«E due paia di stivaloni impermeabili e le tronchesi taglia bulloni», aggiunse Laura, aprendo la borsa.
Philip prese le tronchesi e raggiunse la grata. Laura si guardò attorno, improvvisamente ansiosa. Nel giro di pochi secondi la catena era tranciata in due. Philip aprì lo sportello e tornò da Laura che stava indossando gli stivali. Prese il proprio paio e ripose nello zaino gli scarponi che si erano tolti.
Fra la grata e l'imboccatura del tunnel, una piccola area con pareti coperte da una gabbia metallica permise loro di restare in posizione eretta per l'ultima volta, finché non avessero trovato l'ingresso al tunnel dei Guardiani. Purtroppo, non sapevano esattamente in cosa si sarebbero imbattuti una volta lì. Laura sistemò le estremità recise della catena in modo da farla sembrare intatta. Nascosero la borsa di tela nell'ombra proiettata dalla grata. Vi sistemarono sopra due mattoni e un pezzo di tubo metallico.
«Pronta?» chiese Philip.
«Suppongo di sì.» Il cuore accelerò i battiti nel petto di Laura.
Philip accese la torcia elettrica e avanzò di qualche passo nel tunnel, cauto. Quasi piegato in due, la sua testa si trovava solo pochi centimetri al di sotto del tetto curvo. Laura lanciò un'occhiata al panorama di luci della città, inspirò a pieni polmoni. «Au revoir», sussurrò, e seguì Philip nel buio.
Dopo la prima curva a gomito, l'unica illuminazione veniva dalle loro torce. Laura non aveva mai sofferto di claustrofobia, ma cominciava ad avere la sensazione che le pareti le si chiudessero attorno. Stando alla mappa di Charlie, l'accesso al tunnel dei Guardiani doveva trovarsi a sinistra, a sessantatré passi dal punto d'accesso al Trill Mill. I passi, però, erano un'unità di misura molto imprecisa, quindi dovevano tenere gli occhi ben aperti.
Qualche minuto più tardi, le loro schiene erano doloranti e l'odore quasi li soffocava. Le pareti erano coperte di muffa e fanghiglia. Il tunnel si allargò all'improvviso, ma il soffitto continuava sempre bassissimo, opprimente.
«Non può mancare molto», sospirò Laura.
Philip si fermò, si appoggiò alla parete viscida e abbassò un poco il corpo per dare sollievo alla schiena. Aveva la respirazione pesante. «Sì, hai ragione. Ho contato fino a cinquantacinque, ma i miei passi sono più lunghi dei tuoi. Propongo di proseguire strisciando con la schiena contro la parete. Dovremo muoverci in avanti lentamente e tenere le torce puntate sul muro di fronte.» Procedere in quel modo offrì un certo sollievo, ma non a lungo: la superficie della parete era frastagliata, si sentivano pungere da sporgenze aguzze. Avanzarono con tutta la lentezza possibile, scrutando il muro a sinistra. Dopo dieci passi, le torce non avevano rivelato la minima irregolarità nell'antica parete.
«Non ci siamo», borbottò Philip. «Porca miseria. Dev'esserci sfuggito.»
«Mi sento un po' come Quasimodo», replicò Laura. «Okay, faccio strada io.» Riprendendo a procedere all'indietro in direzione dell'aria aperta, vide qualcosa. «Cos'è quello?» chiese. La sua voce echeggiò nel tunnel. Il raggio della torcia inquadrò una chiazza rossa delle dimensioni di una mela, una trentina di centimetri al di sopra dell'acqua. Diressero entrambi i fasci di luce su quel punto, cercarono attorno altre anomalie. Qualcosa brillava dentro il cerchio rosso. Philip attraversò il torrente, si avvicinò al muro. Quasi al centro del cerchio c'era una macchiolina color argento.
«Cos'è?» chiese Laura.
