Equinox (29 page)

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Authors: Michael White

Tags: #Fiction, #Thrillers, #Suspense

BOOK: Equinox
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Tu sei primo e più alto e più gradevole alla Vista.

Tutti ti lodano.

Tutti lodano te. Donatore di verità.

Ti cerchiamo, ti imploriamo, ti diamo il benvenuto.

 

«Sì... Tu sei Mercurio il possente fiore», lesse Laura. «La terza riga... Tu sei la Fonte di Sole, Luna e Marte... È questo. Abbiamo scelto il corridoio sbagliato all'inizio. Dovevamo seguire Mercurio, prendere a destra.» Tornati all'arcata che costituiva la via d'uscita dalla stanza circolare, si fermarono davanti ai due dischi nella parete, poi imboccarono il corridoio che avevano di fronte, quello che si diramava verso destra. Qualche istante dopo raggiunsero un incrocio a T. Sulla parete di fronte c'erano altri due dischi. Quello di destra recava il simbolo di Venere, un cerchio con una croce alla base. Su quello di sinistra era inciso il simbolo del sole.

«Dovrebbero esserci altri quattro incroci nel labirinto», interpretò Philip, «con i simboli della luna, di Marte, Saturno e Venere, in quest'ordine. Sarebbe assolutamente impossibile superare il labirinto senza il documento.»

E fece strada, prendendo senza esitazione a sinistra.

Il corridoio per l'incrocio successivo era serpeggiante, segnato da un'infinità di curve. Parve procedere per chilometri prima di raggiungere una ripida salita. Quando arrivarono in cima, sudavano e ansimavano.

Philip si appoggiò sui talloni, le mani sulle ginocchia. Laura si asciugò il sudore dalla fronte e guardò i due dischi sulla parete che segnalavano una nuova scelta di percorso. A destra c'era una mezzaluna, simbolo del satellite della terra. Al centro del disco di sinistra, il segno che rappresentava Mercurio.

Si fermarono qualche minuto a riprendere fiato. Quella volta, fu Laura ad avviarsi per prima verso la quarta biforcazione. Lì trovarono il simbolo di Marte, un cerchio con una freccia puntata in diagonale verso destra.

Presero in quella direzione. Il corridoio era una ripida discesa. Sul fondo, si trovarono in un tunnel più ampio, largo quattro metri. Al lato opposto, di fronte a loro, quattro aperture nel muro. A sinistra della prima, tre dischi sulla parete. I simboli rappresentavano rispettivamente Mercurio, Saturno e il sole.

«Il corridoio di mezzo», indicò Laura, sicura di sé. Il passaggio era molto stretto, largo appena quanto bastava a Philip per procedere senza strusciare le spalle contro le pareti. Anche quello era in discesa. Arrivati sul fondo, emersero in una stanza circolare col soffitto a volta. A intervalli regolari, lungo i muri erano disposti sei archi. Sulla sinistra di ognuno trovarono i consueti dischi. Ogni disco recava inciso il simbolo di uno dei pianeti citati nella formula. L'apertura col simbolo di Venere era la seconda a sinistra.

Philip tolse lo zaino dalla schiena e passò a Laura la bottiglia d'acqua.

Bevendo, lei guardò l'orologio. Le 22.43. Philip aprì una tasca dello zaino e provò a usare il cellulare.

«Non c'è campo, ovviamente.» Rimise il telefono nello zaino.

Laura controllò il suo. «Idem. Non è una grande sorpresa. Dobbiamo avere... quanto? Venticinque, ventotto metri di roccia sopra la testa?» Philip si caricò di nuovo dello zaino. «Tutto okay?» chiese.

Laura annuì.

«Allora, avanti.» All'inizio il corridoio era terribilmente stretto. Philip dovette togliere di nuovo lo zaino. I suoi gomiti grattavano di continuo sulla superficie irregolare della roccia. Piuttosto sgradevole. Dopo una decina di metri, però, il tunnel si allargò. Adesso avevano spazio a sufficienza per camminare affiancati.

