano sempre buone correnti ascensionali d'aria calda. La spiegazione scherzosa era che le correnti venivano prodotte dalle arie che si davano i professori, ma in realtà il merito era dell'onnipresente arenaria che rifletteva il calore del sole.
Russell Cunningham sedeva su una poltrona George Nelson in pelle nera a lato della finestra. Al suo fianco c'era un agente di polizia. Cunningham era alto, biondo, bello e abbronzato: come Monroe apprese in seguito, era rientrato due settimane prima da una breve ma gustosissima vacanza sciistica in Andorra. Munito di jeans firmati e maglione di cachemire nero col collo a V, incarnava in maniera perfetta il rampollo viziato di un miliardario. Si alzò all'ingresso di Monroe, ma l'ispettore capo lo ignorò e seguì Rogers nella stanza, fino a un corridoio retrostante.
Vi si aprivano tre porte; una era spalancata. Monroe e Rogers entrarono in una stanzetta senza finestre, illuminata da una lampadina rosso cupo che pendeva dal soffitto. Scaffali stracolmi di CD. A ridosso della parete sul fondo, due monitor a schermo piatto e, di fronte, una piccola consolle.
Sopra i monitor, il muro era tappezzato di immagini pornografiche, un sordido assemblaggio di giovani donne legate, mutilate, sfigurate.
Monroe guardò la scena. Il suo viso non tradiva emozioni. Rogers si chinò sulla consolle.
«È evidente che qui il nostro ragazzo si diverte», osservò.
«Cos'è di preciso questa roba?»
«Cyber-porno d'avanguardia», gli rispose Rogers. «Ha delle webcam montate praticamente dovunque: stanze dei college femminili, docce della palestra, toilette per signore, case per studentesse a East Oxford. E tiene una documentazione molto accurata.» Sventolò una mano in direzione dei dischi sugli scaffali.
«Abbiamo trovato l'oro.»
«Può darsi», commentò Monroe. «Portiamolo alla stazione. Lasceremo il materiale qui. Fallo esaminare da un paio di tecnici, okay?» Tornò in soggiorno. La sua mente era affollata di pensieri.
«Forse può spiegarmi cos'è tutta questa faccenda?» La voce del giovane aveva un vago accento da anglosassone nordamericano.
«Veramente speravo che lo facesse lei, signor Cunningham.» Cunningham guardò il pavimento per un secondo, poi fissò Monroe con aria superiore. «Detective? Ammiraglio?» Agitò una mano nell'aria.
«Sono soltanto il detective ispettore capo Monroe.»
«Detective ispettore capo Monroe, suppongo lei abbia un mandato di perquisizione. L'altro tizio...»
«L'ispettore Rogers.»
«Sì. Mi ha sventolato un foglio di carta sotto il naso prima di cominciare ad aggirarsi dappertutto.»
«Certo, signor Cunningham, abbiamo un mandato. E la metto in stato d'arresto. Taylor», abbaiò Monroe, girandosi verso l'uomo in uniforme a fianco di Cunningham. «Portalo dentro.» Il ragazzo rise in maniera poco convincente quando Monroe gli lesse i suoi diritti. «Sta facendo un terribile errore. Un enorme errore. Presumo sappia chi è mio padre.»
«Sono pienamente al corrente dei fatti, signor Cunningham. Non si preoccupi di questo. Arrivo tra dieci minuti, Taylor», assicurò Monroe all'agente.
«Provvedi a far sistemare per bene il signor Cunningham.»
E si avviò di nuovo in corridoio.
Croydon, 29 marzo, 14.00
Il funerale di Charlie Tucker fu un rito mesto, bagnato dalla pioggia, avvolto nello squallore della periferia. La cerimonia si tenne in una cappella di cemento eretta negli anni Ottanta pochi chilometri fuori Croydon, a sud di Londra. Si presentò meno di una dozzina di persone.
Schizzarono fuori dalle automobili sull'asfalto del parcheggio, con ombrelli aperti e cappotti sopra la testa. Nella cappella, l'odore degli abiti bagnati si mischiò al profumo di gigli non proprio freschissimi.
Dopo il rinvenimento del cadavere di Charlie, la polizia era partita dall'ipotesi che si fosse suicidato. Poi, le prove scoperte sulla scena dalla scientifica avevano dimostrato al di là di ogni dubbio che non poteva essere stato lui a sparare. Gli investigatori avevano aperto un'indagine per omicidio.
Laura e Philip arrivarono per ultimi. Sedettero in fondo, ascoltarono in silenzio la musica d'organo registrata, immersi nei propri pensieri. Philip praticamente non conosceva Charlie. Per lui era solo un'altra faccia di Oxford, un amico di Laura. Si erano incontrati a delle feste e ogni tanto avevano discusso di politica. Philip era decisamente di sinistra, requisito più o meno indispensabile per gli studenti degli anni Ottanta, ma Charlie, lo ricordava bene, era un marxista arrabbiato.