«Non sono sicuro. Un pezzettino di metallo. Aspetta.» Nel tentativo di estrarre dalla tasca posteriore il coltello dell'esercito svizzero, Philip batté la testa sul soffitto. «Ahi! Al diavolo!» esclamò. «Che botta.» Ignorando il dolore, si accoccolò e prese ad affondare la lama all'interno del cerchio rosso, nella pietra friabile della parete, che cedette con sorprendente facilità. Apparve un disco argenteo, di un paio di centimetri di diametro. Incise sopra, cinque figure femminili alzavano al cielo una coppa che conteneva il sole. Una copia esatta dell'immagine sulle monete rinvenute sulla scena di ogni omicidio.
Laura passò le dita sulla superficie luccicante. «Allora non ci sono dubbi», sorrise. Philip stava per ribattere quando il disco cedette sotto la mano di Laura e dalla parete giunse un basso brontolio. Indietreggiarono di un passo tutti e due. Apparve una linea nera. Si allungò sul disco, poi più sotto, fino a un punto una decina di centimetri al di sopra dell'acqua. Si ampliò lentamente. La pietra si aprì, scivolò all'interno. Pochi attimi dopo, il brontolio s'interruppe. Avevano di fronte un rettangolo di buio totale, largo quanto le spalle di Philip. Puntarono le torce sull'apertura, e in alcuni punti la tenebra si dissipò a rivelare pareti in pietra che correvano verso un vuoto informe.
Laura entrò, spostando il raggio di luce sui due lati, in alto. Il soffitto ad arco si stendeva diversi metri sopra la sua testa. Philip la seguì.
Finalmente, poterono tornare in posizione eretta.
Laura ebbe un sospiro di sollievo. «Dio, è stato più pesante di quanto immaginassi.»
«Dovresti essere contenta di non essere alta un metro e...» Philip si bloccò a metà della frase. Il brontolio era ricominciato. Si girarono all'unisono e videro la parete tornare al proprio posto. Philip reagì con sorprendente velocità. Raccolta una grossa pietra, la sistemò nell'apertura.
Ma la porta non si fermò e la frantumò.
Laura avvertì un tremito di panico.
«Penso vada tutto bene.» Philip tentò di mostrarsi rassicurante. Spazzò col raggio della torcia le pareti, sorprendentemente asciutte. «Qui l'aria è più fresca. E se non altro abbiamo un po' di spazio per muoverci.
Andiamo.» Avanzò lentamente, osservando pavimenti e muri, togliendo ragnatele. Il buio era terrificante. Doveva ricorrere a tutta la propria forza di volontà per soffocare le immagini delle cose innominabili che la mente cercava di portare in superficie. Per restare concentrato, studiò le pareti e il limitato universo illuminato dalla torcia. Laura gli stava attaccata alle spalle e gli aveva preso la mano. Lui la sentiva respirare.
Le pareti erano lisce e molto più asciutte di quelle del tunnel del Trill Mill. L'aria adesso sapeva di muffa e di terra; il fetore di cose in decomposizione era svanito. Philip camminava con la massima cautela.
Più avanti poteva esserci qualunque cosa: un buco nel pavimento, una botola, una miriade di pericoli. L'errore più grosso sarebbe stato agire con leggerezza. Dovevano prendersi tutto il tempo necessario, stare attenti a dove posavano i piedi.
Il tunnel sembrava procedere all'infinito, sempre uguale. Era largo circa cinque metri, con pareti curve, prive di caratteristiche particolari. Il pavimento era terra battuta, secca e pianeggiante. Poi, all'improvviso, il tunnel si allargò. I fasci delle torce creavano pozze irregolari di fioca luce sulle pareti a destra e sinistra. Dopo essere avanzati di qualche passo, si resero conto di essere entrati in un ambiente circolare.
«Quello cos'è?» Laura puntò la torcia su un'area del muro più vicino, all'altezza della sua testa. La luce inquadrò una piccola staffa metallica sporgente. Sopra, una vecchia candela color panna, bruciata a metà. Philip spazzò con la luce tutt'attorno. Videro parecchie altre candele, disposte a tre metri circa l'una dall'altra.