I cristalli luminosi erano disposti in formazione più densa sul soffitto.

C'era molta più luce che in tutti gli altri percorsi che avevano seguito.

Accelerarono il passo. Poco più avanti scorsero un arco che immetteva in un altro locale. Philip si fermò di botto, scrutò il pavimento. Laura gli stava dietro di qualche metro. Lo osservò chinarsi, guardare qualcosa a terra. Philip riprese a camminare lentamente, piegato in due, continuando a tenere lo sguardo puntato in basso. «Ehi, guarda», si girò a strillarle. «Una scritta in inglese. Dice...» Laura sentì il suono sibilante prima di vedere qualcosa muoversi.

Sembrava venire dall'interno della parete alla loro destra. Poi ci furono tre tonfi sordi. Qualcosa colpì Philip. Due oggetti molto veloci lo sfiorarono e finirono contro il muro a sinistra. Philip cadde a terra e i suoni cessarono all'istante. Laura si buttò sul pavimento, strisciò avanti fino a raggiungere Philip. «Tutto bene?»

«Credo di sì. Che diavolo è successo?» Sul pavimento, alla sua sinistra, Philip vide due frecce spezzate, lunghe pochi centimetri. Altre due si erano piantate nello zaino. «Stai giù», sibilò.

A quattro zampe, proseguirono verso l'apertura.

Raggiunto l'altro lato dell'arco, Philip si rizzò in piedi ed estrasse dallo zaino una delle frecce. «Poteva fare parecchio male», commentò, e la gettò a terra.

«Direi che lo zaino ti ha salvato la vita.» Laura studiò la punta acuminata delle altre frecce.

«Cosa stavi guardando sul pavimento?»

«C'erano parole in inglese, a lettere dorate. Solo i puri potranno passare.»

Laura lo fissò negli occhi. Stava per dire qualcosa quando entrambi avvertirono in corpo, più che udire, un rombo dai toni bassi. Per lunghi secondi le pareti parvero vibrare. Entrambi si accoccolarono contro la parete in fondo, tenendosi stretti.

Dal soffitto cadde polvere che si sparse sui loro capelli.

Prima che il suono fosse del tutto svanito, sentirono un'onda d'aria sfiorarli.

Fu come se dalla stanza venisse risucchiata ogni singola molecola d'ossigeno.

Un massiccio blocco di pietra precipitò dall'architrave dell'arco e atterrò possente sul pavimento polveroso.

Erano sigillati all'interno.

 

41

 

Oxford, 30 marzo, 22.38

 

Monroe scrutava l'orologio alla parete del suo ufficio, guardava i secondi scorrere.

Aveva appena spedito una dozzina di uomini a tre diversi indirizzi di Oxford, nel tentativo di rintracciare Malcolm Bridges: il suo piccolo appartamento a Iffley Road, la casa di Lightman a Park Town, nel nord della città, e il suo ufficio alla facoltà di psicologia.

Non nutriva troppe speranze di trovarlo in qualcuno dei tre posti.

Quindi, Bridges era sulla scena del secondo omicidio.

Non aveva un alibi a prova di bomba per quello, ma ne aveva uno per il primo, il che significava che doveva agire con qualcun altro.

Monroe, però, intuiva d'istinto che l'ipotesi era errata.

D'altro canto, non c'era nessunissima prova a sostenerla.

In sostanza, qual era la situazione?

Un altro omicidio, quattro eventi separati, sei giovani assassinati, e lui cosa sapeva?

Bridges era coinvolto in qualche modo, e non poteva aver agito da solo, e un altro omicidio sarebbe stato commesso quella sera, poco dopo mezzanotte.

Come sarebbe riuscito a impedirlo, se non avesse messo le mani su Bridges?

E, anche così, l'arresto di Bridges avrebbe fermato l'assassino?

Aveva gli occhi pesti; di colpo si sentì incredibilmente stanco.

Squillò il telefono.

«Monroe», rispose, disfatto.

«Howard.»

