Oxford, 30 marzo, 21.35
Monroe si sentiva estremamente depresso mentre guidava sull'High, diretto dal centro città a Headington Hill. Un'altra coppia era stata uccisa.
Per quanto il duplice omicidio confermasse il suo sospetto che Cunningham non poteva essere l'assassino, due altri giovani erano morti e lui non aveva fatto nessun progresso nelle indagini. E bisognava concludere, al di là di ogni dubbio, che Laura Niven e Philip Bainbridge avevano sempre avuto ragione sulle connessioni astrologiche: quell'ultimo abominio era stato commesso in perfetto accordo con le loro previsioni.
Premette un tasto del telefono dell'auto e il sergente di servizio alla stazione di polizia rispose quasi all'istante. «Siete riusciti a contattare Bainbridge?» chiese Monroe.
«Per il momento no, signore. Risponde sempre la segreteria.»
«Okay. Chiamate il suo cellulare ogni cinque minuti e continuate a provare anche a casa. Voglio essere informato non appena lo troverete.» Prima di Headington Hill, Monroe svoltò in Marston Road. Poche centinaia di metri più avanti girò a sinistra, imboccando un sentiero fangoso, la King Mill Lane. Vide subito, una cinquantina di metri più avanti, le luci lampeggianti e i giubbotti fosforescenti della sua squadra.
Tre auto della polizia e un'ambulanza erano ferme su un lato della stradicciola. Giunto più vicino, scorse un uomo anziano seduto all'interno dell'ambulanza, con una coperta rossa sulle spalle e la maschera a ossigeno.
Monroe fermò l'auto accanto agli altri veicoli e si diresse all'ambulanza.
«Cos'è successo?» Il paramedico lo trasse in disparte. «Il vecchio ha trovato i cadaveri una quarantina di minuti fa. È in stato di choc.» Monroe corrugò la fronte.
«Dice di averli visti mentre da Headington andava verso Mesopotamia Walk. Si è reso conto che qualcosa non andava quando li ha rivisti tornando a casa. Dia un'occhiata. Capirà perché è sotto choc.» Il terreno era zuppo di pioggia. Le scarpe di Monroe producevano rumori di risucchio nel fango. Era un'impresa mantenere l'equilibrio. Dopo qualche metro la stradicciola sfociava in uno stretto sentiero asfaltato che andava in direzione di un vecchio mulino e del lungofiume.
Dieci metri più avanti la scientifica aveva appena finito di sistemare sul sentiero un telone di plastica bianca. All'avvicinarsi di Monroe, un giovane agente ne sollevò un lembo. Monroe abbassò la testa per passare sotto la sbarra metallica di sostegno. Emerse al lato opposto del telone.
Erano stati installati due riflettori. Emanavano una luce giallo limone.
Sei metri più avanti, un altro telo di plastica bianca bloccava il sentiero.
Ricominciò a piovigginare. I riflettori facevano spiccare le goccioline d'acqua, le rendevano brillanti nel buio della sera. Sulla destra di Monroe, una panchina a lato del sentiero. Intravide due figure sedute lì, parzialmente oscurate da qualcuno che portava l'uniforme della scientifica.
L'uomo si alzò e Monroe riconobbe un Mark Langham dalla faccia scura.
Langham si scostò per permettere all'ispettore capo di vedere bene la coppia morta.
Erano stati sistemati per dare l'impressione che fossero abbracciati. I visi erano vicinissimi, le labbra quasi si toccavano. Un passante che avesse lanciato un'occhiata distratta avrebbe pensato che fossero semplicemente due innamorati. Monroe avvertì un brivido di disgusto.
Si chinò a guardare più da vicino. Nella luce dei riflettori, la pelle di facce e mani assumeva una tinta color pulce. Gli sguardi morti erano puntati in avanti. Erano entrambi vestiti, però gli abiti erano in disordine e sporchi. Gail Honeywell aveva lasciato la palma della mano sul collo di Raymond Delaware, come per attirarlo alle proprie labbra. Monroe si irrigidì quando scoprì lo squarcio rosso e nero sulla gola della ragazza.