«Pensi che brucino ancora?» domandò Laura.
«C'è un solo modo per scoprirlo», rispose Philip. «I fiammiferi sono nella tasca posteriore sinistra del mio zaino.» Laura ne accese uno e si alzò in punta di piedi per accostarlo alla candela più vicina. Questa sfrigolò ed emise scintille per qualche secondo, poi diede vita a una compatta fiamma gialla. Nel giro di pochi istanti avevano acceso venti o più candele.
Solo allora poterono valutare realmente le dimensioni della camera.
Cosa più importante, la luce delle fiammelle rivelò decorazioni su pavimento, pareti e soffitto. L'interno del locale presentava un'elaborata serie di immagini. Sulle loro teste correva il disegno di un grande cervo bianco: le corna ramificate erano lunghe almeno tre metri. Attorno, altri animali saltavano e danzavano. Un lupo era accucciato vicino al fondo della volta; uno stormo di gigantesche aquile dorate spuntava dall'orlo del soffitto, sospeso sopra il cervo. E lungo il perimetro, un affresco ritraeva uno zoo di creature, tutte dipinte a colori vivaci: ambra, rosso scarlatto, ocra, e un ricco, intenso blu.
Sulle pareti correvano strisce di simboli alchemici di varie dimensioni, in argento e oro. Alcuni, alti quanto un uomo, andavano dal pavimento fin verso il soffitto; altri, molto più piccoli, erano disposti in gruppi serrati.
Sul pavimento circolare, del diametro di una dozzina di metri, un'unica immagine: cinque donne in tunica alzavano al cielo una coppa che conteneva il sole.
Philip depositò a terra lo zaino, fece il giro della stanza a passi lenti, toccò i simboli prima di accoccolarsi a osservare l'immagine sul pavimento. Laura sedette al centro della camera e scrutò il soffitto.
«Assolutamente incredibile», commentò dopo qualche momento.
«Sembra uscito da un film di Indiana Jones», commentò a sua volta Philip.
«E pensare che probabilmente solo una manciata di persone ha mai visto questo posto.»
«E meno di trenta metri sopra le nostre teste, gli autobus corrono in St Aldates.»
«Secondo te, che scopo può avere?» rifletté ad alta voce Laura.
Philip scrollò le spalle. «Immagino sia, fosse, un luogo di riunione per i Guardiani. Tu cosa dici?» Ma lei aveva appena notato qualcosa. «Guarda. C'è una porta.» Non se n'erano accorti prima perché era poco più di un vago profilo nella pietra.
Philip tirò fuori la fotocopia del manoscritto di Newton. «Dev'essere l'entrata al labirinto», disse.
Laura si girò a guardare il foglio.
«Qui c'era il tunnel che partiva dalla cantina dei vini dell'Hertford College.» Philip fece correre l'indice dal fondo della pagina a una porta che fungeva da fulcro per un complesso intreccio di linee. «Noi abbiamo seguito un altro percorso perché il vecchio tunnel è stato sigillato. I
Guardiani devono aver costruito questa stanza dopo il 1690. Direi che superata quella porta ci troveremo in questo punto, qui. Dopo di che, dev'esserci il labirinto.»
«Però prima dobbiamo aprirla.» Laura si chinò a studiare i simboli che aveva davanti. Philip allentò le cinghie dello zaino ed estrasse gli scarponi.
Sedette, si tolse gli stivali impermeabili. Lei lo imitò, sempre più concentrata sui simboli tracciati attorno alla porta.
Philip le passò gli scarponi. Lei li calzò e allacciò senza nemmeno guardare cosa faceva.
«È la frase dei Guardiani.
ALUMNE SEMPER AMA UNICUM DEUM TUUM.
Adepto, ama sempre il tuo unico Dio», recitò, indicando un'unica frase nell'insieme di simboli e disegni.