«Spero tu abbia qualche buona notizia per me.»

«Notizie ne ho», rispose Smales.

«Però non so proprio come interpretarle. Insomma, il campione che mi hai mandato ci ha portato a una... Come dirlo? A un'identificazione piuttosto delicata.»

42

 

Oxford, 30 marzo, 22.47

 

Laura e Philip erano nel buio totale. Non c'erano cristalli nel basso soffitto della camera, e la roccia crollata aveva bloccato la fioca luce che filtrava dal corridoio. Philip si tolse lo zaino, lo tastò fino a trovare la cerniera lampo più grande. Infilò la mano all'interno, cercò le torce elettriche. Le accese, le tirò fuori, ne passò una a Laura. Seduti con la schiena contro il muro, mossero i fasci di luce lungo il contorno della stanza. Philip si alzò e andò a ispezionare il punto dove fino a pochi secondi prima si trovava l'ingresso. Studiò la superficie rocciosa, liscia.

Non vide traccia di fessure. Il blocco di pietra doveva essersi incastrato alla perfezione nell'apertura.

Laura si spostò alla parete opposta, passò il raggio di luce sulla superficie, su pavimento e soffitto. Il locale era poco più di un metro quadrato, con un soffitto bassissimo. Si chiese se potessero restare senza aria. Poi, con un sussulto, scoprì un'anomalia nella parete liscia.

Un'iscrizione, una frase ormai familiare:

ALUMNE SEMPER AMA UNICUM DEUM TUUM.

«Philip, guarda.» Si abbassò per studiare meglio la scritta, tastò le lettere con le punte delle dita. Le parole erano di metallo. Sporgevano di un millimetro o due dalla superficie della pietra. Al suo tocco, rientravano nella parete, per poi tornare all'infuori quando lei toglieva le dita.

«Sempre più curioso», osservò.

Philip spinse alcune lettere, le guardò proiettarsi di nuovo all'infuori.

«Pensi sia una serratura, una serratura a combinazione?» rifletté. «Se indoviniamo la sequenza giusta, forse potremmo uscire da qui.»

«Lo spero con tutta l'anima», rispose Laura, truce. «Ma come diavolo facciamo a scoprire la combinazione? Non possiamo tirare a indovinare.

Le combinazioni possibili sono letteralmente miliardi.»

«Be', no, è chiaro che non possiamo tentare alla cieca. Le parole devono avere un significato nascosto. Adepto, ama sempre il tuo unico Dio. Deve essere questa la chiave.» Laura si pizzicò la punta del naso e chiuse gli occhi. Quando li riaprì, erano iniettati di sangue. Philip si rese conto di quanto dovessero pesarle gli sforzi, la tensione.

«Okay, dobbiamo spremerci il cervello. Quanto tempo ci resta prima di soffocare?» domandò Laura.

«Ho pensato la stessa cosa nel momento in cui è crollata la roccia», confessò Philip. «Hai sentito l'aria correre fuori? Se non fosse successo, probabilmente potremmo resistere qui dentro per ore. Ma, per essere onesto, ho l'impressione che l'aria stia già cominciando a esaurirsi.»

«Anch'io.»

«Dobbiamo cercare di rallentare il respiro e stare calmi. L'ultima cosa che vogliamo è accelerare il ritmo del cuore.» Lui si girò a guardare Laura.

Gli parve piuttosto distrutta.

«Io sono calma», sbottò lei. «Okay, concentriamoci sulla maledetta scritta.» Metodicamente, tentò una serie di differenti combinazioni. Non funzionarono. All'improvviso sentì una stretta al cuore e, prima di rendersene conto, cominciò a prendere a pugni il metallo. «Maledetta frase!» Philip le balzò a fianco in un secondo, staccò le mani di Laura dalle lettere prima che potesse farsi male. Lei gli crollò tra le braccia, singhiozzante. Lui se la tenne stretta, la baciò dolcemente sulla guancia. La sentiva tremare. Doveva lasciarla sfogare. Dopo qualche istante, la guidò alla parete vicino all'ingresso sigillato, la fece abbassare sul pavimento, poi sedette al suo fianco.