Langham si accoccolò al suo fianco. «Sono morti da almeno due ore», lo informò. «E se guarda qui...» Indicò un'area chiazzata di nero appena sopra l'orlo della giacca aperta della ragazza. «Immagino che l'assassino abbia rimosso un organo da qui... Ammesso che si tratti dello stesso omicida, con lo stesso modus operandi. E poi c'è questo...» Delicatamente, girò la testa di Gail Honeywell.
Su un lato del volto della ragazza c'era un mosaico di profondi squarci.
Ampie strisce di sangue erano colate lungo il collo e la spalla destra, tingendo di rosso la camicetta. L'occhio destro non c'era più.
«La quantità di sangue sembra indicare che queste lesioni siano state inferte prima della morte», commentò Langham.
«Questo omicidio è diverso dai precedenti. Assolutamente orribile.»
Monroe non fece alcun commento. Si rialzò, fissando i volti senza vita della giovane coppia. Poi notò una placca metallica, scura e sbiadita, avvitata su un'asse di legno sul retro della panchina. Doveva essere lì da quando era stata messa la panchina. Diceva: Riposa almeno un poco perché questo è un posto unico per riposare.
«Molto divertente», borbottò sottovoce.
Era a pochi passi dall'automobile quando squillò il suo cellulare.
«Rogers, signore. Ho pensato non le spiacesse essere disturbato. Ho appena ricevuto dal laboratorio il rapporto sul campione di sangue sulla scena del secondo omicidio.»
«E?»
«Non c'è il minimo dubbio. Appartiene a Malcolm Bridges.»
Oxford, 30 marzo, 22.15
«Idiota!»
Il Maestro lo fissava con sguardo di fuoco. Aveva gli occhi sporgenti, gli colava sudore sulle guance.
«Deficiente... Potevi distruggere tutto.»
Assestò un formidabile schiaffo alla faccia dell'Accolito.
Per un istante l'Accolito quasi perse il controllo.
La sua mano destra ebbe uno spasmo.
Il Maestro notò il movimento involontario e sogghignò.
Guardò l'Accolito con un'espressione di minaccia incontenibile.
«Vuoi reagire? Vuoi picchiarmi? Sento che lo vuoi fare. O ti piace divertirti solo con le ragazze giovani?»
L'Accolito non rispose.
Rimase rigido, fissando diritto davanti a sé.
Il Maestro lo schiaffeggiò un'altra volta.
Sulla guancia dell'Accolito apparve un segno rosso.
L'altro lo colpì di nuovo, con forza ancora maggiore.
Il Maestro indietreggiò di un passo, e lo scrutò.
Con una smorfia di disprezzo, gli sputò in faccia.
L'Accolito non reagì.
Nemmeno quando lo sputo cominciò a colargli sulla guancia.
«Vattene... barbaro porco», intimò il Maestro.
«Se mi disobbedirai un'altra volta, ti tratterò peggio di come tu hai trattato Gail Honeywell.»
Oxford, 30 marzo, 22.18
Con riflessi veloci come la luce, Philip si lanciò in avanti ad afferrare il braccio di Laura mentre precipitava. Tenendosi forte sull'orlo del pozzo, la aiutò a risalire, a portarsi in salvo. Tremante, lei sedette sulla piccola striscia di pavimento. Philip si piazzò al suo fianco. «Una mossa un po' stupida», disse, circondandole le spalle col braccio. Laura era incapace di parlare.
Lui prese dallo zaino la bottiglia d'acqua. «Tieni, bevi.»
«Peccato che tu non abbia qualcosa di più forte.» Laura sorrise, bevve una lunga sorsata, si asciugò la bocca e restituì la bottiglia. «Cristo... Grazie», sospirò, poi abbassò la testa sulle ginocchia.