«E quella cos'è?» Philip puntò l'indice su una piccola apertura che si arrampicava lungo la porta, come un camino in miniatura. Si abbassò quasi a livello del pavimento e guardò all'interno della fessura. «È piena di ragnatele, però c'è una fila di quelle che sembrano carrucole colorate.»
«Fammi vedere.» Laura si inginocchiò, scostò le ragnatele con la torcia elettrica. Contò dieci tiranti dai colori vivaci.
«Devono essere collegati ai colori del codice di Charlie. La sequenza di colore seguita dagli alchimisti», interpretò Philip.
Laura tese la mano, afferrò il tirante nero, a metà della fila. Era in pelle molto morbida. Tirò. Il tirante scivolò dolcemente verso di lei, poi si bloccò con uno schiocco, trenta centimetri sotto la posizione iniziale.
Guardò Philip con aria sollevata. «Be', non è esploso niente.»
«Già. Prova con gli altri. Bianco, giallo, rosso.» Laura seguì la sequenza. Abbassò il tirante bianco, poi quello giallo.
Infine, le sue dita si chiusero sulla striscia di pelle rossa. La tirò con un movimento lento. Si udì un clic, ma nulla si mosse.
Si rialzò. Philip raccolse il sacco e con un calcio scostò gli stivali dalla porta. Per diversi momenti tutto restò immobile, poi udirono un cigolio che crebbe sempre più. Indietreggiarono. La lastra di pietra ruotò su se stessa, lasciando apparire un buco nero.
«Ci siamo», esclamò Philip.
Subito oltre la soglia, videro su staffe metalliche a parete due antiche torce di legno e stracci. Laura estrasse i fiammiferi. Le due fiamme illuminavano ben poco. Erano ancora necessarie le torce elettriche per dissipare le tenebre. Philip avanzò di un solo passo, per precauzione.
Si trovarono in un'altra stanza a pareti in pietra, molto più piccola di quella che avevano appena lasciato. Era rettangolare, col soffitto basso.
Direttamente di fronte a loro si stagliava un'arcata drappeggiata da enormi ragnatele. Puntarono le torce su quell'apertura: un corridoio che si perdeva nell'oscurità. Una cinquantina di centimetri davanti a loro, il pavimento della stanza semplicemente scompariva. Laura ansimò. Philip le strinse il braccio.
«Mamma mia», disse lei.
Indirizzarono i fasci di luce sulla buca. Larga almeno sei metri, occupava la maggior parte della stanza. Sul lato opposto c'era un'altra piattaforma di una sessantina di centimetri prima dell'arcata. A destra e a sinistra la buca si estendeva fino alle pareti. Un pozzo nero spalancato, dal fondo invisibile. Quando i loro occhi si furono abituati all'oscurità, distinsero i profili di sedici cerchi colorati, come passatoie per superare il guado di quel vuoto. Ogni circolo formava il piano superiore di uno stretto piedistallo che si proiettava all'insù dal buio del pozzo.
«Tu cosa ne dici?» chiese Philip.
«Vedo nero, bianco, giallo e rosso disposti alle distanze giuste.
Andiamo.» Prima che Philip potesse aprire bocca, Laura era salita sul piedistallo col piano nero della prima fila.
Con un piede ancora sulla striscia di pavimento vicino alla porta e l'altro sul punto di posarsi sul cerchio nero, pensò per un secondo di aver preso una buona decisione. Presto avrebbero superato il vuoto. Ma quando sul piede calò l'intero peso del corpo di Laura, il piedistallo cominciò a sbriciolarsi.
Lei urlò.
Perse l'equilibrio. Il piedistallo si polverizzò.
Laura si voltò.
Philip lesse panico allo stato puro sul suo viso.
Laura agitò mani e braccia, tentò inutilmente di artigliare l'aria.
Non trovò appigli.
Lontana diversi centimetri dalla striscia di pavimento affacciata sul pozzo, precipitò nel nulla.