«Da qui non usciremo più, vero?» singhiozzò lei.

«Sì che usciremo, sciocca...»

«Philip, l'aria se ne sta andando. Sta svanendo. Lo sento.» Philip non poteva negarlo. Nell'ultimo minuto o due, l'aria era diventata molto più rarefatta. Respirare era sempre più difficile. Attirò Laura più vicino a sé.

Rimasero zitti per un po'. Lei smise di singhiozzare ma tenne la testa sul petto di Philip. «Mi spiace tanto, davvero», disse sottovoce.

«Ti spiace di cosa?» ribatté lui, ma aveva capito perfettamente.

«Sai di cosa parlo, Philip. Non ho bisogno di dirlo a chiare lettere. Non a te.» Lui non ribatté.

Laura staccò la testa dal petto di lui. «Pensavo... pensavo fosse la cosa giusta da fare, in quel momento. Non credevo che noi due avessimo un futuro. Mi sbagliavo. Avrei dovuto restare. Avrei dovuto sposarti.» Philip si sentì perso. Da giorni loro due erano presi dal desiderio di risolvere il mistero degli omicidi, poi avevano vissuto un'ordalia in quel buco fetido sotto la Biblioteca Bodleiana. Eppure antiche emozioni non avevano la minima difficoltà a riemergere, travolgendoli. Per quasi vent'anni aveva tentato di soffocarle, e in buona parte, tutto sommato, c'era riuscito. Ma ogni volta che Laura era tornata in Inghilterra, o quando lui era andato a New York, le vecchie ferite si erano riaperte. Una sensazione che odiava; d'altra parte, non avrebbe potuto continuare a vivere senza rivedere Laura e Jo appena possibile. Per un momento si trovò a corto di parole. Cosa poteva dire?

Studiò il viso di Laura. Vedeva, alla luce delle torce, i solchi umidi lasciati dalle lacrime. Le avevano fatto colare il mascara. All'improvviso, la bocca di lei fu sulla sua. Philip sentì Laura fondersi con lui, i suoi capelli sfiorargli le guance. Ne sentì il calore, la presenza tanto familiare.

Gli era mancata moltissimo. Troppo presto Laura si staccò. Restarono a guardarsi negli occhi.

«Cosa...» mormorò lui.

«Volevo solo rubare la tua aria.» Philip rise. «Quando vuoi, Laura.» Lei gli mise l'indice sulle labbra e sorrise. Poi si protese a baciarlo di nuovo.

Un secondo più tardi emise uno strillo, con la bocca ancora incollata a quella di Philip.

«Ci sono.» Senza aggiungere una parola, andò alla parete opposta, si accoccolò e cominciò a premere le lettere. Cinque in tutto. La sua mano corse veloce da sinistra a destra fino a raggiungere la M di UNICUM. Staccò la mano dalla parete e premette l'ultima lettera con un gesto teatrale. Philip non riuscì a trattenere una risata.

Aspettarono per lunghi, estenuanti momenti. Nella parete avvertirono uno scricchiolio sommesso, seguito da un altro perpendicolare all'apertura originale.

Qualche nervoso battito di cuori, e la prima fessura apparve nella parete.

Gradualmente, due grandi lastre di pietra salirono verso il soffitto, scomparendo in due nicchie.

Philip afferrò lo zaino.

Uscirono dalla nuova apertura il più in fretta possibile.

 

43

 

Oxford, 30 marzo, 22.45

 

Proprio mentre Monroe riappendeva il ricevitore del telefono, bussarono alla porta.

Era talmente stupefatto da ciò che aveva appena sentito che per qualche secondo non riuscì a mettere a fuoco lo sguardo sulla massiccia figura dell'agente Steve Greene.

«Signore, questa busta è arrivata circa un'ora fa. Chatwin si scusa... se n'era dimenticato... L'ha consegnata un corriere, a quanto pare.»

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