«Non voglio dover fare tutto da solo, chiaro?» Laura gli rivolse un sorriso tirato. «Adesso cosa si fa?»
«Bella domanda.»
«Ero sicura che il percorso dovesse essere legato ai colori alchemici.» Philip scrollò le spalle.
«Magari bisogna seguirlo alla rovescia? Mi sembra l'unica ipotesi che abbia un senso.»
«Okay, ma come ce ne accertiamo?»
«Usiamo lo zaino.»
«Non è abbastanza pesante, e se lo perdessimo...»
«Sempre meglio che precipitare noi.» Philip afferrò lo zaino. Raggiunto l'orlo del buco nero, lo depositò dolcemente su un cerchio rosso, vicino al punto in cui prima si trovava il piedistallo nero. Lo lasciò andare del tutto e indietreggiò. Nulla.
«Bene», commentò recuperando lo zaino. «Però non sono ancora convinto. Usiamo la corda. Legala attorno alla vita. La fisserò alla staffa alla parete. Se il piedistallo regge il tuo peso, a posto. Se no, ti tiro su.» Laura si circondò la vita con due giri di corda e Philip approntò un nodo robusto. Poi fece passare l'altro capo sopra la staffa che sporgeva dal muro e si posizionò sull'orlo del baratro, a gambe divaricate. Laura avanzò con cautela, posò lentamente un piede sul piedistallo rosso. Aveva il respiro affannoso. Goccioline di sudore le imperlavano la fronte. «Vado.» Il piedistallo resse. Lei si girò a guardare Philip con espressione trionfante. Lui alzò il pollice.
«Prova con l'altro», la sollecitò. «Ti lascio un po' di gioco.» Laura studiò la disposizione dei cerchi che aveva davanti. Nella seconda fila, il secondo cerchio da sinistra era giallo. Muovendosi con tutta la leggerezza possibile, balzò sulla pietra gialla ed emise un profondo sospiro di sollievo.
«Vado fino in fondo», annunciò. «È troppo pericoloso stare in piedi in due su una di queste cose.» Si girò di nuovo verso il «ponte» di piedistalli e salì su quello bianco della terza fila. Indugiò un istante, poi, trattenendo il fiato, si spostò sul cerchio nero dell'ultima fila. Pochi secondi più tardi era al lato opposto della stanza.
«Okay, tocca a te», gridò, col cuore impazzito.
Slacciò la corda e ne avvolse l'estremità attorno a una staffa dal suo lato del pozzo. Philip, lasciando l'altro capo della fune avvolto sulla staffa dal suo lato, se ne passò un giro attorno alla vita. Se uno dei piedistalli avesse ceduto, avrebbe potuto superare il baratro avanzando a forza di mani e braccia sulla corda tesa sopra l'abisso.
Il più in fretta possibile, ma anche con la massima cautela, seguì lo stesso percorso di Laura: rosso, giallo, bianco e nero. Pochi istanti dopo era in salvo, a fianco di Laura.
«Diavolo», disse, asciugandosi il sudore dalla faccia. «Mi piacerebbe dire che è stato divertente, però, in tutta onestà, non posso.» Dietro l'arcata si apriva un breve corridoio che girava dapprima a sinistra e poi, con un'ansa strettissima, a destra. Superata la seconda curva; emersero in una stanza circolare. Era illuminata dal soffitto. In effetti, l'intero soffitto sembrava brillare.
Era di solida roccia, ma il bagliore emanava dalla pietra stessa.
«Mio dio», mormorò Philip, guardando su. La superficie del soffitto era a grumi e chiazze. Studiandola meglio, si rese conto che era ricoperta da una spolverata di cristalli gialli. «Devono essere cristalli naturali che emettono luce.»
«Erano in gamba, gli alchimisti.»