Laura si era abituata all'idea che Charlie fosse morto. Quasi una settimana prima, quando la notizia le era piombata addosso con tanta violenza, era rimasta scossa nell'intimo del proprio essere. Non era particolarmente vicina a Charlie, però lui aveva fatto parte della sua gioventù. Forse perché lo aveva visto pochissimo negli ultimi vent'anni, lo associava ancora a tempi felici, al college, alla libertà, a un momento subito dopo la fine dell'infanzia quando, almeno nel ricordo, il mondo sembrava un luogo più innocente. Morto lui, era come se anche una parte di lei si fosse estinta.
Solo più tardi era giunto il terribile senso di timore che provava ora.
Morti, mutilazioni e violenza avevano cominciato a stringerla d'assedio.
Ormai non poteva più togliersi di mente il sospetto che l'omicidio di Charlie fosse legato in qualche modo alle sue indagini.
Dopo il rientro a Oxford, lei e Philip avevano fatto pochi progressi.
Avevano avuto conferma che gli omicidi del 1851 erano stati commessi esattamente nelle sere in cui i corpi celesti che già conoscevano erano entrati nel segno del Cancro e che una congiunzione planetaria quintupla era attesa per il 20 luglio di quell'anno. L'unica differenza tra i casi del passato e quelli attuali era che l'assassino non aveva cominciato ad agire all'equinozio di primavera, perché la congiunzione planetaria si era verificata in un momento diverso dell'anno. Dati importanti, Laura lo sapeva, che allontanavano ogni dubbio dalla sua teoria. Però aveva sempre la sensazione che la ricerca di indizi sull'identità dell'omicida contemporaneo girasse a vuoto. E l'omicidio successivo era previsto per la sera dopo, il 30 marzo.
Il funerale fu squallido. Un coro di voci elettroniche riversò due inni dagli altoparlanti sistemati sul soffitto, e il meglio che riuscì alle persone raccolte lì furono borbottii quasi impercettibili. Al secondo inno, la bara che conteneva il corpo di Charlie fu sollevata dagli uomini delle pompe funebri e trasportata al carro funebre. Tutti si alzarono dalle panche e si avviarono al portone della cappella.
All'esterno, il carro partì. Il gruppo lo seguì a piedi. Superarono un giardino commemorativo, percorsero un vialetto sinuoso fino a un'area con una quantità minore di tombe, dove la terra era scavata di fresco.
Oltrepassata la cappella, Laura e Philip avevano quasi raggiunto l'auto quando udirono dei passi affrettati alle loro spalle. Si girarono: una giovane donna in un lungo abito bianco stava fermandosi. Sui venticinque anni, bassa, snella, capelli castano scuro che le cadevano fino alla vita.
Grandi occhi blu, viso da folletto, sopracciglia sottili, naso aggraziato.
Laura capì che aveva pianto: non si era truccata, aveva occhi iniettati di sangue e un aspetto devastato.
«Siete Laura e Philip, giusto?» chiese.
Laura annuì.
«Sono... Ero la ragazza di Charlie. Mi chiamo Sabrina.» Tese la mano, e nel farlo si guardò attorno, come a controllare che nessuno li stesse osservando. Passò una coppia di mezza età che aveva partecipato al servizio funebre. Sabrina aspettò che fossero fuori portata d'orecchio.
«Mi è stato chiesto di darvi questa.» E depositò nella mano di Laura un piccolo oggetto metallico, freddo.
Una chiave.
«La metta in tasca», ordinò Sabrina, sottovoce ma decisa.
«Chi...?»
«Charlie, è ovvio. Sapeva di essere nei guai. State a sentire», sussurrò la ragazza. «Charlie amava in modo particolare una biografia di Newton. La troverete nel suo appartamento. Al numero 2 di Chepstow Street, New Cross. Dovete andarci oggi. Suo fratello passerà a mettere in ordine le sue cose e a saldare l'affitto domani mattina. Sulla chiave c'è un numero.
Adesso devo andare. Buona fortuna.» Girò sui tacchi e s'incamminò di buon passo.
Momentaneamente storditi, Laura e Philip la lasciarono allontanare. Poi, riprendendosi, Laura fece per seguirla. Ma Philip la trattenne.
«Credo che dobbiamo lasciarla in pace.» Charlie aveva vissuto in un piccolo bilocale, in una stradina laterale dell'ampia New Cross, nella zona sud di Londra. Era uno dei sei appartamenti che componevano quella che un tempo doveva essere stata una casa di lusso. Laura e Philip vi si recarono direttamente da Croydon e parcheggiarono in Chepstow Street, a pochi portoni dalla casa.