«Direi di sì. Dà da pensare, no?» La stanza era nuda. C'era solo un'apertura sulla parete opposta, di fronte all'arcata dalla quale erano entrati. Laura andò a sbirciare. Due corridoi portavano a destra e a sinistra. Sulla parete erano incastonati due dischi metallici, all'incirca delle dimensioni di un CD. Su quello di sinistra erano incisi due cerchi concentrici. Sul disco di destra compariva un altro simbolo, un cerchio che aveva sopra quello che sembrava un paio di corna e una croce alla base.
«Qualche idea?» chiese.
Philip guardò il documento di Newton. «Ci sono tutti e due. Qui, vicino al labirinto.»
«Quello a sinistra è il simbolo del sole. Quello a destra è Mercurio, giusto?» Philip annuì.
«Allora, seguiamo il sole o Mercurio?»
«Che rilevanza simbolica hanno?»
«Mercurio è il messaggero alato. Il sole... cosa? La luce. La superficie, forse?»
«Non è che questo ci sia di grande aiuto. Però, se non sbaglio, il mercurio era il metallo più importante per l'alchimista. Uno dei tre elementi fondamentali usati per creare la terra.»
«Allora dobbiamo andare da questa parte?» Laura indicò il corridoio a destra.
«Forse. Però nell'astrologia il sole è il centro di tutte le cose.» Il soffitto di entrambi i corridoi era illuminato nella stessa identica maniera della stanza. «Io prenderei a sinistra. Il sole.»
«D'accordo.» Laura fece strada. Avanzarono lentamente. Pochi metri più avanti il corridoio svoltava a destra e poi a sinistra, e ben presto raggiunsero un'altra biforcazione. Il percorso si divideva in due corridoi più piccoli che si dipartivano uno ad angolo acuto, l'altro ad angolo ottuso. In mezzo stava una colonna di roccia. Lì, all'altezza della testa di Laura, trovarono un altro disco. Era diviso in due da una linea verticale. A sinistra, il simbolo del sole, i cerchi che avevano visto prima; a destra, inciso nel metallo, un simbolo nuovo. Somigliava a una «h» solcata da una linea orizzontale.
«A questo punto, dobbiamo continuare a seguire il simbolo del sole? A me non sembra possibile.» Laura corrugò la fronte.
«No, non convince nemmeno me», confermò Philip.
«Il che significa che o andiamo da questa parte...» Laura puntò l'indice sul corridoio a destra»... oppure torniamo alla prima coppia di simboli e scegliamo l'altro percorso.» Prese dalla mano di Philip il documento di Newton e sedette sul pavimento a gambe incrociate, girando la schiena alla colonna che divideva la biforcazione. La luce del soffitto era sufficiente per leggere.
«Che informazioni abbiamo usato sinora?» domandò. «Il codice di colori? Ce ne siamo serviti due volte, no? E qui non mi sembra rilevante. Il mercurio è un metallo, però gli altri simboli sono Saturno e il sole, quindi il simbolo di Mercurio deve riferirsi al pianeta.
Philip si accucciò al suo fianco. «E le posizioni dei simboli?» rifletté.
«Forse ci dicono qualcosa.» Si concentrarono tutti e due sul foglio, tentando di stabilire un parallelo tra le posizioni dei simboli e lo schema del labirinto che Newton aveva riprodotto dall'originale.
«Non è la posizione», disse di botto Laura. «È il rapporto con la formula magica. Questa.» Indicò le righe in latino che avevano ottenuto utilizzando il codice di Charlie. Philip si frugò nelle tasche, trovò la traduzione che avevano scritto la notte prima.
Tu sei Mercurio il possente fiore, Tu sei estremamente degno d'onore; Tu sei la Fonte di Sole, Luna e Marte, Tu sei signore di Saturno e Fonte di Venere, Tu sei Imperatore, Principe e il più regale dei Re, Tu sei Padre dello Specchio e Creatore di Luce.